Non parlatele di successo raggiunto o di carriera in discesa. Laura Luchetti, regista e sceneggiatrice di Febbre da fieno, da venerdì 28 gennaio nelle nostre sale, ha sì grinta da vendere, ma anche tanta umiltà. E a giudicare dalla solida gavetta che si è costruita negli anni (ha lavorato in diverse produzioni internazionali come Il talento di Mr. Ripley di Anthony Minghella e Rapimento e riscatto di Ridley Scott), l'atteggiamento prudente non è affatto la maschera fasulla di chi mette le mani avanti. Adesso per la Luchetti è arrivato il momento di far sentire al pubblico la sua voce, attraverso un film dal respiro internazionale (è in concorso nei festival di St. Louis, Atlanta, Sacramento, Cleveland, Albuquerque, Oporto e Jaipur) che si distacca dalle solite commedie made in Italy, una storia nostalgica sulle seconde opportunità della vita e sulle paure comprensibili che si provano davanti al vero amore. L'azione si svolge in un negozio-casa, Twinkled, in cui si vendono oggetti di seconda mano, cianfrusaglie più o meno di valore che però hanno un "passato" e grazie all'opera di Matteo, Frankie e del proprietario Stefano riescono a "guadagnarsi" un nuovo presente. In questo posto fatato, ultimamente in grave crisi, arriva un giorno Camilla, una ragazza dal tocco quasi magico che riesce a rimettere in sesto le sorti dell'attività commerciale. Si innamora di Matteo, ma l'uomo è ancora preso dalla ex moglie Giovanna, tornata alla carica per chiedergli un aiuto particolare. In questo balletto di vite sarà il fato a mettere ordine. Per il suo primo lungometraggio di finzione la Luchetti si è affidata ad un gruppo di giovani e talentuosi attori del nostro cinema, Andrea Bosca, che veste i panni di Matteo, Diane Fleri, la dolce Camilla, e Giulia Michelini, la simpatica Frankie. Nel cast figura anche Camilla Filippi nel ruolo di Giovanna.
Laura, hai esordito dietro alla macchina da presa dirigendo uno degli episodi di Feisbum - il film, il film collettivo dedicato al fenomeno Facebook, con Febbre da fieno, invece, rischi in prima persona. Scrivere e dirigere un film, infatti, non è mai una cosa ovvia. Bel salto...
Certo, ma trovo che sia molto difficile paragonare i due film. Feisbum è stato un vero e proprio divertimento. Figurati abbiamo girato in tre giorni, con altri colleghi. Questa invece è un'esperienza completamente diversa. Certo, mi sono accorta anche io che fare un film è complicato, molto più complicato di quello che si possa pensare. Quando scrivi una storia devi intrattenere e per farlo bisogna trovare le armi giuste. Febbre da fieno ha la particolarità di essere un film costruito sulle atmosfere, molto delicato, con uno stile che è il mio. Questo mi piace fare e questo ho fatto, naturalmente, e lo sottolineo a più riprese, sono solo all'inizio e questo vuol dire che devo fare ancora tanta strada. La gavetta mi ha formata ma non si finisce mai di imparare. Per questo rido quando mi si chiede di dare consigli ad un giovane che inizia la carriera cinematografica. Devo ancora capirci qualcosa io. Se la formula che ho trovato sarà quella giusta, allora se ne può parlare.
In realtà sono arrivata a loro perché avendo vissuto per molti anni in Inghilterra, non avevo molti contatti in Italia. Così ho scritto anche alla Disney. Ecco, la cosa bella è che loro ti rispondono sempre: hanno letto lo script, hanno visto che era giusto per la loro politica editoriale e oggi lo distribuiscono come Buenavista. Se uno ci prova poi le cose funzionano...
Oltre alla Walt Disney Motion Picture Italia, fanno parte dello staff di produzione anche la Donkadillo Film e la DAP, De Angelis Pictures, la stessa casa di produzione che ha investito nel film di Edoardo Leo 18 anni dopo, una commedia italiana che ha spopolato nei festival di mezzo mondo...
Questa per per me è una cosa importantissima e mi inorgoglisce molto, soprattutto perché la DAP non sceglie di produrre film ovvi e commerciali. Così come inorgoglisce dire che, come 18 anni dopo, anche Febbre da fieno parteciperà a prestigiosi festival internazionali e ha già vinto il premio come miglior film al Metropolitan Film Festival di New York. Alcune rassegne si svolgeranno intorno a febbraio (il Fantasporto di Oporto aprirà i battenti il prossimo 25 febbraio, mentre il Cleveland International Film Festival inizierà il 24 marzo ndr), quindi c'è una certa emozione nel sapere che un piccolo pezzo d'Italia stia lì a concorrere con altri lavori. Il nostro è un film che se ne sta lì con le sue piccole gambe e sta facendo la sua strada. In fondo, noi ci siamo limitati a mettere il dvd del film nella busta e poi lo abbiamo spedito, altro non abbiamo fatto. Evidentemente i selezionatori delle varie rassegne hanno colto in Febbre da fieno qualcosa di diverso, l'aspetto malinconico e divertente della storia, la sua leggerezza. Sono sempre stata convinta che il riconoscimento internazionale abbia un valore doppio, soprattutto se si pensa che all'estero siamo conosciuti solo per grandi autori come Matteo Garrone, Paolo Sorrentino e poco altro. Noi ci proviamo con tutte le nostre forze.
Perché hai deciso di ambientare la storia in un negozio vintage? Un posto dove puoi trovare cimeli sulle serie televisive come Star Trek, Starsky&Hutch e i vecchi dischi in vinile...
Io sono una vera patita di vintage e mi sono messa a fare delle ricerche approfondite su questo tipo di negozi. La cosa che mi ha colpito di più, al termine di queste chiacchierate con i proprietari, era l'elemento comune che ritornava nelle storie di tutti. E questo elemento comune era la voglia di dare una seconda possibilità di vita a tutti quegli oggetti, dal posacenere della nonna, al vecchio tavolo dello zio, che altrimenti sarebbero finiti nel dimenticatoio. In certi casi perlerei proprio di missione. Mi sono divertita a trasportare questa cosa anche tra i personaggi in carne ed ossa. Anche loro cercano una seconda opportunità.
Non so darti una risposta. Posso dirti che magari oggi la gente ha bisogno di essere rassicurata. Vedere sul grande schermo il comico che ti fa ridere ogni sera in televisione è tranquillizzante e lo spettatore non viene turbato più di tanto. Eppure devo ammettere che certe opere sono anche molto ben fatte. E penso ai film di Cattleya. Ecco, non sono proprio dei cinepanettoni.
Ti spaventa il confronto con le corazzate di Checco Zalone e Antonio Albanese?
Guarda, in tutta sincerità mi intimorisce il confronto in genere. Quando esce, un film è a disposizione di tutti. I tuoi amici lo vedono, il pubblico lo giudicherà e sarei una folle se ti dicessi che non ci penso. Allo stesso tempo, però, ti dico che per me è già importante che il film sia riuscito ad arrivare in sala e che sia stato distribuito. Non mi aspetto proprio di competere per il grande pubblico, sto solo costruendo il mio presente e arricchire un passato che al momento non ho. L'importante è che si capisca che nel nostro lavoro c'è una voce.
Con Andrea e Diane è nata una bella amicizia. In realtà non ho pensato subito a loro come interpreti semplicemente perché il film l'ho cominciato a scrivere molto tempo fa, quando ancora non erano diventati famosi come oggi. Poi, però, quando ho visto Andrea nel ruolo di Gigio in Si può fare ho capito subito che potesse essere il Matteo giusto, così mi sono messa alla ricerca della sua agente. Quando ci siamo sentiti al telefono per la prima volta lui ha esordito chiamandomi "Signora Luchetti" e subito l'ho fermato (ride). Sono felice di averlo scelto perché Andrea un po' somiglia al suo personaggio. Matteo è un adorabile "tontolone", uno che vive fuori sync, non è il principe azzurro che risolve le situazioni, è uno fragile, ma profondamente sensibile. Diane invece buca lo schermo, altro non potrei aggiungere. Tutti hanno lavorato con serietà e soprattutto sono stata felice di aver usufruito di 10 giorni di prove per lavorare con tutto il cast. E' una cosa che ho chiesto fermamente e sono convinta che anche grazie a questo si è potuta creare quell'alchimia visibile nel film. Giulia Michelini invece interpreta il ruolo di Frankie, la fan scalmanata di Jude Law a cui scrive lettere appassionate e tenere. E' vero che per raccontare meglio la sua storia ti sei ispirata alla tua vera collaborazione con Russell Crowe?
Sì, è vero. Io ho lavorato per molto tempo come assistente di Russell Crowe. Poi l'ho "mollato" perché avevo il desiderio di lavorare alle mie cose e mi sono trovata di fronte ad un bivio. Detto questo, tra le mie mansioni c'era quella di "vagliare" le migliaia di lettere che gli arrivavano ogni giorno. Specifico una cosa importante, non è che leggessi le lettere o rispondessi al posto suo, anzi. Tante volte Russell ha mandato soldi ad orfani, rispondendo in prima persona. Facevo solo una scrematura per evitare di trovare la lettera dello psicopatico, cosa che a volte può succedere, spiace dirlo. Credimi, viaggiavamo ogni giorno con trolley pieni zeppi di lettere e tutte iniziavano nella stessa maniera. "Caro Russell io non sono una fan come tutti le altre". In genere chi scriveva erano donne, cinquantenni, molto sole e questo emergeva da quelle righe. Insomma si vedeva forte il desiderio di affidarsi ad un amore ideale, che non potesse deludere mai. E' molto più facile innamorarsi di un calciatore o di un attore piuttosto che del vicino di casa o di uno che ti possa rifiutare. Perché la paura che sta dietro a tutto questo è proprio quella di essere rifiutati. Allora ho voluto portare questa dinamica nel film attraverso la storia di Frankie, la fan di Jude Law. Lei rappresenta in pieno la fragilità di quelle persone che si "rivolgono" all'amore ideale perché non fa soffrire. Qualcuno potrà dire che questa idea è semplicistica, banale, in realtà non lo è e l'ho visto chiaramente.
Che spettatrice sei?
Sono un'onnivora. Adoro i capolavori assoluti del trash, come i film della Troma, che sanno raccontare la realtà meglio di tante fredde disamine intellettuali e allo stesso tempo amo registi come Stanley Kubrick, Martin Scorsese, Sam Mendes e ho un debole per Alfred Hitchcock. Se mi metto ad elencare tutti gli autori italiani che amo, poi, non la finiamo più. Noi abbiamo insegnato cinema a tutto il mondo. Cito solo Mauro Bolognini, Pietro Germi, Mario Monicelli, Ettore Scola. Ho stima anche di Gabriele Muccino che si è messo alla prova a Hollywood. Oggi venero Paolo Sorrentino, uno dei pochi che è in grado di creare dei mondi. Puoi amarlo o no, ma non si può negare questa cosa. Altro regista italiano che seguo sempre è Paolo Virzì e mi è molto dispiaciuto per l'eliminazione di La prima cosa bella dalla corsa agli Oscar. Fin dai tempi di La bella vita ho amato molto il modo in cui dirige gli attori. Spero un giorno di poter arrivare a tanto.