Deciso a realizzare un film sulla lotta libera, da sempre uno dei suoi sport preferiti, Thomas McCarthy si è ritrovato dopo varie riflessioni a scrivere e dirigere una storia di grande attualità, di elevato valore metaforico, con protagonista un uomo che, spinto dalla crisi economica e dalla paura di non riuscire a farcela, opta per alcune scelte sbagliate rischiando di mettere in crisi l'unica cosa che conti veramente nella vita: la sua famiglia. I sobborghi residenziali americani raccontati attraverso la storia di Mike, interpretato da Paul Giamatti, allenatore di lotta per hobby e avvocato di professione che per risolvere i suoi problemi economici decide di approfittarsi dell'incapacità di intendere e volere di un anziano signore benestante i cui parenti non si fanno vivi da anni. Il tutto proprio nel momento in cui il nipote adolescente del suo 'assistito' decide di fuggire dalla madre e andare a cercare a casa del nonno un po' di conforto e di tranquillità. Attraverso la sua esperienza personale Mike racconta molto della situazione odierna, della crisi finanziaria che sta investendo il mondo e sulla crisi a livello etico e umano che ci travolge ogni giorno mentre lottiamo contro lo sfacelo non per migliorare la nostra condizione di vita ma per sopravvivere e al massimo riuscire a mantenere quella attuale. Questo è quello che ci ha raccontato Tom McCarthy di questo suo nuovo film, il terzo dopo The Station Agent e L'ospite inatteso, presentato in anteprima e in concorso al 29° TFF.
Come era già accaduto per L'ospite inatteso si parla di un uomo in crisi che si ritrova ad affrontare situazioni che lo cambiano, solo che in questo caso l'uomo non è solo in crisi con se stesso ma è anche fuori sincrono con un mondo a sua volta in grossa crisi e che sta andando a rotoli. Quanto questo elemento ha secondo lei influito nelle sue decisioni?
Thomas McCarthy: L'esperienza di Mike è frutto della lotta che deve intraprendere ogni giorno per riuscire a vivere nella società odierna, con la consapevolezza che la situazione può solo peggiorare nei prossimi anni e che non si vedranno miglioramenti a breve termine. A farne maggiormente le spese sarà la media borghesia che dovrà confontarsi con una pressione quotidiana troppo grande e dovrà cercare di dare un senso alla propria esistenza senza crollare sotto i colpi della crisi. Quando si ha una grande tensione addosso, dovuta alle responsabilità, alla paura di non poter far fronte ai bisogno dei figli, ai debiti o ai mutui ad esempio, dare un senso alla propria vita diventa sempre più difficile. Mike non è un uomo depresso, ama la sua vita e la sua famiglia, il suo problema è mandare avanti la baracca.
Thomas McCarthy: Non è importante avere una seconda possibilità nella vita o decidere se è il caso di darla o meno, la cosa veramente interessante è vedere cosa ne fai di questa seconda chance una volta che ti viene concessa. Spesso siamo talmente distratti da non accorgerci nemmeno che ci sia stata data. E' nel momento in cui Mike si ritrova a chiedere una seconda chance al ragazzo che si rende conto di averne bisogno e di aver fatto una cosa grave.
Anche i personaggi secondari hanno grande importanza nella storia di Mosse vincenti, pensiamo al nonno o alla madre ex-tossica del ragazzo...
Thomas McCarthy: Le mie scelte sono andate proprio in questa direzione, volevo che si creasse una sorta di comunità tra loro anche se non interagiscono tutte direttamente hanno molto in comune, soprattutto perchè tutti dipendono da qualcuno e si affidano l'uno all'altro per cercare di sopravvivere e di superare le difficoltà.
L'anziano Leo rappresenta l'America del benessere ormai scomparsa? Secondo lei l'unico modo per superare la crisi è farsi aiutare dai nostri genitori o da chi ha accumulato ricchezze vivendo in maniera modesta anche avendo possibilità maggiori in previsione di periodi difficili?
Thomas McCarthy: Per me Leo rappresenta una generazione lungimirante che ha potuto risparmiare, proprio quello che le persone oggi giorno non riescono a fare. Tutti noi pensiamo di meritare di più di quello che abbiamo ma con le nostre forze non riusciamo a fare più nulla. Anche il titolo originale Win Win riflette questa peculiarità, questo modo di vivere di una generazione che si illudeva fino a poco tempo fa di vincere sempre. Abbiamo acceso mutui, comprato case senza avere soldi a disposizione, abbiamo vissuto tutti al di sopra delle possibilità, per questo tutto quel che sta accadendo ci vede responsabili in prima persona. Ognuno di noi dovrebbe assumersi le proprie responsabilità e non sempre e solo dare la colpa a Wall Street.
Thomas McCarthy: Indubbiamente sì, se parliamo però di etica nei rapporti personali oltre che a quella imposta dall'amministrazione o dalle regole del vivere civile. Il film parla di questo, tendiamo ad aggirare le regole quando si tratta del nostro lavoro e siamo arrivati dove siamo arrivati, ma la cosa davvero grave è che estendiamo questi raggiri anche a livello umano e personale. Il pasticcio in cui ci troviamo è in larga parte stato causato dai grandi gruppi bancari americani, non da singoli esseri umani cattivi ma da un gruppo di persone che hanno fatto scelte sbagliate ed egoistiche. E' difficile essere buoni ed allo stesso tempo fare anche le scelte giuste. Il guaio è che abbiamo sempre la giustificazione pronta, chi sbaglia mette spesso di mezzo problemi familiari senza rendersi conto di aver fatto comunque qualcosa di bagliato, non basta andare in chiesa a chiedere perdono, c'è bisogno di autoregolamentazione morale.
E' per via della crisi attuale che il suo cinema si è 'ammorbidito' negli ultimi tempi?
Thomas McCarthy: Quando ho iniziato a lavorare al film il desiderio era di fare un film sulla lotta libera, poi si è aggiunto il desiderio di una riflessione più profonda sulla moralità e sulle regole, sui media era un continuo succedersi di notizie catastrofiche e allora ho deciso di raccontare due cose insieme e di fonderle in un'unica storia rendendo il tutto molto più attuale.
Ha dichiarato che si sarebbe potuto trattare di qualsiasi altro sport, dunque perchè ha scelto la lotta libera?
Thomas McCarthy: Quando ero ragazzo ho praticato la lotta libera, è uno sport che amo e che il cinema ignora quasi totalmente, negli Stati Uniti è considerato secondario, forse è per questo che ho voluto dare più risalto a questa disciplina. Non nego che ero molto attratto anche dal lato metaforico della lotta sportiva che nella storia scorre parallelamente alla lotta esistenziale che il protagonista, in fondo una brava persona, intraprende con se stesso per cercare di giustificare un'azione molto scorretta che non avrebbe mai pensato di commettere.
Ha scelto Giamatti perchè sa farsi amare anche se fa il cattivo o per altre ragioni?
Thomas McCarthy: ho scelto lui perchè lo conosco dai tempi dell'università, perchè ho sempre pensato a lui sin da quando ho iniziato a scrivere questa sceneggiatura e soprattutto perchè raramente ha avuto l'opportunità di interpretare un uomo felice che sta bene con se stesso e ama la vita nonostante le difficoltà.