Ci sono film che non hanno molte pretese; nascono in seno ai propositi più semplici del cinema classico di stampo hollywoodiano e con semplicità iniziano, si sviluppano e finiscono per raccontare senza grandi virtuosismi tecnici una storia, così da intrattenere per due ore o poco meno il proprio pubblico senza distinzioni di età o genere. Come sottolineeremo in questa recensione di Linee Parallele, il nuovo film diretto da Weanuri Kahiu con protagonista Lili Reinhart rientra perfettamente nei meandri di queste intenzioni cinematografiche.
Con una semplicità che non scade mai nel banale, la storia gioca sul concetto delle probabilità, sulle doppie e opposte occasioni che la vita può riservare partendo da un unico momento cruciale. Uno sviluppo a doppio binario di due linee parallele che prendono e con fare accondiscendente, ma mai mieloso o retorico, abbracciano lo spettatore in una comfort-zone consolatoria attraverso la quale spendere un po' di tempo senza pensieri, senza problemi, lontani dal mondo, lungo una linea parallela fatta di celluloide.
LINEE PARALLELE: LA TRAMA
Natalie è alla soglia del suo grande salto. La laurea è a un passo, e con essa la sua partenza per Los Angeles, mecca dei sogni e delle grandi possibilità. Ma per Natalie (Lili Reinhart) la città degli angeli vuol dire trovare un lavoro nel campo che brama sin da piccola: quello dell'animazione. Quando tutto sta per tramutarsi in realtà, la vita della ragazza si divide in due realtà parallele: nella prima Natalie rimane incinta e resta nella sua città natale, nell'altra si trasferisce a LA. Per quanto apparentemente divergenti e al limite dell'opposto, le due realtà troveranno sempre e comunque il modo di incrociarsi, tra analogie che vogliono Natalie trovare amori appassionanti, inseguire una carriera da sogno come artista e riscoprire se stessa.
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GIOVANI SOGNATRICI: VITE PARALLELE
L'essere umano vive di immaginazione. Sogna, crea, manipola la realtà; in questo universo immaginifico modellato dal potere della fantasia, capita spesso che a fare capolino sia il rimpianto, il pensiero scomodo e ingombrante del "cosa sarebbe successo se" una parola non fosse stata detta, un'azione non fosse stata compiuta, uno sguardo non si fosse incrociato. Per quanto a volte dolorosa, questa creazione mentale svolge un ruolo predominante nel gioco della realtà. Ci pone a scendere a patti con noi stessi, rivalutare ciò che abbiamo, ponderare con attenzione decisioni future. E in un universo come quello cinematografico, dove tutto può essere tradotto in realtà solo perché pensato e reso visibile, ecco che la vita si scinde in due esistenze parallele, entrambe credibili, entrambe possibili, entrambe reali. Linee parallele non ha nulla di originale e non ha la pretesa di vantare qualcosa che non è. La sua struttura narrativa prende in prestito quella di Sliding Doors calcandone i contorni come un'acquaforte di stampo cinematografico, riuscendo comunque a discostarsene in maniera intelligente. Inserendo tra gli inframezzi dei propri raccordi un che di romantico, ma mai melenso, e un pizzico di sincero ottimismo, Linee Parallele vive a metà tra i sospiri di Austeniana memoria, e le opere mentali su realtà dicotomiche e opposte.
DOUBLE GIRL POWER
Ponendo al centro della storia la figura della donna, i conflitti interni che scaturiscono tra la scelta di puntare sulla realizzazione delle proprie ambizioni, e il ruolo di madre, il film non arriva mai ad arrogarsi il diritto di elevarsi a denuncia sociale, sebbene non disdegni di suggerire in modo implicito e sussurrato la dualità interiore che le donne sono chiamate ad affrontare, divise tra carriera e casa. Ed è proprio lungo questa doppia matrice che il film si sviluppa, ammettendo quanto a volte questi due binari non riescono (o non possono) coincidere, costretti pertanto a correre lungo corsie differenti e impossibilitate a incrociarsi. O madre, o donna in carriera: una distinzione che ancora oggi nel 2022 continua a imporsi agli occhi della società, stabilendone i connotati, e che il film di Kahiu a suo modo, intende evidenziare. Una dicotomia sottolineata anche dai colori degli abiti indossati dalle due versioni di Natalie, quasi sempre gli uni opposti degli altri, riflessi cromatici delle due condizioni di vita di cui si fa protagonista la giovane ragazza.
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ANIMARE LE POSSIBILITÀ
In un mondo che ritorna alle origini, al puro gusto del racconto senza intenzioni rivoluzionarie, conscio di non lasciare un'impronta indelebile tra le pagine del cinema, Linee Parallele affida alla regia di Weanuri Kahiu il compito di rendere reali esistenze così semplici, eppure così possibili. Alla semplicità del racconto corrisponde in maniera armoniosa e perfetta la canonicità di riprese che permettono ai propri spettatori di seguire senza ostacoli lo svolgersi dell'opera. Con inquadrature da ampio respiro, capaci di offrire il giusto tempo di lettura e comprensione del momento in atto, o degli umori che sconvolgono e animano i personaggi in campo, il regista si limita al suo ruolo di intermediario tra lo scorrere degli eventi e la curiosità del pubblico; Kahiu è da considerarsi pertanto un traduttore di immagini visive e corporee di pensieri lasciati impressi su una pagina di sceneggiatura. In questa operazione a giocare un ruolo predominante sono anche gli attori, in particolare Lili Reinhart. L'attrice di Riverdale coglie appieno l'essenza della sua Natalie, carpendone le aspirazioni, i sogni, i dolori e i conflitti interni restituendoli sotto forma di espressioni mai marcate, ma sempre adeguate al contesto. E dove le parole non arrivano, il linguaggio del corpo e la mimica espressiva colmano eventuali lacune, facendo di entrambe le esistenze, possibilità convincenti e verosimili. Nei suoi occhi si sprigiona una dolcezza materna e un'ambizione tipicamente giovanile; una dicotomia che se sullo schermo non riesce a convivere, in lei trovano un canale di espressione privilegiato. Pienamente in parte anche il resto del cast (irresistibili Andrea Savage e Luke Wilson nei panni dei genitori di Natalie) che fanno di Linee Parallele un film godibile, non perfetto e eccezionale, ma non per questo incapace di raggiungere con apparente agilità il proprio obiettivo di racconto confortante, che abbraccia con estremo calore i propri spettatori.
Che il sogno di Natalie sia quello di lavorare nel mondo dell'animazione non è un caso. In quel gioco di linee e colori la fantasia prende corpo facendosi reale. Lo stesso accade nel momento del sogno, dove l'impossibile si fa possibile nell'arco di una notte. Ed è dall'incontro tra fantasia, sogno e realtà che vive e si sviluppa Linee Parallele, dove un'unica esistenza si suddivide, scindendosi in due realtà gemelle eterozigote: lontane, diverse, eppure destinate a riunirsi, ritrovarsi, in punti convergenti. Data la sua natura onirica e sognante, il film si eleva a perfetto coronamento dell'essenza primaria della materia cinematografica: quella di intrattenere, far sognare, ridere e commuovere senza pretese, ma comunque con un leggero sguardo sulla realtà circostante. E pazienza se sarà comunque un'opera facilmente dimenticabile; a volte basta poco per far sorridere, e consolare, proprio come un'altra esistenza, proprio come un cartone animato.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Linee Parallele sottolineando come il film disponibile su Netflix vivA su una semplicità narrativa che GLI permette di accedere facilmente all'interesse dello spettatore, cullandolo in una comfort zone quanto mai necessaria, soprattutto in tempi odierni. Il tutto con uno sguardo verso il mondo femminile e la difficoltà di dividersi tra carriera e famiglia.
Perché ci piace
- La semplicità di racconto che non scade mai nel banale.
- La performance di Lili Reinhart.
- La volontà di raccontare le difficoltà delle donne di dividersi tra casa e famiglia.
Cosa non va
- Il fin troppo ottimismo nel finale.
- La mancata occasione di indagare su certi passaggi della vita di Natalie e, di conseguenza, del pubblico femminile.