La Storia e la logica applicate al mondo delle star del cinema insegnano come ci sia spesso una divisione piuttosto netta per quanto riguarda i palcoscenici tra gli interpreti anglofoni e i non. I primi, appartenendo all'industria più riconoscibile a livello internazionale, giocano un campionato di grandi titoli, produzioni, prime pagine (una volta, ora forse meglio primi post sui social), mentre i secondi sono più "relegati" ad una condizione da interprete nazionale, spesso legato ad una sfera d'autore. La Storia e la logica applicate al mondo delle star del cinema insegnano che gli interpreti non anglofoni riescono, eventualmente, ad approdare sui set più famosi solo dopo essere riusciti a conquistare la notorietà grazie ad un percorso nel proprio Paese o appena oltre i confini domestici.
Poi ci sono le eccezioni. Casi in cui interpreti, pur non appartenendo alla categoria privilegiata, emergono da subito come stelle internazionali, portando avanti una carriera parallela, sia da grandi vetrine, che da film piccoli (come li definiva Godard). Un nome perfetto è quello di Léa Seydoux, l'attrice parigina ormai divenuto uno dei volti più importanti e conosciuti del cinema contemporaneo, specialmente dopo essere stata la Bond Girl definitiva, quella che ha fatto capitolare anche il più grande agente segreto del cinema. La carriera dell'interprete è talmente anomala da portare alla ribalta l'attrice in patria con il più classico dei drammi tv per poi condurla poco dopo in America per prendere parte a Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino, facendo sbocciare un amore con Hollywood tale da permetterle di interpretare Isabella d'Angoulême in Robin Hood di Ridley Scott.
Da qui Seydoux non si ferma più, legandosi in patria ad autori come Bertrand Bonello, Rebecca Zotlowski, Benoît Jacquot, mentre negli Stati Uniti collabora con Woody Allen, recita in Mission: Impossible, The Lobster di Yorgos Lanthimos, nel ritorno al cinema di David Cronenberg e inizia un sodalizio importante con Wes Anderson. Un trend che continua ancora oggi, quando troviamo l'interprete francese tra i nomi del cast di Dune - Parte 2 (uno dei film con l'ensemble più importante di questi ultimi anni), ma anche nel titolo di apertura della 77esima edizione del Festival del Cinema di Cannes, The Second Act di Quentin Dupieux. In questa lista vogliamo proporvi le migliori interpretazioni di Léa Seydoux, ripercorrendone la carriera e sperando di farvi scoprire qualcosa di nascosto tra i titoli altisonanti.
1. Lourdes (2009)
Appena dopo la sbornia hollywoodiana la giovane Léa Seydoux torna in Europa per il suo primo ruolo per il cinema di un certo rilievo nel film Lourdes, vincitore del FIPRESCI al Festival del Cinema di Venezia nel 2009, di Jessica Hausner, una delle autrici austriache più apprezzate di recente.
L'elemento del sacro calato tra gli interrogativi del profano e raccontato attraverso il viaggio di una donna in cerca di un miracolo perché costretta sulla sedia a rotelle. Una variazione sul tema del più classico dei road movie, giocato tra uno stile minimalista, quasi iperreale e un'ironia amara tipica di un certo cinema nordeuropeo, palese nel momento in cui l'evento portentoso avviene sul serio, ma la vita non finisce ugualmente, nel bene e nel male. Léa è suor Maria, una delle accompagnatrici della donna protagonista, calata perfettamente in un ruolo di supporto e raccordo tra il corpo oggetto d'interesse primario del film e il tono di contorno, specie nel momento in cui la pellicola amplia il proprio sguardo.
2. Sister (2012)
Una delle prove migliori di Léa Seydoux è ancora in suolo Europeo, stavolta alla corte della cineasta Ursula Meier, che la dirige in Sister, in concorso al Festival di Berlino del 2012, dove ha ottenuto una menzione speciale per l'Orso d'argento.
Un dodicenne vive con sua sorella più grande in una casa popolare. È lui a mantenerli, dato che la ragazza è costantemente sballottata tra un uomo e l'altro senza soluzione di continuità. Un equilibrio precario, che salta davanti ad una rivelazione sconvolgente che innesca una nuova storia, che può voler dire rinascita. Un pellicola dai due volti in cui il dramma famigliare si mischia al coming of age, grazie soprattutto alla prova dell'attrice francese, ancora una volta bravissima ad affiancare il giovanissimo protagonista del film, calandosi in dei panni che attraverso il loro cambiamento raccordano le due parti del titolo. Due volti, due parti, ricordando che è proprio il tema del doppio a muovere tutto l'intreccio.
3. La vita di Adele (2013)
Forse l'interpretazione più importante di Léa Seydoux perché quella che ha lanciato definitivamente la sua carriera, rendendola anche un'icona femminile importante, ricca di quel fascino drammatico ed europeo apprezzato anche oltreoceano.
La vita di Adele di Abdellatif Kechiche, adattamento della graphic novel Il blu è un colore caldo di Jul' Maroh, fu il caso cinematografico del 2013 nonché vincitore della Palma d'oro al Festival del Cinema di Cannes di quell'anno. Una pellicola controversa, da una parte oggetto di divieti e accusata di uno voyeurismo spesso gratuito, a causa della presenza di immagini etichettata come "al limite della pornografia"; dall'altra osannata dalla critica universale.
L'attrice affianca Adèle Exarchopoulos, trovando con lei un'affinità rarissima e regalando allo spettatore una delle storie d'amore adolescenziali più articolate, complesse, coinvolgenti e drammatiche del nuovo millennio. Un film sulla crescita, la scoperta di se stessi, sull'innocenza e sulla passione.
4. Spectre (2015)
Siamo arrivati al ruolo per eccellenza di Léa Seydoux nel mondo della grandi star, ovvero la Bond Girl nel franchise british più amato e imitato dagli americani (Indiana Jones e Mission: Impossible sono lì a testimoniarlo).
Nella lista abbiamo voluto citare Spectre, anche se ovviamente il titolo va in coppia con No Time to Die, dove l'attrice ha un ruolo forse ancora più centrale, ma a nostro avviso un po' meno ispirato rispetto alla sua prima comparsa nella saga del 2015. In quest'ultimo titolo infatti Seydoux è capace di riproporre ad una platea pop quell'equilibrio tra femme fatale e personalità fragile e solitaria.
Una prova che non solo ha dato un seguito all'approccio interpretativo di Eva Green (anche lei francese, guarda caso) in Casino Royale, ma è passata oltre, divenendo la donna che ha ucciso 007, modificando l'algoritmo delle sue relazioni con le donne e rendendosi protagonista dell'unico atto che poteva definitivamente toglierlo di mezzo: spogliarlo della sua armatura.
5. Roubaix, una luce nell'ombra (2019)
Altro cambio di scena. Ritroviamo Léa Seydoux in patria al centro di un classico polar transalpino ad alta tensione, ovvero Roubaix, una luce nell'ombra di Arnaud Desplechin, presentato in concorso a Cannes 72 e tratto dal documentario del 2008 Roubaix, commissariat central, che racconta di un caso di cronaca nera avvenuto qualche anno prima.
Un film che sfrutta il genere al massimo, lavorando con un meccanismo narrativo e visivo all'apparenza usuale per ampliare il ventaglio d'interesse a dismisura. L'indagine condotta dalla polizia a seguito dell'omicidio di un'anziana signora diviene una lente con cui tagliare la realtà sociale e antropologica di tutta la Francia contemporanea.
La Seydous, nel ruolo di una delle due ragazze indagate, è protagonista di un ruolo incredibilmente trasversale in cui passa da vittima a carnefice in continuazione, volto di una realtà popolare sconvolta, trascurata e incattivita. Lei è il fulcro in cui snoda tutta le sfumature morali che il genere esige, alzando di molto il livello del film e, come al solito, del cast intorno a lei.
6. The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun (2021)
Una scelta curiosa, ce ne rendiamo conto, perché si tratta di una prova da co-protagonista di un semplice episodio inserito in uno dei film più criticati di un maestro come Wes Anderson. Il film è The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun. L'episodio è quello di apertura, girato in bianco e nero, dal titolo "Il capolavoro di cemento" in cui Léa Seydoux veste i panni di un secondino che inizierà una storia d'amore con il suo prigioniero (interpretato da uno straordinario Benicio del Toro), un artista folle, fragile e talentuosissima, che farà della donna la sua musa per eccellenza.
In questo piccolo ruolo l'attrice francese fa un sunto dei suoi talenti, che sono quelli di sapersi calare in qualsiasi tipo di contesto, suonando sempre bene a seconda del regista o del genere, se lavora da sola o se è chiamata ad un ruolo di supporto. A questa fluidità si aggiunge una presenza scenica straordinaria e una capacità di riproporre sempre una femminilità complessa, variegata e mai scontata.
7. France (2021)
In France di Bruno Dumont, presentato in concorso a Cannes 74, troviamo un apice (per molti aspetti probabilmente l'apice) della carriera di Léa Seydoux, alle prese con un ruolo difficilissimo e che esula praticamente da tutte le altre prove della sua non sottovalutabile carriera.
L'esemplificativo titolo della pellicola è anche quello della sua protagonista, una giornalista divenuta famosa per i suoi servizi in zone di guerra e che ha conquistato una popolarità incredibile grazie alla narrazione di se stessa. Una destrutturazione del comunicatore in un modo che vive di immagini dalla verità parziale, in cui l'illusione regna sovrana. Tutto permeato dalla solita ironia francese figlia di Jacques Tati. La trovata è classica e anche un po' scontata se volete, ma trova una sua incredibile evoluzione con il cambiamento del film tramite il personaggio di Seydoux (che, l'avrete capito, è una delle più brave a cambiare panni e tono durante il film), divenendo una love story che sfocia in dramma caustico dai toni quasi grotteschi. La vita è sempre assurda, per quanto proviamo a raccontarcela in altri modi.
8. Un bel mattino (2022)
L'ultimo titolo è Un bel mattino di Mia Hansen-Løve, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del 75esimo Festival di Cannes e tratto dalla vicenda autobiografica della regista. Una pellicola che vive di quel naturalismo proveniente dalla Nouvelle Vague e che ancora aleggia nel cinema transalpino e non solo, proponendo con un tono realistico una trama piuttosto semplice (una madre single cresce suo figlio occupandosi del papà con una malattia degenerativa) cercando però altro. Quello che interessa alla cineasta infatti è andare oltre le movenze della vita quotidiana e portare alla luce la sfera emotiva che le anima. Léa Seydoux, in un assolo atipico, confeziona una prova molto matura, portando in scena una donna dalle molte anime e che esigeva un'interpretazione incredibilmente misurata. Tra i suoi affanni, le sue insicurezze e il suo procedere, intimamente a tentoni, ma all'apparenza sicuro c'è il senso della pellicola. L'attrice diviene il portale per accedere a quell'universo che è dietro lo stato delle cose, quello che ha interessato per anni il cinema francese.