"Io voglio l'eccitazione di guardarla mentre tradisce ciò che è più importante per lei. Certamente voi mi capite... non è 'tradimento' la parola da voi preferita?" "No: 'crudeltà' la considero di gran lunga superiore."
L'immagine d'apertura de Le relazioni pericolose, dopo i raffinati titoli di testa in cui una serie di lettere rievoca la natura di romanzo epistolare della fonte letteraria, è il primo piano di una donna riflesso nello specchio della sua toeletta. La donna, che osserva la propria immagine con una posa languida e un sorriso compiaciuto, è la Marchesa de Merteuil: nei tre minuti successivi, la sua elaborata vestizione mattutina sarà mostrata in parallelo con il risveglio e l'analogo rituale di preparazione dell'altro protagonista del film, il Visconte de Valmont. Come degli attori che si accingano ad entrare in scena, i due personaggi attendono che la servitù si occupi con il massimo scrupolo di abiti, cipria e parrucche, per poi guardare dritti verso la macchina da presa: Valmont e Merteuil sono pronti per la loro quotidiana recita, che si svolgerà nei salotti dell'aristocrazia francese alla vigilia della Rivoluzione, nell'apogeo dell'Ancien Régime.
Dal romanzo di Choderlos de Laclos al film di Stephen Frears
L'incipit de Le relazioni pericolose, quei tre minuti che, senza bisogno di parole, ci introducono la coppia al centro della storia, funge dunque anche da anticipazione del tema-chiave della pellicola di Stephen Frears, tratta dall'omonimo libro pubblicato nel 1782 da Pierre Choderlos de Laclos: un ufficiale dell'esercito francese che in questo suo unico romanzo avrebbe riversato tutto il proprio genio creativo. Il tema in questione, assai caro alla letteratura del Settecento, è la visione della società come un incessante teatro, in cui gli individui scelgono quali maschere indossare, sospesi in una perenne dicotomia fra essere e apparire; e con tanta più adesione si riesce ad aderire alla maschera, quanto più si ha la possibilità di trarre in inganno gli altri e di conseguire i propri obiettivi. È questa l'arte di cui Valmont e Merteuil sono gli incontrastati maestri e in cui si cimentano con feroce dedizione, dando avvio a una partita in cui i loro comprimari saranno manovrati come pedine.
Già alla base di una trasposizione cinematografica diretta da Roger Vadim nel 1959 (ma ambientata in età contemporanea) e di un paio di riduzioni televisive nel 1980, nel 1985 Le relazioni pericolose fa il suo fortunato debutto sui palcoscenici britannici in un adattamento a cura del drammaturgo Christopher Hampton, con Lindsay Duncan e Alan Rickman nei ruoli della Marchesa e del Visconte; nel 1987 lo spettacolo teatrale approda a Broadway con i medesimi protagonisti, e sull'onda dei consensi ottenuti Christopher Hampton ne realizza la sceneggiatura di un film, prodotto a tempo record nel 1988, con pochi mesi d'anticipo sullo splendido e sottovalutato Valmont di Milos Forman (che reinventerà quasi del tutto l'opera di Laclos). A dirigere lo script di Hampton viene chiamato Stephen Frears, versatile regista inglese che dopo una lunga gavetta televisiva si era fatto apprezzare nel 1985 per My Beautiful Laundrette, a cui avevano fatto seguito nel 1987 il dramma biografico Prick Up e la commedia Sammy e Rosie vanno a letto.
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Valmont e Merteuil: i grandi antieroi di John Malkovich e Glenn Close
Distribuito in America dalla Warner Bros il 21 dicembre 1988, Le relazioni pericolose si rivela uno dei più sorprendenti successi dell'anno e viene ricompensato con due BAFTA Award e tre premi Oscar: miglior sceneggiatura adattata, miglior scenografia e migliori costumi. Ad incantare le platee internazionali, al di là di una suggestiva ricostruzione d'epoca che stempera l'opulenza del décor nei toni freddi della fotografia di Philippe Rousselot, sono la vivacità sfrontata e la giocosa perversità di un intreccio che sovrappone due fili narrativi: da un lato il desiderio di vendetta della Marchesa de Merteuil di Glenn Close, determinata a far sì che l'ingenua nipote Cécile de Volanges (una Uma Thurman appena diciottenne) venga deflorata dal giovane Danceny (Keanu Reeves) poco prima di convolare a nozze con un suo ex-amante, il Conte de Bastide; dall'altro l'audace scommessa del Visconte de Valmont di John Malkovich, ovvero circuire e sedurre la morigerata Madame de Tourvel, che ha la bellezza angelicata di un'eterea Michelle Pfeiffer.
A suscitare ammirazione, nella pellicola di Stephen Frears, è il formidabile equilibrio che si instaura tra la sostanziale fedeltà al romanzo di Laclos, pur senza farsi ingabbiare dalla sua dimensione epistolare (nel film, le lettere sono utilizzate in primis come strumenti di raggiro), e la vibrante tensione di un racconto che trascende il suo contesto culturale d'origine, facendo leva piuttosto sulla caratura di personaggi assurti a veri e propri archetipi. John Malkovich, diventato un volto noto nel 1984 per Le stagioni del cuore e Urla del silenzio, si cala nei panni del Visconte di Valmont con un'intensità cupa e luciferina, che da lì in poi caratterizzerà diversi altri suoi ruoli; a bilanciare il fascino ambiguo del Visconte è il carisma irresistibile di una straordinaria Glenn Close, che appena un anno prima si era ritagliata un posto nell'immaginario collettivo grazie all'indelebile ritratto della psicopatica Alex Forrest in uno dei maggiori fenomeni di massa dell'intero decennio, Attrazione fatale.
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La regola del gioco: vincere o morire
Se Valmont viene dipinto da Malkovich come un villain spregiudicato, la cui corazza di cinismo sarà lacerata però da un inconfessabile sentimento nei confronti di Madame de Tourvel, tanto da condurre la storia verso i territori del melodramma, la Marchesa de Merteuil emerge quale la figura più intrigante del film, come del resto già accadeva nelle pagine di Laclos, proprio in virtù della beffarda ironia infusa da Glenn Close al personaggio e di una complessità che va ben oltre la sua crudeltà di facciata. "Non era il piacere che cercavo, era la conoscenza", dichiara la Marchesa in un indimenticabile monologo, rispondendo alla domanda su come abbia saputo 'inventare' se stessa in una società dominata dagli uomini; "E consultavo i più rigidi moralisti per la scienza dell'apparire, i filosofi per sapere cosa pensare e i romanzieri per capire come cavarmela. E alla fine io ho distillato il tutto in un principio meravigliosamente semplice: vincere o morire".
Valmont e Merteuil possono apparire due antieroi speculari l'uno all'altra, ma la loro alleanza si incrina nel momento in cui entrambi disattendono le regole del gioco a cui hanno dato vita, lasciandosi coinvolgere in maniera diretta e rivelando pertanto una fatale debolezza: è il motivo per cui, dall'iniziale "guerra dei sessi" combattuta con le armi dell'astuzia e dell'eros, il film assume le tinte fosche della tragedia, per culminare in un epilogo magistrale e a suo modo straziante, che non lascerà spazio ad alcun vincitore. Un epilogo suggellato da due scene che non potrebbero essere più emblematiche: le invettive a teatro da parte di una folla che dimostra così la sua ipocrita indignazione e il lungo, raggelante primo piano finale di Glenn Close allo specchio. Un ideale controcanto dell'incipit, con la Maschesa sconfitta che, al termine della 'recita', cancella ogni residuo di trucco da un viso rigato di lacrime e destinato ad essere inghiottito dall'oscurità.