Da Berlino a Berlino, un collegamento interessante. Eravamo qui al Festival tedesco quando iniziavano ad arrivare le prime preoccupanti notizie dall'Italia a fine febbraio 2020, siamo di nuovo qui ad assistere alla presentazione di un documentario che quel periodo intende raccontarlo. Si tratta de Le mura di Bergamo, il film di Stefano Savona presentato nella sezione Encounters che si concentra sulla zona di Bergamo nel periodo che ha avuto inizio a marzo del 2020, un progetto realizzato con il supporto di Danny Biancarsi, Sebastiano Caceffo, Alessandro Drudi, Silvio Miola, Virginia Nardelli, Benedetta Volabrega e Marta Violante, una produzione ILBE - Iervolino & Lady Bacardi Entertainment con Rai Cinema.
L'esplosione del Covid in Italia
Eravamo qui, dicevamo, quel 21 Febbraio 2020 quando le prime preoccupanti notizie ci arrivavano dall'Italia, ma Stefano Savona si è recato a Bergamo subito dopo, nel marzo di quell'anno, quando la città era un corpo malato dietro le sue mura, con le strade svuotate dal lockdown e gli abitanti smarriti e isolati. "È un film collettivo" ha spiegato Savona spiegando come sia stato realizzato con un gruppo di giovani registi suoi ex studenti alla scuola di documentario del CSC Palermo, "abbiamo iniziato a sentirci verso metà marzo quando le prime immagini assurde arrivavano da Bergamo e ci dicevamo che sarebbe stato interessante farci qualcosa."
In questo contesto è arrivata la telefonata di Iervolino, che ha proposto a Savona di realizzare un film su quello che stava accadendo. Tutto è iniziato così e da quell'iconica immagine dei carri che trasportavano i corpi. "Mi sono detto: andiamo a Bergamo, una città in cui non ero mai stato in vita mia e che ho scoperto molto diversa da come mi immaginavo." Così il regista è partito da Parigi che nel frattempo aveva abbandonato gli sfottò nei confronti dell'Italia già ferita per scoprirsi a sua volta territorio Covid, mentre un gruppo di ragazzi partiva da Palermo. "Pian piano" ci ha detto "con grande pazienza ma senza entrare a gamba tesa, abbiamo iniziato a raccontare."
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Le riprese sul campo
Stefano Savona, uno dei documentaristi più interessanti che abbiamo in Italia, ci ha parlato di un anno di riprese e un ulteriore anno di lavoro al montaggio. "Un bene" ci ha detto "perché ci ha permesso di rispondere a domande che avranno ancora un senso tra dieci anni. Perché ora possiamo spostare questa storia dall'ambito della cronaca a quello della storia." Questa la scommessa, una ulteriore difficoltà tra le tante pratiche da affrontare nel corso delle riprese, tra vincoli pratici e scelte etiche.
"Eravamo visibili ma distanti. La logistica dell'ospedale degli Alpini, ricavato nell'attuale fiera di Bergamo, aveva lo spazio per poter filmare con teleobiettivi ma senza essere a contatto" ci ha spiegato, ma in alcuni casi è stata una scelta piuttosto che una esigenza concreta, per tenere la giusta distanza e rispetto per le persone che soffrivano e che si è preferito non inquadrare. "In tutta la prima parte non abbiamo voluto mostrare i visi" ha spiegato infatti, perché "sono diversi pazienti che compongono una figura quasi astratta."
Le storie de Le mura di Bergamo
Se in alcuni casi non si è inquadrato chi soffriva, discorso diverso per le testimonianza raccolte dopo, gli individui che hanno seguito e ancora seguono, che sono diventati parte del progetto e hanno voluto seguire la premiere de Le mura di Bergamo anche a Berlino. Un rapporto creato a posteriori, perché "come fai a raccontare la storia di qualcuno che conosci solo in un momento di grande tragedia?" Diverso il discorso con il personale sanitario: "li abbiamo filmati e resi protagonisti, perché volevano raccontare quello che stavano facendo a una collettività che aveva bisogno di capire." Era il momento dello scetticismo, della difficoltà di credere, e molti si sono messi in gioco per mostrare quello che stava accadendo nelle terapie intensive.
Un documentario per metabolizzare
"Per molti è stata un'esperienza chiave tra il prima e il dopo" ha detto ancora Savona, un momento di transizione tra la vita precedente e quella successiva. Una transizione nel mezzo della quale c'è stata l'incoscienza, supportata in montaggio per rendere quella fase di "parziale coscienza" del corpo, in cui le persone seguite erano distanti e percepivano molto di quanto gli accadeva come in un sogno, "frammenti di memoria che sono come delle schegge" alcuni delle quali positive e forse per questo anche più dolorose, come nell'Inferno dantesco.
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La forza delle immagini, l'assenza della politica
In questo racconto due aspetti emergono: una parte una relativa assenza della politica e delle istituzioni, dall'altro la forza delle immagini mostrate. "Da un lato sono interessato agli aspetti politici e giudiziari" ha dichiarato il regista de Le mura di Bergamo, "ma dall'altro lato mi rendo conto che questo aspetto è stato trattato molto di più dai mezzi d'informazione. È come se in Italia si possa parlare di questi eventi solo in questa maniera, quindi il film cerca di raccontare altro perché gli aspetti politici sono già stati approfonditi."
Un passo indietro fatto anche nel decidere cosa mostrare e nello scegliere di tenere fuori alcune immagini più forti già mostrate altrove. Ciononostante il film colpisce con durezza, "forse perché è passato del tempo e ci stiamo dimenticando di alcune cose viste tre anni fa". D'altra parte i film servono anche a questo, come ci ha spiegato Savona, "a metabolizzare non ad accompagnare rimozioni."