It seems the enemy is not what we believed...
È difficile immaginare un soggetto più vicino alla sensibilità di un'autrice come Sofia Coppola di A Painted Devil. Pubblicato per la prima volta nel 1966, il romanzo di Thomas P. Cullinan, rieditato in seguito come The Beguiled, è incentrato infatti su un microcosmo interamente femminile: un microcosmo circoscritto, isolato dal resto del mondo e governato da un rigido sistema di regole, elemento molto ricorrente nella produzione della regista e sceneggiatrice americana.
Pertanto, pur trattandosi della trasposizione (la seconda) di un'opera letteraria scritta oltre mezzo secolo fa, e pur dovendo sostenere l'inevitabile confronto con il precedente adattamento datato 1971, La notte brava del soldato Jonathan (fra i vertici della produzione di Don Siegel), L'inganno si incasella alla perfezione nell'itinerario cinematografico, di impeccabile coerenza e di indubbio fascino, della figlia d'arte di Francis Ford Coppola, che per questo film è stata ricompensata con il premio per la miglior regia al Festival di Cannes 2017.
La notte brava del soldato Colin
Sul piano dell'intreccio, la pellicola di Sofia Coppola segue fedelmente l'impianto narrativo del libro di Cullinan, senza distanziarsi dunque dal 'predecessore' diretto da Don Siegel: analoga è l'ambientazione, le campagne della Virginia nel 1864, nel pieno della Guerra di Secessione americana; analoga l'elaborazione del dramma, con un ufficiale dell'esercito unionista, il caporale John McBurney, gravemente ferito in battaglia e accolto presso l'istituto diretto da Miss Martha Farnsworth, la quale deciderà di non consegnare l'uomo ai soldati della Confederazione, ma al contrario di continuare a nasconderlo nel collegio fin quando non si sia completamente rimesso. E come accadeva già ne La notte brava del soldato Jonathan, la presenza del caporale in questo inviolabile gineceo sarà fonte di inusuale eccitazione e di tensioni via via meno controllabili.
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Eppure nelle mani di Siegel, regista estremamente prolifico e specializzato nel genere d'avventura, nel western, nel poliziesco e nel noir (tra i suoi titoli più noti Il tesoro di Vera Cruz, L'invasione degli ultracorpi e Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo), la materia di partenza veniva plasmata in un racconto teso ed isterico, concepito e costruito come un thriller e con un'abilissima gestione della suspense. Ne L'inganno della Coppola, invece, la suspense dai contorni gotici dell'originale appare attenuata, il ritmo risulta più disteso e ieratico, le atmosfere torride e selvagge della Virginia rurale cedono il posto a una perenne penombra (la fotografia del francese Philippe Le Sourd, in passato collaboratore di Wong Kar-wai, è prodigiosa) e a un'eleganza composta e quasi gelida.
Il giardino delle vergini omicide
E se il John McBurney di Colin Farrell sfodera una gentilezza maggiormente accentuata rispetto al più ruvido caporale di Clint Eastwood, ancora più emblematica è la rilettura del personaggio chiave di Martha Farnsworth. Nel film di Siegel, una grandiosa Geraldine Page lo sfruttava per offrire una lectio magistralis di tenebrosa possessività e di sottile sadismo; davanti alla cinepresa della Coppola, Nicole Kidman ne offre un ritratto più sfumato ed ambiguo, mettendo in sordina la componente schiettamente maliziosa e vendicativa della donna: non a caso la famigerata scena dell'amputazione viene racchiusa in un'ellissi e depurata della sua esplicita crudeltà. Del resto, se Don Siegel era più interessato a premere sul pedale della tensione (si vedano le concitate sequenze del prologo bellico, del tutto assenti dal nuovo adattamento), Sofia Coppola adopera il romanzo di Cullinan per farci penetrare nell'universo, sia fisico che interiore, delle sue protagoniste: diverse declinazioni della femminilità, come sintetizzato già in quella locandina magnifica che porta in primo piano le "tre età della donna".
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Ma considerare le donne de L'inganno come eroine protofemministe, o giudicare la loro ribellione finale contro il caporale McBurney come un fiero atto di soppressione del potere maschile, ci fornirebbe una visione riduttiva, e probabilmente fuorviante, di un film ben più complesso e problematico. La Coppola, piuttosto, sembra voler sottolineare il senso di vacuità e di 'sospensione' che domina nelle cupe stanze del collegio di Miss Farnsworth: la stanca ripetizione dei rituali quotidiani, dalle lezioni di francese alla preghiera serale; la noia malcelata della studentessa più matura, Alicia, che una sensuale Elle Fanning trasforma nell'incarnazione dello sfrenato vitalismo della giovinezza, insofferente alle costrizioni della società degli adulti. E non possono non tornare alla mente le sorelle fragili ma volitive del primo lungometraggio della Coppola, Il giardino delle vergini suicide, anch'esso tratto da un libro (il portentoso romanzo d'esordio di Jeffrey Eugenides): un altro microcosmo femminile tagliato fuori dalla realtà esterna e sottoposto a norme soffocanti e tabù letali.
La solitudine, l'Eros e la fine dell'innocenza
Nell'intera filmografia di Sofia Coppola, in fondo, si può rintracciare questa inesorabile dicotomia: la ricerca e la definizione della propria identità individuale e l'ostacolo di quella "gabbia dorata" che, in molti casi, corrisponde alla condizione inquieta dell'adolescenza. Dalle pareti della casa-prigione della famiglia Lisbon ne Il giardino delle vergini suicide alla celebrità alienante e foriera di solitudine del Bob Harris di Lost in Translation e del Johnny Marco di Somewhere, dall'opulenza e l'edonismo della corte di Versailles in Marie Antoinette al vuoto esistenziale ed etico dei ladruncoli di Bling Ring, i protagonisti della Coppola vivono da sempre in uno stato più o meno consapevole di cattività: una cattività a cui talvolta tentano di sfuggire, ma a cui più spesso invece si abbandonano con languida arrendevolezza. In quest'ottica, la figura di John McBurney rappresenta il fattore esterno in grado di alterare i solenni equilibri del collegio e di risvegliare, negli altri personaggi, una dimensione della femminilità repressa e negata con tutte le forze: quello che Carlo Emilio Gadda avrebbe chiamato "un quanto di erotia".
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Nel caporale McBurney si può identificare quindi l'irruzione dell'Eros in un mondo in cui i moti dell'animo e le pulsioni sessuali sono di fatto proibiti e inconfessabili. Un'irruzione tanto più devastante, quanto più le donne del collegio tentano di mascherare il loro struggente desiderio dietro un'ingenua cortesia. Un atteggiamento particolarmente evidente nelle due adulte del gruppo: l'istitutrice Edwina Morrow di Kirsten Dunst, la cui sensibilità delicata la spingerà a vagheggiare un idillio romantico con il bell'ufficiale; e la stessa Martha, incapace di ammettere l'attrazione per John (si noti come sia costretta a distogliere lo sguardo dal corpo nudo dell'uomo) e determinata ad estirpare tale pulsione in se stessa e nelle proprie allieve, quelle fanciulle 'innocenti' che ha giurato di proteggere a ogni costo. E allora l'epilogo, in cui l'innocenza delle ragazze viene immolata sull'altare di un terribile sacrificio, assume una luce assai meno celebrativa di quanto si possa pensare: Miss Farnsworth e le sue allieve hanno sconfitto il nemico, ma come la donna ci aveva ricordato in precedenza, "forse il nemico non è ciò che credevamo". E quell'ultima, superba inquadratura, un campo lungo con zoom all'indietro in cui le protagoniste, sempre più piccole, finiscono per apparirci intrappolate fra le sbarre del cancello, ha tutt'altro che il sapore di una liberazione o di una vittoria.