Era il 1992 quando un giovane ragazzo di 29 anni, cresciuto a pane e film, presentava al mondo il suo primo lungometraggio dal particolare titolo di Reservoir Dogs, in Italia Le iene (anche se inizialmente venne distribuito con il titolo Cani da rapina). Quel giovane ragazzo era Quentin Tarantino e il resto è storia. Sono passati quasi trent'anni da quell'esordio che scosse la cinematografia mondiale e mise in mostra il talento del regista, non solo per lo stile, ma soprattutto per la scrittura, un marchio di fabbrica che si ripeterà due anni più tardi quando il suo secondo lungometraggio vincerà la Palma d'Oro al Festival di Cannes. Su Le iene, nel corso di questi anni, si è detto tutto e il contrario di tutto (come è normale che sia per dei film cult di registi cult), c'è chi lo ritiene un esordio notevole ma ben lontano dal vero talento del regista di Knoxville e chi lo classifica ancora oggi come il film più puro di Quentin Tarantino. Eppure su una cosa possiamo essere tutti concordi: il finale del film racchiude in pochi minuti tutto il cinema del Tarantino che verrà.
Film de-genere
Che film è Le iene? Un thriller? Un neo-noir? Un giallo crime? Una commedia nera? Ci sono sei gangster, alcuni professionisti altri alle prime armi, che vengono chiamati solo con nomi fittizi che riprendono personaggi di finzione usciti dalle pagine di un fumetto: dovrebbero essere criminali temibili e invece discutono sulla scelta del loro colore perché non è abbastanza figo (Mr. Black è meglio di Mr. Pink). C'è il classico colpo alla gioielleria degli heist movies che però noi non vediamo mai: sappiamo cosa succede prima, sappiamo cosa succede dopo, ma tutto ciò che avviene nel mezzo è raccontato attraverso i ricordi dei protagonisti. C'è un mistero da svelare ovvero capire chi è l'infiltrato della polizia che ha tradito la banda e tutti sembrano nascondere qualche ragione per averlo fatto (anche se vi consiglio di cogliere l'indizio nei titoli di testa, a patto che abbiate già visto il film). Ma ci sono anche conversazioni quotidiane ("Sapete di cosa parla Like a virgin di Madonna?") pronunciate con un linguaggio sboccato e comune, momenti in cui si ride parecchio e permane quel senso di piacevole incertezza sul trovarci di fronte a personaggi di un film sopra le righe o persone comuni che si atteggiano a fare i criminali. Al suo primo film Tarantino gioca col cinema di genere, quello low budget violento, il cinema distante dal mainstream e destinato per un pubblico di nicchia (già in questo esordio vediamo, soprattutto nel linguaggio, la sua passione per i film della blaxploitation) dando vita a un ibrido che è reso possibile solo grazie a lui. Non si può classificare un film scritto e diretto da Quentin Tarantino all'interno dei canoni consolidati: sarà sempre un'alterazione rispetto alla tradizione, un qualcosa di fuori dall'ordinario, un film - per l'appunto - di Quentin Tarantino.
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Una struttura non ordinaria
Lo sappiamo: a Tarantino piace giocare con il racconto non lineare, passando velocemente dal presente al passato. Pensiamo alla struttura particolare di Pulp Fiction e Kill Bill, ma anche, seppur in misura sicuramente minore, alle sue ultime opere (dove, però, il tutto assume una dimensione ben più ristretta e limitata; fa eccezione The Hateful Eight - che ha molti punti di contatto con Le Iene - dove un intero capitolo a tre quarti del film è ambientato temporalmente prima dell'inizio). Tutto questo è già presente ne Le iene: non c'è una vera e propria divisione in capitoli come nei suoi film successivi (e che diventerà un vero e proprio marchio di fabbrica), ma il film viaggia continuamente tra presente e passato senza mai essere confusionario. Guardare un film di Tarantino significa addentrarsi in un gioco sempre divertente e appassionante dove il racconto non lineare è un fattore ludico che, anziché complicare la narrazione, impreziosisce l'intrattenimento. Scoprire chi è la talpa poco dopo la metà del film non rovina la tensione che permea la storia, ma la amplifica: è il momento giusto per rivelare la verità su Mr. Orange, scoprire come si è infiltrato e avere tutte le informazioni apparecchiate per poterci godere il finale nel migliore dei modi.
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Amare il cinema
Vedere un film di Tarantino significa avere a che fare con l'incarnazione del cinema: il suo approccio postmoderno composto da citazioni, rimandi, giochi coi generi e riferimenti ad altri film di ogni cinematografia e ogni epoca è la stampa su pellicola dell'amore per il cinema. I personaggi sono intrisi di quella cultura cinematografica e si ha la sensazione (rara da trovare in molti film) di trovare una finestra su un mondo dove il cinema è presente: i personaggi guardano i film, li imitano, li conoscono e, di conseguenza, prendono di riferimento i loro modelli attoriali. La stessa storia di copertura che Mr. Orange deve imparare a memoria non è altro che un lungo provino: un'audizione per entrare nel personaggio dando vita a un percorso di scatole cinesi dove il poliziotto deve interpretare un criminale che a sua volta interpreta un individuo senza nome, così talentuoso che la sospensione dell'incredulità non viene mai a mancare se non nel finale. E proprio quel finale western, quello stallo messicano (che vedremo anche in futuro, il più celebre in Bastardi senza gloria nella cantina), dove tutti i personaggi sono destinati a morire fa parte della poetica del regista ed è presente in ogni suo film. La tensione che porta a un'esplosione di insana ed esagerata violenza, una violenza ludica e divertente, breve nel suo mostrarsi rispetto all'attesa (ricordate quanto dura la preparazione al massacro nella villa di Candy in Django Unchained rispetto alla vera e proprio sparatoria?). La violenza che è sempre una liberazione, che sia una spinta di vendetta (Louis che uccide Melanie in Jackie Brown, La Sposa contro i suoi ex compagni sicari in Kill Bill, Shoshanna in Bastardi senza gloria, Cliff contro gli hippies in C'era una volta a... Hollywood) o che sia un modo per sfogare le proprie frustrazioni (lo stesso Mr. White che a malincuore spara a Mr. Orange, Warren e Mannix che impiccano brutalmente Daisy Domergue in The Hateful Eight, Stuntman Mike in Grindhouse - A prova di morte). Ma potremmo anche dire che i personaggi dei film di Tarantino, criminali, dal passato violento, volgari e scurrili nel linguaggio, sono destinati a morire perché è ciò che il pubblico desidera: si ha la consapevolezza di star guardando un film e nulla è più divertente, come nell'horror e negli slasher, della violenza. A partire da Le iene assistere a un film di Tarantino vuol dire divertirsi con la violenza, quasi per esorcizzarla. I personaggi muoiono, ma il cinema vive.