Manca ancora un mese all'uscita di Le Mans '66 - La grande sfida, che sarà in sala il 14 Novembre per 20th Century Fox, ma ci siamo già immersi nel mondo delle corse automobilistiche che racconta con passione e umanità. Ce lo siamo fatti raccontare dal regista James Mangold in una conferenza romana ricca di dettagli sulla lavorazione di un film che mette in scena la grande sfida citata dal titolo e resa ancora più esplicita dal titolo originale Ford vs Ferrari, che richiama la volontà della casa automobilistica americana di imporsi nel settore delle corse dominato dalla scuderia di Enzo Ferrari. Nel film è un'icona del nostro cinema come Remo Girone a interpretare il costruttore italiano, il nome più importante tra gli Italiani presenti nel cast, che ha accompagnato il regista alla presentazione romana.
L'umanità di Le Mans '66
Le Mans '66 è però un film che racconta, più di ogni altra cosa, l'impresa di alcuni uomini, il sacrificio, lo sforzo, il lavoro di squadra e l'eccellenza di un cammino che culmina nella gara di 24 ore che dà il titolo alla pellicola nelle sue versioni europee. Un risultato ottenuto con un gran cast al servizio di un autore capace di valorizzarlo. "È un grande direttore di attori," dice Remo Girone del suo regista James Mangold, "ha un occhio molto attento e si accorge subito se un interprete dà l'impressione di recitare e di non essere entrato nel personaggio." Un'abilità ripagata dalla dedizione dei suoi interpreti, che Mangold elogia: "Sia Christian Bale che Matt Damon sono persone facili. Amano il loro lavoro e per questo è semplice lavorare con loro. Ma è un film pieno di grandi attori e io sono come un padre per tutti loro. Bisogna essere una squadra e con loro è facile perché sono attori molto generosi che amano il loro lavoro. Ho avuto la sensazione di fare un film con degli amici."
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A dettare la fase di casting per James Mangold è la continuità tra attori e personaggi: contrariamente a quanto pensano alcuni colleghi, preferisce "trovare attori che si identifichino con il proprio personaggio. Cerco di trovare persone che condividono gran parte della personalità di chi stanno interpretando." E parlando di Remo Girone chiarisce come sia stato da subito la sua prima scelta per Ferrari e l'attore è felice che sia stato così: "Ferrari è un personaggio importante della storia italiana," ha spiegato, ricordando come molti dei piloti presenti sul set per guidare le auto, ricostruite e funzionanti, si fossero voluti fare una foto con lui in quanto Enzo Ferrari, un'icona del nostro automobilismo.
Ricostruire la storia
Grandissima attenzione è stata riservata alla ricostruzione dell'ambientazione degli anni '60, in modo particolare per quanto riguarda le auto che, come detto, sono state ricostruite a grandezza naturale e funzionanti. Una ricerca effettuata da un team di persone attraverso libri, lettere e documenti filmati. "Quel che queste persone hanno fatto," ha spiegato Mangold, "è qualcosa di pubblico con tante registrazioni dell'epoca che ci hanno guidati." E fa riferimento a una scena in particolare, la sua preferita, tra il Ken Miles di Bale e il figlio sulla pista d'atterraggio al tramonto. "Christian ha trovato una piccola intervista a Miles e l'abbiamo resa in dialogo."
Si ricollega a questo discorso anche Girone che aggiunge come "oggi per un attore è più facile, perché con Internet si può accedere a tanto materiale. Ho guardato interviste a Ferrari e a tanti collaboratori che parlano di lui." L'esigenza di ricostruire le auto è ovvia: se anche esistessero modelli funzionanti delle auto di cui si racconta, costerebbero trenta milioni di dollari, "un terzo del budget del nostro film" e nessuno le farebbe correre col rischio di rovinarle. Aggiunge però che avevano preso in affitto una GT40 originale, "ma l'abbiamo tenuta lì, non l'abbiamo certo fatta girare in pista!" E spiega come nella sala corse della Ferrari che si vede nel film ci siano molte auto originali dell'epoca. Ovviamente ferme.
L'etica delle corse
Tutta l'ultima parte del film mette in scena con vigore il mondo delle corse, comprese alcune discutibili scelte morali che qualcuno ha considerato antisportive. "Non faccio film sugli angeli," specifica James Mangold, che spiega come tutti quelli che sono ai box siano concentrati sulla vittoria finale e quella che si svolge è anche una guerra psicologica. "In una gara come Le Mans la sola velocità non assicura la vittoria", perché è una gara che dura 24 ore ed è necessaria affidabilità e capacità di tenere la tensione per un tempo così lungo. "È un test di sopravvivenza" aggiunge ancora e se un errore di progettazione esiste, verrà sicuramente alla luce. E il dato di fatto, a dispetto di sotterfugi e piccoli imbrogli che il film mette in scena, è che la GT40 è stata la miglior macchina in pista, tanto che ha trionfato per più anni di seguito.
Gli si chiede se quella sfida di Ford contro Ferrari possa essere una metafora del mondo in generale e di Hollywood in particolare, con lo scontro tra grandi aziende e artisti e conferma che lo sforzo di fare film non è diverso dall'impresa di Shelby e Miles, i personaggi di Damon e Bale che alla fine riescono nell'impresa, che è necessario convincere gli altri della realtà del sogno. "Ora è tutto più difficile, è vero, è tutto relativo a questioni aziendali" ma aggiunge anche che "ho dovuto combattere molte volte per fare film, ma in questo caso abbiamo ricevuto grande sostegno, perché se fai un film che fa incassare molti soldi, è più facile fare il successivo." E Logan ha sicuramente avuto questo effetto su Le Mans '66.
La forza della messa in scena
Il film è però anche ricco di grandi e potenti immagini. Una riuscita miscela di pianificazione, lavoro di stunt e montaggio, da mettere insieme con esperienza per ottenere questo risultato. "Ho un team affiatato, lo stesso montatore da vent'anni. Ci prepariamo, facciamo prove. La sfida è stata di realizzare qualcosa che su schermo fosse entusiasmante" mentre per lui le corse automobilistiche non lo sono mai. Si è chiesto così cosa facevano in televisione che trovava così noioso e ha capito che riguardava le motivazioni dei piloti, anche qui l'umanità: "perché acceleri, perché freni, cosa pensi e provi nell'auto?" Merito anche del direttore della fotografia Phedon Papamichael con il quale è molto amico. "Siamo quasi fratelli, come Shelby e Miles. Ci vogliamo bene, litighiamo" e hanno fatto già cinque film insieme, sempre concentrati sulla vita interiore dei personaggi che raccontavano, piuttosto che sul genere. "Ho cercato di fare film che le persone ricordino, che mi hanno fatto provare qualcosa. L'effetto speciale che non si può acquistare è fotografare il volto umano e percepirne i pensieri. È quello che il cinema sa fare."