Alto, bello, elegante in un completo gessato che gli calza a pennello (ma lui ci rassicura "Non mi vesto sempre così. Stamani mio figlio mi ha visto e mi ha chiesto 'Dove vai così elegante?'"), Lee Byung-hun è molto lontano dai personaggi che lo hanno reso celebre come l'implacabile killer di A Bittersweet Life, lo spietato T 1000 di Terminato Genisys o il misterioso leader mascherato dì Squid Game. Ammette di ripudiare la violenza nella vita reale e questo lo aiuta a liberarsi rapidamente dei traumi dei personaggi. "Altrimenti sarebbe un bel problema".
Ospite per la prima volta del Florence Korea Film Fest 2024 per presentare il disaster movie Concrete Utopia, che mostra il day after di una piccola comunità dopo che un devastante terremoto ha distrutto la Corea, Lee Byung-hun conosce bene il capoluogo toscano: "Firenze è la città che preferisco, ci sono stato quattro volte con mia moglie. Conoscevo il festival da oltre dieci anni. Mi sono sempre detto 'Prima o poi ci andrò', ma finora il lavoro non me lo aveva mai permesso. Oggi sono molto emozionato a poter essere finalmente qui".
"Recitare mi ha salvato dai momenti bui"
Pur avendo alle spalle una lunga carriera e vantando collaborazioni con Kim Jee-woon (anche lui ospite di questa edizione), con cui ha fatto quattro film, e Park Chan-wook, oltre alla partecipazione alla serie rivelazione Squid Game, straordinario successo globale, Lee Byung-hun è molto cauto nel definire il suo approccio alla recitazione e spiega che "il percorso per prepararsi a un personaggio è sempre doloroso e frustrante. La creazione comporta grande fatica. In Concrete Utopia i personaggi vengono messi davanti a una situazione in cui perdono tutto e devono tirare fuori il loro vero io. Per me è stato molto interessante costruire questo personaggio, il punto di partenza è stato chiedermi 'Come reagirei io?".
Per l'attore coreano il lavoro è stato un punto fermo che lo ha salvato nei momenti bui. "Amo questo mestiere, ho trascorso più di metà della mia vita recitando" confessa. "Ci sono stati momenti di crisi in cui passavo le serate a bere per attutire il malessere, mi era difficile respirare. Ma quando sono tornato sul set nel momento del primo ciak mi è parso di respirare dopo tantissimo tempo, ho sentito un senso di libertà che non provavo da così tanto tempo. Indossare una maschera mi ha tolto il peso che avevo di dosso".
Squid Game 2: tutto quello che sappiamo sulla nuova stagione della serie Netflix
L'esperienza negli Stati Uniti
A differenza del popolare Song Kang-ho, star del premio Oscar Parasite che non sembra interessato a lavorare fuori dalla Corea, Lee Byung-hun ha all'attivo numerose partecipazioni a Hollywood, da Terminator Genisys a Red 2, dal franchise G.I Joe a I magnifici sette. "Il mio obiettivo non era lavorare a Hollywood, è capitato per caso" spiega lui. "Forse tra qualche anno mi metterò d'impegno per cercare ruoli in America, ma per ora mi concentro sulle storie che mi attraggono". Ripensando al lavoro nell'industria americana, racconta divertito l'esperienza più strana capitatagli sul set de I magnifici sette: "Abbiamo girato in un paesino sperduto vicino New Orleans dove c'erano solo foreste. L'afa era terrificante, oltre 40°, l'umidità oltre il 90%, l'atmosfera era soffocante, calda. Qui avevano ricreato questo villaggio del West. Lo staff era talmente ampio che c'erano persone addette a bada coccodrilli e serpenti. Ma la cosa più strana era che ogni giorno, in pausa pranzo, Chris Pratt spariva. Poi ho scoperto che andava a pescare nel ruscello, prendeva un pesce enorme, lo dava da cucinare allo chef e se lo mangiava".
Dopo aver toccato con mano il sistema americano, Lee Byung-hun non si sente di definirlo "meno coraggioso" rispetto a quello coreano. "Negli USA vige la regola di portare a casa il lavoro, non ci possono essere ritardi. Oggi Corea e USA si assomigliano sempre di più, ma prima non era così. Negli USA la pre-produzione è lunghissima e quando arrivi sul set è già tutto prestabilito, in Corea la pre-produzione più breve ci permetteva di cambiare anche all'ultimo minuto. L'idea del vetro trasparente nel bagno del love hotel di Inside Man mi è venuta la mattina stessa e dopo sei l'abbiamo potuta girare. Abbiamo solo dovuto trovare il vetro. Se questo è ritenuto coraggioso, diciamo che in Corea abbiamo meno paura dei cambiamenti".
Il ritorno in sala dopo la pandemia
Nell'analizzare la situazione dell'industria coreana attuale, Lee Buyng-hun non può non notare come oggi il disequilibrio tra campioni d'incasso e flop brucianti ("il problema è che non esistono più incassi medi e questo fa male all'industria") sia figlio della pandemia: "Si è trattato di un periodo molto duro. Ci sono cose che abbiamo perso, ma stiamo recuperando però non è ancora sparita la diffidenza nei confronti di luoghi di aggregazione come il cinema. C'è da dire però che la crescita delle piattaforme ha causato l'aumento dei contenuti e oggi una persona vede molte più cose".
E anche la cinematografia coreana ha una circolazione senza precedenti grazie alla rete e grazie alla spinta degli Oscar vinti da Parasite, che ha alla base un tema come la lotta di classe comunque a Concrete Utopia e a Squid Game. "Senza dubbio ci sono paesi dove il tema è più sentito perché versano in maggiori difficoltà, ma film come questi o serie come Squid Game hanno avuto successo a livello globale perché trattano un tema universale, la sopravvivenza". E di sopravvivenza, avendo interpretato ruoli estremamente fisici o memorabili cattivi, Lee Byung-hun ne sa qualcosa. Ma visto che nella vita è l'esatto opposto, si diverte a interpretare più l'eroe o il cattivo della storia? "Difficile rispondere" chiosa lui. "In primis viene la storia, scelgo sempre la più interessante. Mi piace scoprire il lato umano dei miei cattivi, comprenderne le motivazioni dei cattivi. In questo senso il processo per dar vita a un villain è più arduo, ma più divertente".