"Dunque, dove eravamo rimasti?". Una frase divenuta celebre e pronunciata da Enzo Tortora nel 1987 nel giorno del rientro negli studi Rai per riprendere la conduzione del suo Portobello dopo il carcere e gli arresti domiciliari seguiti all'infamante calunnia di un gruppo di pentiti che accusarono il presentatore di traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico. Tutte menzogne che diedero vita a quello che fu ribattezzato "Il Caso Tortora" e che vide media e opinione pubblica schierarsi tra innocentisti e colpevolisti mentre la vita di "un uomo perbene" - come cita il titolo di un film tv con protagonista Michele Placido dedicato alla sua storia - veniva stravolta e sospesa nell'attesa snervante della burocrazia processuale che, solo quattro anni dopo il suo arresto, assolse definitivamente Tortora da ogni accusa.
Neanche dieci anni dopo, l'accusa di un altro pentito, segnò l'inizio dell'odissea giudiziaria di Carmelo Zappulla, cantante neomelodico siracusano ma partenopeo d'adozione, additato come il mandante dell'omicidio dell'amante della madre, venuta a mancare l'anno precedente. Un destino che sembra tragicamente ricalcare quello di Enzo Tortora, ma che, a differenza del presentatore, ha visto Zappulla scegliere, dopo l'iniziale detenzione cautelare, la via della latitanza, durata tre anni, per sfuggire ad una carcerazione ingiusta. Da quella parentesi buia della sua vita, il cantautore, ha dato vita ad un'autobiografia pubblicata nel 1998, Quel ragazzo della Giudecca. Un artista alla sbarra, dalla quale Alfonso Bergamo, qui al suo secondo lungometraggio dopo Tender Eyes, ha tratto ispirazione per la sua pellicola. Un film che ha il pregio di raccontare una della tante storie di malagiustizia italiana e che vanta la presenza di nomi importanti del cinema nostrano, da Giancarlo Giannini a Luigi Diberti passando per Tony Sperandeo e Franco Nero, ma che non riesce a dosare con il giusto equilibrio i toni e i mezzi espressivi a sua disposizione, come testimoniano, ad esempio, una colonna sonora e alcune interpretazioni troppo sottolineate, addirittura, urlate o la drammaticità di alcune sequenze che sfociano nel grottesco.
Da un libro al grande schermo
Il film si concentra su uno spaccato ben preciso della vita del cantante accusato di omicidio, ripercorrendo l'iter giudiziario del quale è stato, suo malgrado, protagonista partendo da una fonte letteraria per approdare al buio della sala. "È molto difficile adattare una storia che parte da un libro ad un linguaggio cinematografico", afferma lo sceneggiatore Craig Peritz, "Si tratta di una vera sfida, di gestire fatti reali. Abbiamo cercato di essere autentici ed essenziali, raccontando la realtà di una parte dell'Italia". Un lavoro caratterizzato dall'attenzione nel riportare più autenticamente possibile i fatti, contrapposto al bisogno di inserire una finzione narrativa lì dove erano assenti riferimenti tangibili come racconta il regista Alfonso Bergamo: "Rispetto alle notizie delle quali non avevamo la certezza, abbiamo romanzato. Da latitante, Carmelo, ha vissuto il processo attraverso i racconti di familiari e amici e il personaggio del pubblico ministero l'abbiamo volutamente reso a tratti fumettistico. Mentre altre scene, come quella dell'arringa finale, che nella realtà durò quasi sei ore, sono fedeli alla verità dei fatti".
Proprio l'autobiografia di Zappulla è stata fonte d'ispirazione per il regista che, durante la conferenza stampa, ha raccontato la genesi del progetto e la valenza metaforica rappresentata dalla vicenda umana del cantante neomelodico. "Ho avuto modo di leggere il libro "Quel ragazzo della Giudecca" e ho voluto subito conoscere Carmelo. Ho pensato fosse una storia che andava raccontata al cinema e fatta conoscere. Ho visto nei suoi occhi la sofferenza patita in quegli anni. Ho avuto subito un'immagine dentro di me, quella di un'artista dietro le sbarre, metafora di ciò che sta accadendo oggi. L'arte chiusa e l'artista che fatica ad emergere perché deve sacrificarsi per esprimersi e creare".
Ma, durante l'incontro con la stampa, è lo stesso Carmelo Zappulla ha raccontare la sua doppia esperienza di protagonista della vicenda giudiziaria e della pellicola: "In passato ho rifiutato proposte di altre produzioni che avrebbero voluto portare al cinema la mia storia. L'incontro con Alfonso Bergamo, invece, ha realizzato quello che a lungo è stato un sogno nel cassetto, poter riportare una parte della mia vita, anche se negativa, sul grande schermo". Un'esperienza emotiva intensa per l'attore/cantante che ha rivissuto, anche se per pura finzione filmica, i giorni bui delle accuse e del carcere da uomo innocente. "Pensavo sarebbe stata un'esperienza serena, spensierata. Invece una delle prime scene girate è stata quella nel carcere di massima sicurezza di Siracusa. La scena dell'isolamento mi ha coinvolto emotivamente proprio come quando avvenne nella realtà e ricordo di essermi commosso, specie quando ho sentito la porta della cella chiudersi".
"Per pentito dire"
Il ragazzo della Giudecca, evidenzia la malagiustizia della quale abbiamo già accennato attraverso più angolazioni che si riferiscono ad altrettanti personaggi, protagonisti agli antipodi della vicenda. Dall'interprete neomelodico ingiustamente accusato e motore dell'azione - "Non ho mai perso la fiducia nella giustizia ma ne uscii a pezzi. Quando ci fu l'assoluzione, ricordo che pensai di non cantare più", racconta il cantante in conferenza stampa, "Mi chiusi per due mesi nella villetta di una mia zia a Siracusa. Ad un certo punto, però, ho capito che non era giusto né per me né per il mio pubblico che mi aveva sempre sostenuto. Composi "Un attimo" e da lì ricominciò la mia carriera" - al pubblico ministero dell'accusa impersonificato da un mefistofelico Tony Sperandeo che commenta la testarda quanto cieca determinazione del suo personaggio: "Con Carmelo siamo amici da molti anni. Quando mi ha proposto di prendere parte al film non ho neanche letto la sceneggiatura. Riguardandomi mi faccio schifo pure io (ride n.d.r.), sono esageratamente cattivo". Un'interpretazione che non ha lasciato indifferente l'amico di vecchia data che ricorda le conseguenze dell'unica scena girata insieme sul set: "Un sera, dopo una giornata di riprese, ci siamo ritrovati a cena insieme e ricordo che, ripensando alla scena filmata qualche ore prima, lo odiai".
Ma la pellicola vede la presenza anche di altri attori noti al grande schermo, dai già citati Luigi Diberti nei panni dell'avvocato della difesa a Franco Nero, detenuto incontrato da Zappulla in carcere con il quale stringe una sincera amicizia. Una scelta di casting ben precisa, sottolineata dallo stesso regista. "Fin dall'inizio avevo volevo coinvolgere i grandi nomi del cinema di genere ma non credevo ci sarei riuscito perché mi vedevo "piccolo". Franco Nero, invece, mi ha addirittura invitato a casa sua per parlare del film e ha contribuito alla scrittura delle battute del suo personaggio. Giancarlo Giannini ha portato la sua esperienza sul set e tutti loro capivano subito quali sfumature dare ai personaggi, portando con loro quella serenità necessaria, lavorando, inoltre, con una troupe prevalentemente di under 30 per la quale questa guida è stata fondamentale".