Si terrà dal 6 all'11 luglio la terza edizione del RomaFictionFest, il festival italiano dedicato alla fiction e alle serie televisive, che quest'anno ospiterà tra gli altri gli autori di Lost e di CSI: New York, ma nell'attesa dell'avvio della manifestazione sono già partite le iniziative parallele per sostenere e rilanciare il settore audiovisivo in Italia. Tra queste, ha preso il via oggi, in collaborazione con l'associazione degli sceneggiatori S.A.C.T. (Scrittori Associati di Cinema e televisione) una serie di incontri dal titolo "Created by - La TV delle idee, la TV degli sceneggiatori", durante i quali i creatori di alcune brillanti serie tv europee raggiungeranno la capitale per confrontarsi con gli sceneggiatori italiani sul processo creativo che porta alla nascita dei prodotti televisivi.
Si è tenuto proprio stamattina, alla Casa del Cinema di Villa Borghese a Roma, il primo di questi appuntamenti che ha visto protagonista Ashley Pharoah, sceneggiatore britannico, tra gli ideatori della serie inglese Life on Mars e del suo sequel Ashes to Ashes. Trasmessa per la prima volta su BBC One tra il gennaio e il febbraio del 2006, Life on Mars mescola insieme fantascienza e poliziesco, e ha come suo protagonista Sam Tyler (interpretato da John Simm), ispettore capo della Polizia di Manchester ai giorni nostri, che dopo essere stato investito da un auto che viaggia ad alta velocità, si ritrova catapultato improvvisamente nell'anno 1973. Il suo lavoro non è però cambiato e l'uomo continua a lavorare per il dipartimento di Polizia sotto la supervisione dell'ispettore Gene Hunt (Philip Glenister). Accanto a lui l'amica e confidente Annie Norris (Liz White), la prima a parlargli dopo l'incidente. La serie, che riserva un'attenzione filologica nei confronti del periodo storico di riferimento, è stata oggetto di remake, dando origine a una versione americana dal titolo rimasto invariato, che ha come protagonista Jason O'Mara, affiancato da Harvey Keitel, tuttora in onda in Italia ogni giovedì alle 21.55 su Fox Crime. Presentandosi alla prestigiosa platea di colleghi di casa nostra, Ashley Pharoah ha subito dichiarato che se si ritrovasse a tornare indietro nel tempo, la prima cosa che farebbe "sarebbe quella di andare a trovare mia madre, perché mi piacerebbe vedere cosa fa", sottolineando così come uno dei punti fondamentali della serie sia proprio il rapporto del protagonista con la madre. Intanto, la versione italiana di Life on Mars, battezzata al momento 29 settembre, giace ancora in un cassetto, ma i suoi autori hanno già dato alcune anticipazioni sul progetto. Innanzitutto, si è posto il problema il posizionamento storico: bisognava scegliere un anno che non distogliesse l'attenzione dello spettatore dalla storia. La scelta è così caduta sul 1976, un anno che consentiva alla storia di mantenere una sua identità senza essere confusa da troppi avvenimenti esterni, come sarebbe accaduto concentrandosi sull'anno successivo. Il secondo problema riguardava le diverse modalità di atteggiamento delle forze dell'ordine italiane rispetto a quelle inglesi. E ancora, si è pensato che il rapporto del protagonista con la famiglia dovesse partire da subito, e non col passare degli episodi come succede nella serie originale. Altri punti caldi sono poi il coma e la possibilità di staccare le macchine, un tema decisamente scottante in questo periodo nel nostro paese. Tutto questo potrà diventare realtà e tradursi in una serie italiana solo se si troverà una casa di produzione disposta a finanziare il progetto. Nel frattempo, Ashley Pharoah ci parla di Life on Mars, dell'origine e dello sviluppo della storia, dei problemi incontrati durante la sua realizzazione e del suo sequel Ashes to Ashes.Ashley Pharoah com'è nata l'idea di Life on Mars?
Ashley Pharoah: Dieci anni fa, la BBC è venuta da me e da altri due sceneggiatori chiedendoci di scrivere una serie televisiva. Sapevamo bene che tutti volevano un poliziesco e noi eravamo intenzionati a non farlo. Poi ci siamo lasciati ispirare da The Sweeney, una serie tv degli anni '70, e abbiamo pensato che sarebbe stato carino fare un poliziesco totalmente scorretto, ambientato in quegli anni ma in una chiave tecno-moderna. Abbiamo quindi fatto il pitching (la presentazione della sceneggiatura, ndr) alla BBC. All'epoca andavano di moda i telefilm social-reali, ambientati nelle scuole o in casa, e quindi sapevamo bene che presentare un prodotto del genere poteva essere un fiasco. In effetti così è stato: ci sono voluti otto anni per tornare su questa idea e per vederla accettata dalla BBC. Ci sono volute poi 53 sceneggiature diverse prima di giungere a quella definitiva.Quali sono stati i cambiamenti più significativi che avete dovuto apportare all'idea iniziale?
Ashley Pharoah: Inizialmente la serie era pensata più come una sit-com, ma nel tempo è intervenuto un livello più metafisico e ci siamo concentrati sulla solitudine del protagonisti.
Come siete riusciti a trovare il punto di equilibrio tra i vari elementi in gioco come il cop show e il metafisico?
Ashley Pharoah: La sceneggiatura di questa serie è davvero inusuale, anche perché la presenza del personaggio di Sam Tyler si richiede in ogni scena. L'equilibrio tra gli elementi viene trovato quindi nell'intensità delle scene, nel movimento. C'è nostalgia ma anche tanta ironia. Non si tratta di un documentario, si riferisce al passato, ma tratta comunque anche tematiche di oggigiorno.Life on Mars ha potuto contare su un cast particolarmente azzeccato. Come avete lavorato alla scelta degli attori?
Ashley Pharoah: E' molto importante partecipare al casting e questa opportunità è ormai la norma per noi sceneggiatori in Inghilterra. Non volevamo fare un film di guerra, ma qualcosa che fosse reale. John Simm è il classico 'uomo qualunque', di cui tutti possono fidarsi e nel quale ci possiamo identificare molto facilmente. E' stato soprattutto grazie a lui che la serie ha avuto successo.
Quali sono state le modalità di lavoro nella realizzazione della serie?
Ashley Pharoah: Il processo di scrittura è stato molto interessante. Io e gli altri due sceneggiatori, Mathew Graham e Tony Jordan, eravamo un gran bel team, e abbiamo avuto la fortuna di lavorare con un'azienda fantastica come la Kudos, formata da persone davvero intelligente. Abbiamo creato una writer room dove si riunivano sceneggiatori, produttori e regista e dove si è venuta a creare una fiducia reciproca. E' cominciata così la nostra avventura e alla fine di un processo durato cinque giorni erano già venute fuori tutte le idee principali. Ci siamo poi divisi gli episodi e ognuno si è concentrato su quello in cui era più ferrato. Io, ad esempio, sono quello sentimentale, e mi sono perciò occupato del rapporto di Sam con la madre e delle scene più romantiche.Qual era il budget che avevate a disposizione?
Ashley Pharoah: Girare una serie tv significa spendere sempre tanti soldi, anche se la serie è ambientata negli anni '70. La BBC ci aveva dato un budget considerato normale, sulle 750.000 sterline, e siamo stati molto attenti a come dovevamo spendere questi soldi. Le esterne sono perciò state molto rare, anche perché bisognava allestire tutto quanto per ricostruire quel periodo, e quindi ben il 70% delle scene è girato in interni. Quando abbiamo scritto la sceneggiatura dei vari episodi abbiamo sempre tenuto presente la questione economica: costruire sì ottimi set, ma usare anche tanta immaginazione.
Il titolo della serie deriva da una canzone di David Bowie. Perché questa scelta?
Ashley Pharoah: Quando avevo tredici anni quel pezzo era di gran successo e ho trovato che fosse un titolo perfetto per una serie su un uomo che viene catapultato in un mondo completamente estraneo. Abbiamo usato la canzone di Bowie solo due volte: nel primo episodio, durante la scena dell'incidente, e alla fine, come colonna sonora quindi di due momenti molto commoventi.Quanto sono durate le riprese e quando è andato in onda per la prima volta la serie?
Ashley Pharoah: Ogni episodio ha richiesto circa due settimane di riprese. La prima messa in onda è stata due o tre mesi dopo la fine delle riprese, anche perché la BBC voleva trasmetterla durante la stagione invernale.
Perché la serie si è fermata alla seconda stagione nonostante il grande successo che stava ottenendo?
Ashley Pharoah: Inizialmente dovevano essere tre stagioni, ma John Simm, l'attore che interpreta il protagonista, già dopo la prima voleva mollare perché era stanco. Abbiamo raggiunto però un accordo e abbiamo girato anche la seconda, e alla fine penso sia stato meglio così perché era quella la durata adatta.
Nessun risentimento quindi nei confronti di John Simm.
Ashley Pharoah: John è un uomo molto complicato. Nel Regno Unito c'è il pregiudizio che fare una serie sia un lavoro di serie B, ma io spero che si penta della sua decisione. All'epoca ero molto arrabbiato con lui, avevamo anche pensato di sostituirlo, ma non avrebbe avuto molto senso.E poi è nato Ashes to Ashes, il sequel di Life on Mars
Ashley Pharoah: Quando John ha deciso di abbandonare la serie, pensavamo che fossimo giunti al termine della strada. La BBC è venuta però da noi e ci ha chiesto se ci fosse un modo per far sì che la serie non finisse. Noi non avevamo alcuna intenzione di proseguire la serie senza il suo protagonista, ma ci siamo detti che sarebbe stato divertente prendere l'altro personaggio della serie, Gene Hunt, e spostarlo dagli anni '70 agli anni '80, da Manchester a Londra. E' nata così questa seconda serie che, a differenza di Life on Mars che era stata ispirata da The Sweeney, prende spunto dalla serie americana Moonlighting. E' molto interesante raccontare gli anni '80 nel Regno Unito, un periodo molto intenso anche a livello politico. Ora siamo al lavoro sulla stesura della terza stagione.
Secondo lei, era proprio necessaria una versione americana di Life on Mars?
Ashley Pharoah: La nostra Life on Mars era una serie molto intensa: otto episodi per due serie. Negli Stati Uniti pensano sempre in termini più lunghi e quindi si è andato perdendo il punto focale della serie, cioè il rapporto tra i due poliziotti protagonisti. Nella versione americana la storia era più dipanata perché non si poteva focalizzare l'attenzione su questo rapporto per tutta la durata della serie. Nel fare questo cambiamento hanno un po' distrutto l'essenza della serie originale.Quali sono le sue responsabilità come sceneggiatore sulle scelte relative agli aspetti tecnici?
Ashley Pharoah: Oggi gli sceneggiatori hanno molto più potere dei registi e io mi trovo a prendere parte nella scelta del casting, della regia, dei tagli e vedo inoltre i giornalieri. In genere lavoro come scrittore fino alle sei di sera, quando di solito ci si rintana in un pub a bere birra, ma invece da quell'ora in poi comincia il mio lavoro come produttore. E non finisce mai.