La vita è così dura solo quando si è bambini?
La ragazzina interroga il sicario. Il sicario ci pensa su, guarda in basso, scruta quella piccola donna senza il tempo di essere bambina, e decide di non mentirle, di non proteggerla, di dirle semplicemente la verità: "È sempre così". La scomoda domanda proviene da una voce flebile, in uno dei rari momenti in cui Mathilda decide di mostrarsi fragile e vulnerabile. Potrà esserlo poche altre volte. E accadrà sempre al fianco dell'infallibile sicario che davanti alla ragazzina diventa indifeso. Sono loro due le anime in pena di Léon, il film di Luc Besson, arrivato nei cinema francesi esattamente 25 anni fa, in un lontano mercoledì 14 settembre 1994.
La storia di due persone che si trovano per caso, si annusano e si stringono l'una all'altra per provare ad andare avanti in un mondo balordo. Un rapporto, il loro, in cui disincanto e tenerezza giocano a braccio di ferro tutto il tempo. E sarà il dolce a vincere sull'amaro. Quasi un lusso in una New York sudicia e decadente, dove non si può mai abbassare la guardia. Perché il sicario e la ragazzina vivono dentro un quartiere dove volano pallottole, si sterminano famiglie e si ammazzano bambini. Nonostante il suo volto angelico, sotto i piedi di Mathilda si aprono presto le porte dell'inferno. La vita assurda e crudele bussa alla sua porta senza chiedere permesso.
E così il sicario e la ragazzina saranno uniti contro un Fato bastardo. Eppure, in questa guerra urbana che non conosce pietà, sarà la ragazzina a salvare quel sicario di nome Léon. Succede perché sarà proprio l'onestà a rendere il loro rapporto speciale. Un bene schietto, istintivo, viscerale come un film che tira dritto per la sua strada senza fermarsi mai. Oggi, in occasione del suo 25esimo anniversario, ricorderemo Léon attraverso i suoi pregi innaffiati dal tempo. Perché i grandi cult assomigliano davvero a piante che mettono radici impossibili da sradicare dalla storia del cinema. E Léon di piante ne sa qualcosa.
Una fiaba metropolitana
Un assassino infallibile che ammazza gente nei sobborghi di New York, un'allieva pronta a imparare tutti i trucchi del mestiere e un crudele agente della DEA da eliminare a tutti i costi. Le premesse narrative di Léon fanno pensare a un classico film d'azione, ma il film di Besson sfugge alle definizioni canoniche attraverso un'ibridazione tra i generi. Dentro Leon c'è il dramma, c'è la tensione del thriller, c'è la disillusione del noir. Però, in fin dei conti, Léon è soprattutto una fiaba. Una fiaba metropolitana che richiama la natura più cruenta dell'immaginario fiabesco, quello che parla di morte, orfani e sangue. Qui abbiamo un orso solitario che incontra una bambina alla quale uno spietato cattivo ha sterminato la famiglia. Nonostante un costante sottofondo di amarezza, Léon mantiene sempre accesa un scintilla di speranza, che divampa in un finale con cui la morale di Besson diventa lampante.
Quando il lupo e Cappuccetto Rosso si tennero per mano
E a proposito di fiabe, eccoci davanti al lupo e a Cappuccetto Rosso che si tengono per mano. Eccoci nel cuore pulsante nel film: il meraviglioso rapporto tra l'assassino e la bambina, il mentore e l'allieva, il padre putativo e la figlia inquieta. L'insolita relazione tra Léon e Mathilda è senza dubbio la colonna portante di un film che riesce a raccontare con grandissimo tatto l'amore tra due sopravvissuti. Due persone nate e cresciute ai margini, che dopo tanto tempo trovano nell'altro qualcosa di buono e di bello. Mathilda trova il padre protettivo e amorevole che non ha mai avuto, una guida che le insegni a vivere, a difendersi, a crescere. Semplicemente qualcuno che si prenda cura di lei nonostante la goffaggine del sicario. Léon, interpretato da un imploso e straordinario Jean Reno, trova nella curiosità della ragazzina una spinta vitale dimenticata da troppo tempo, una missione che non sia uccidere qualcuno ma far crescere qualcuno. Mathilda è la fugace prospettiva di una vita normale, di uno scambio reciproco di attenzioni per un uomo emotivamente bloccato e inibito, oltre che condannato alla solitudine. Questo trovarsi Besson lo racconta alla perfezione. E lo fa camminando su un filo sottilissimo, perché raccontare il puerile innamoramento di una dodicenne nei confronti di un adulto sarebbe potuto apparire facilmente scabroso. E invece no. Perché Léon è impregnato di tenerezza, dolcezza e impaccio in ogni sua inquadratura in cui è impossibile non affezionarsi al bene nato tra queste strambe anime gemelle.
Folgorazione Natalie Portman
Sigaretta e lecca e lecca. Sorrisi pieni di candore e pianti stracolmi di rabbia. Peccato e innocenza che si abbracciano tutto il tempo. Tutto questo giocato sul volto di una dodicenne esordiente. Impossibile parlare di Léon senza citare la folgorante prima volta sul grande schermo di Natalie Portman. Se Mathilda è diventata un personaggio indimenticabile lo deve soprattutto allo straordinario talento di una giovanissima attrice israeliana preferita a una "troppo matura" Liv Tyler diciassettenne.
Luc Besson si sofferma su una marea di primi piani per sottolineare la vasta gamma di emozioni che fuoriesce dal volto di un'attrice nata matura. Mai acerba anche a 12 anni, Natalie Portman riesce a farsi carico di un personaggio complesso, in cui convivono fragilità e forza, fame di vita e spirito distruttivo. Sulla soglia tra purezza e malizia, Mathilda è un personaggio inquieto, perfetta incarnazione di un'età instabile come l'adolescenza. Un concentrato di contraddizioni tutto giocato sul meraviglioso volto di una Portman che passa dall'angelico al diabolico in un batter d'occhio.
Il senso di una pianta
Molti grandi film cult si riconoscono in un oggetto, un simbolo che ne racchiude il senso. Léon non fa eccezione, perché è impossibile non legare il suo ricordo a una piccola pianta. Oggetto delle cure di Léon, il vegetale è il destinatario delle uniche attenzioni del sicario. Deluso e spaventato dalle relazioni umane, il nostro assassino riversa tutte le sue mancanze su un oggetto inanimato, che non fa domande, che non ha pretese e, soprattutto, non ha radici. Proprio come lui. La pianticella, poi, diventa qualcosa di più. Diventa un testimone che passa dalle mani di Léon a quelle di Mathilda, come emblema di un Bene da coltivare, innaffiare, seminare. La pianta di Léon sopravvive a Léon quasi come monito. L'ultima lezione del maestro per la sua allieva. Perché quella bambina non dimentichi mai quanto sia importante prendersi cura di qualcuno.