Hélène, professoressa di letteratura, è una donna divorziata e si trova a crescere da sola il figlio Paul, il quale sta affrontando il difficile periodo della preadolescenza. In più la madre non riesce a dargli le attenzioni necessarie in quanto ha recentemente iniziato una relazione con un giovane diplomatico russo, Alexandre. Il ragazzo è già sposato ma questo non gli impedisce di recarsi frequentemente a far visita ad Hélène, che nel frattempo comincia a sviluppare per lui una vera e propria ossessione.
Come vi raccontiamo nella recensione de L'amante russo, la protagonista vorrebbe saperne di più sul suo innamorato, ma Alexandre alle domande risponde sempre con frasi evasive, al punto che Hélène inizia a sospettare che possa essere una spia al servizio del Cremlino. Quando Alexandre sparisce misteriosamente nel nulla, la donna perde progressivamente la ragione e sembra procedere su una strada senza ritorno...
Ritorno alle origini
Annie Ernaux ha vinto un controverso premio Nobel per la letteratura, spesso oggetto di accesi dibattiti tra i fan della scrittrice e chi invece ritiene che questi sia stato fin troppo generoso. Certamente la scrittrice francese ha pubblicato nel corso della sua carriera opere affascinanti e divisive, come nel caso de L'amante russo, romanzo breve (77 pagine appena) alla base del film qui oggetto di approfondimento. In quest'adattamento per il grande schermo, che originariamente doveva essere in concorso al Festival di Cannes nell'edizione 2020, poi cancellata a causa della pandemia da Covid-19, non tutto funziona nel passaggio dalle parole alle immagini e la sceneggiatura rischia spesso di incartarsi su se stessa tra tempi morti ed eccessi di sorta.
Annie Ernaux - I miei anni Super 8, la recensione: la ripresa del ricordo
Le vie dell'eros
L'amante russo pone sin dai primi minuti l'accento sulla componente erotica, con i corpi nudi dei due protagonisti avvinghiati in molteplici posizioni: una veemenza bollente che risulta a tratti gratuita nel continuo insistere su certi dettagli anatomici, e anche per via della lunghezza delle diverse scene "a luci rosse", all'insegna di una morbosità spesso insistita e quasi mai realmente necessaria al contorno narrativo. Laddove la sceneggiatura si fa più affilata è nel delineare i tratti ossessivi del personaggio di Hélène, sempre più avvolta in un vortice di passione che la obnubila e la cancella, facendole perdere contatti con il mondo esterno e anche venir meno il suo ruolo di madre, tanto che in più di un'occasione a farne le spese è proprio quel figlio che diventa una sorta di scocciatura per gli incontri romantici e lussuriosi tra lei e Alexandre.
Uscire dall'incubo
Il contesto mystery viene lasciato sottotraccia e perde ben presto di mordente: alla fine poco importa allo spettatore se l'amante sia effettivamente una spia al servizio del nemico o no, giacché il cuore del racconto si concentra esclusivamente su questo legame privato, sempre più torbido e crudo. Anche la gita fuori porta della protagonista in Russia, accompagnata dalle note e dalla voce di Leonard Cohen, risulta come un semplice compitino per chiudere forse definitivamente quel cerchio che la stava conducendo all'autocommiserazione. Emergono a tratti nella cura dei personaggi secondari e delle ambientazioni rimandi a una certa Nouvelle Vague, e non è per niente un caso che Hélène si rechi al cinema a vedere una versione restaurata di Hiroshima mon amour (1959), capolavoro senza tempo di Alain Resnais. Nota di merito infine per l'interpretazione di Laetitia Dosch. Se il suo collega Sergei Polunin, ballerino prestato al cinema, non brilla particolarmente, l'attrice franco-svizzera è un tutt'uno con il suo personaggio, convinta e convincente in un ruolo per nulla semplice da gestire.
Conclusioni
La regista libanese Danielle Arbid, da sempre attenta esploratrice dell'universo femminile, si cimenta con il controverso romanzo breve pubblicato nel 1991 dalla scrittrice premio Nobel Annie Ernaux. Come vi abbiamo raccontato nella recensione de L'amante russo, ci troviamo davanti ad un film erotico che spinge anche eccessivamente sulle scene a sfondo sessuale, con i due protagonisti impegnati in torridi amplessi che non risparmiano nulla dei loro corpi nudi. A convincere anche a livello di interpretazione è però soltanto la brava Laetitia Dosch, mentre Sergei Polunin non è pervenuto: proprio l'attrice francese è il motivo di maggior interesse di un film ambiguo e scomodo, che convince quando dipinge l'apoteosi ossessiva della protagonista ma altrove si perde in soluzioni gratuite e scontate, con uno sguardo d'autore sempre presente ma in più occasioni soffocato da climax inutilmente bollenti.
Perché ci piace
- Laetitia Dosch è una magnifica protagonista.
- La sceneggiatura convince nel tratteggio di un'ossessione dirompente...
Cosa non va
- ... ma lascia troppo spazio alla componente sessuale, che svilisce l'erotismo in favore di amplessi carnali che non nascondono nulla all'immaginazione.