È in onda dal 24 novembre 2020, per quattro prime serate su Rai 2, L'Alligatore, serie coraggiosa e intrigante che prende ispirazione dai romanzi best seller di Massimo Carlotto e che ha il coraggio di portare sulla seconda rete Rai una storia dalle tinte noir in grado di offrire allo spettatore una commistione di generi tanto rischiosa quanto interessante. Le vicende seguono il personaggio di Marco Buratti, detto l'Alligatore, un ex cantante blues incarcerato per un crimine che non ha commesso. Dietro le sbarre l'uomo ha perso la voce per cantare, ma allo stesso tempo ha maturato conoscenze e competenze nel mondo della malavita che mette a frutto nei panni di un investigatore fuori dagli schemi e ben quotato tra gli avvocati. Insieme a Beniamino Rossini, malavitoso milanese della vecchia scuola, e a al suo amico di vecchia data Max, detto la Memoria, accetterà casi disperati, sempre al limite della legalità. Abbiamo avuto la possibilità, insieme ad altri colleghi, di intervistare Matteo Martari, Thomas Trabacchi, Valeria Solarino e Daniele Vicari, attori e regista di un prodotto seriale italiano di qualità che aspira al mercato internazionale.
La difficoltà dell'adattamento televisivo
L'adattamento dei romanzi best seller di Massimo Carlotto non deve essere stata un'impresa semplice. Giocando con i generi e raccontando una storia cupa, appassionante e spesso cruda, i rischi erano molti. Ce lo conferma Daniele Vicari: "La maggiore difficoltà nel portare su schermo i romanzi è la loro complessità, sono infatti molto variegati. I racconti de L'alligatore sono contaminati da tanti generi diversi, dal western a l'hard-boiled e questa caratteristica spiazza chi deve tradurlo per il cinema. Io mi sono affidato più alla musica e l'elemento guida è stato il Blues, quello delle origini. Teho Teardo ha avuto questa intuizione che poi ha influenzato la messa in scena." Continua poi sottolineando quanto portare in video il personaggio di Alligatore si fosse rivelata una sfida: "Alligatore non è un detective, è uscito di prigione e non farebbe quello che fa se non fosse stato accusato ingiustamente. Lui non sceglie, vive in una continua contraddizione ma ha la forza e l'emotività per rimanere in questa situazione, e anche questo è stato difficile da rendere su schermo. L'ironia fa parte del modo dolente in cui Alligatore, Greta e gli altri personaggi vivono la loro condizione di sconfitti, più o meno in maniera definitiva, e hanno avuto tutti delle storie difficili alle spalle che mettono al servizio del racconto. Per fare questo era necessario avere degli attori con una testa pensante, capaci di confrontarsi con queste contraddizioni."
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La costruzione dei personaggi
Un elemento di pregio di questa serie sono, infatti, i personaggi: uomini e donne tormentati con un background articolato e ben definito alle spalle. Matteo Martari, interprete del protagonista, descrive così il lungo lavoro di preparazione al ruolo: "La costruzione del personaggio è partita dai romanzi. Avendo la fortuna di avere così tanto materiale da poter leggere e analizzare, è stato possibile delineare un ritratto psicologico quasi perfetto. A differenza di altre situazioni la particolarità di questo lavoro è stata la collaborazione e gli influssi energetici da parte di tutti: una volta letti i libri ci siamo ritrovati in uno studio e abbiamo fatto l'analisi del testo e delle sceneggiature. Fatto questo hanno messo a nostra disposizione un vero e proprio spazio dove abbiamo potuto costruire i nostri personaggi, portarli in scena da un punto di vista quasi teatrale. Mi sono trovato a collaborare con tutti e a far crescere in questo modo Marco Buratti. Al netto delle ore che abbiamo lavorato a contatto, ci siamo trovati anche io e Thomas a spendere tanto tempo insieme anche fuori dall'orario di lavoro e questo scambio di energie si riscontra nell'alchimia dei personaggi."
Thomas Trabacchi, interprete di Rossini, ha fatto poi luce sugli aspetti più tecnici del lavoro effettuato: "Il lavoro è binario. Avere elementi concreti, i libri di Carlotto in questo caso, ti aiuta a fare delle scelte. Beniamino Rossini è portatore di un mondo che non c'è più, quella mala che ha un codice morale preciso e che oggi non esiste. Mi sono imbattuto su youtube in dei video che si chiamano Mala ricorda, conferenze, spesso filmate male, e quindi ho messo insieme dei pezzi come un puzzle che poi ha funzionato. Anche i costumi sono fondamentali e l'insieme di queste cose ha prodotto una caratterizzazione ben definita." Valeria Solarino, invece, ha detto di essersi ispirata ad un personaggio ben preciso che le ha permesso di costruire la sua Greta: "Nella prima puntata c'è la Greta descritta dai romanzi: questa immagine che diventa un ricordo, una proiezione, forse, delle donne che il protagonista ama. Nella storia raccontata da noi invece prende proprio corpo e io sono partita dalla musica, da quello che per lei è la vita. Daniele mi ha dato dei suggerimenti, mi ha consigliato di guardare i live di Dolores O'Riordan, la cantante dei Cranberries, non perché dovessi imitarla, ma perché grazie a lei potevo studiare meglio il mondo della musica. È così che sono entrata nel personaggio."
La figura dello showrunner nelle serie italiane
Che L'Alligatore sia un serie dal respiro internazionale lo si capisce guardando anche solo la prima puntata. Le atmosfere fosche e la commistione di generi lo rendono un prodotto interessante e contemporaneo. Per realizzare tutto questo, però, è necessaria una mente creativa che si occupi di garantire la coerenza visiva e narrativa del girato. A ricoprire questo ruolo in questo caso è Daniele Vicari che descrive così la figura dello showrunner che si è trovato a ricoprire: "È fondamentale che qualcuno si occupi della continuità del lavoro della serie, dell'immaginario in cui agiscono gli interpreti, della preparazione degli attori, della musica, delle scenografie e della fotografia. Tutti questi aspetti è fondamentale che vengano tenuti insieme da una persona o da un gruppo di persone affiatate, altrimenti nelle serie si possono avere degli sbandamenti. La cosa fondamentale è il senso: tutti devono lavorare intorno allo stesso progetto e la costruzione di questo progetto la fa lo showrunner, o supervisore artistico, ed è un lavoro creativo interessante e complesso; si diventa un po' il terminale di tutti i conflitti sul set ma è una cosa che va accettata. Non si dorme la notte, non si mangia, ma alla fine si riesce a fare qualcosa che risulta unitario per lo spettatore." Un concetto chiaro e già consolidato a livello internazionale, al quale Vicari aggiunge: "È un lavoro che credo si svilupperà molto in futuro, ovviamente se la produzione seriale continuerà ad avere l'importanza che ha oggi."