E' stato un incontro piuttosto teso, quello svoltosi al Festival di Roma tra la stampa e il cast tecnico e artistico della miniserie televisiva Le cose che restano, che sarebbe stata presentata in anteprima al pubblico, sotto forma di film unico, qualche ora dopo: i giornalisti presenti non hanno fatto mistero della propria (comprensibile) irritazione nel dover improvvisare domande su un prodotto non ancora visto, neppure parzialmente, pur tenendo conto della sua notevole durata (complessivamente sei ore). Il produttore Angelo Barbagallo ha spiegato le ragioni di questa scelta, pur declinandone la responsabilità agli organizzatori del festival. "Cerchiamo di stare calmi", ha risposto alle prime rimostranze. "L'unico motivo per cui non è stata organizzata nessuna anteprima è la durata dell'opera. Non c'è stato nessun disegno preordinato per organizzare una conferenza stampa prima di far vedere il film. Si è semplicemente pensato che fare un'anteprima di una fiction televisiva lunga sei ore avrebbe creato problemi anche a voi. Probabilmente è stato un errore, ce ne dispiace. Comunque non è stata una scelta nostra, ma del festival, ma voglio che sia chiaro che non dico assolutamente questo in polemica con l'organizzazione".
Alla richiesta di raccontare comunque qualcosa sull'argomento del film, lo sceneggiatore Stefano Rulli risponde così: "E' impossibile raccontare un film di sei ore. Posso dirvi che la storia è incentrata su una famiglia borghese che vive una vita apparentemente felice, che all'improvviso deve affrontare la perdita del figlio minore. A quel punto la vita della famiglia viene sconvolta, la casa progressivamente si svuota perché gli altri figli iniziano a cercare una propria strada, consci di attraversare un momento chiave della propria esistenza. Nel film è presente una forte riflessione sulla famiglia e sulla modernità, e su come certe scelte cambino il significato stesso di famiglia." A prendere la parola è poi Titti Andreatta di Rai Fiction, che ha co-prodotto il film. "In un certo senso è un seguito di La meglio gioventù", ha spiegato. "Mentre quest'ultimo era focalizzato sul passato, il nostro film racconta la famiglia nel presente, e il presente per sua natura è fatto di una materia molto più fluida, in continuo movimento. La nostra scommessa era però quella di fissare alcuni temi forti, caratterizzanti i nostri tempi, come l'immigrazione e l'omosessualità. Il titolo iniziale era The Home, poi abbiamo scelto quello attuale ispirandoci a un verso di una poesia di Emily Dickinson". La discussione verte poi sulle peculiarità del linguaggio televisivo, che negli ultimi anni è spesso scadente. "I film e la TV sono fatti dai singoli", ha detto il regista Gianluca Maria Tavarelli. "Non si può generalizzare affibbiando etichette di serie A e serie B. E' vero, spesso la televisione viene fatta in modo sbagliato, si sottovaluta lo spettatore, ma questo non vuol dire che qualsiasi prodotto televisivo debba essere considerato di secondo piano. Il nostro è stato un lavoro enorme a livello di sceneggiatura e produzione, e ha richiesto un grande impegno a tutti."Sull'insolito ruolo interpretato da Claudio Santamaria, che nel film veste i panni di un personaggio gay, l'attore risponde così: "Ci siamo interrogati su come rendere quel personaggio, e abbiamo deciso di farlo nel modo più naturale possibile. Abbiamo voluto evitare di dare caratterizzazioni marcate, e stereotipate, della sua omosessualità. Non si vede che è gay. Julianne Moore ha detto che il futuro è gay? Mah, non so cosa volesse dire, forse ha parlato per fare promozione al suo film." Sul tema dell'immigrazione, anch'esso toccato dal film, l'attore ha continuato: "Il mio personaggio lavora per il ministero e deve monitorare i flussi di immigrati clandestini. Il punto di vista è insolito, inedito. La sua è un'apertura, graduale, alla comprensione." Anche Lorenzo Balducci, che nel film interpreta il fratello più giovane, ha toccato l'argomento: "Il mio personaggio supera dei tabù, e ad un certo punto si trova a capire, e a voler aiutare gli immigrati. Anche l'omosessualità è un tabù che lui supera. E' il figlio superstite più giovane della famiglia, e quindi anche il più inquieto, quello che non si accontenta delle risposte che gli vengono date" Paola Cortellesi, invece, parlando del rapporto col personaggio da lei interpretato (la sorella) si è concentrata sull'aspetto emozionale. "Quando si recita si va a scavare nella propria vita per creare il personaggio", ha detto. "E' un processo emozionale. Nel mio caso ha aiutato anche l'amicizia con Claudio, che nel film è mio fratello".
Parlando più in generale del film e dei temi che affronta, l'attrice Daniela Giordano, che veste i panni della madre, ha invece detto: "E' un film che è una grande metafora, con i personaggi ci si può identificare a più livelli. In una famiglia moderna, borghese, apparentemente felice, il lutto rappresenta una scintilla che fa crollare un'impalcatura di finzione. Riguardo al mio personaggio, è importante il suo rapporto con la memoria: quello che ci dice, nel film, è che non esiste futuro senza memoria." Ennio Fantastichini aggiunge: "Io interpreto Pietro, il papà. E' un personaggio con una funzione forte, in certi momenti acquista valenze quasi zen, visto che mette da parte i suoi problemi personali e diventa quasi un pedagogo. Il film racconta senza premeditazione, ma al contrario in modo poetico, un mondo in cambiamento. Interpretare Pietro mi ha fatto riflettere molto sulla mia vita e anche sul rapporto con mio figlio, che ha 14 anni, mi sono portato molto del mio lavoro a casa, e dall'altra parte ho portato molto della mia vita sul set." Lorenzo Balducci è poi tornato sull'argomento: "Il fratello da me interpretato, per esempio, ha un bisogno quasi fisico di allontanarsi dalla famiglia. E' un momento che attraversiamo tutti, quando si cresce si sente con più chiarezza il tipo di persona che si vuole essere. Comunque io penso che quando ci si allontana dalla propria famiglia, in realtà ci si dà un appuntamento a più tardi, per potersi poi ritrovare".