Alcuni film, rivisti a distanza di anni, possiedono una forza narrativa totalmente diversa. Accade che un film può sembrarci invecchiato bene oppure può sembrarci invecchiato male; capita anche che non mostri i segni dell'età, e di conseguenza mantenga vivida la sua aurea comunicativa. Questo al netto delle nostre preferenze e dei nostri gusti (che dovrebbero essere il più analitici possibili), in quanto tale teoria si applica a quell'universo di mezzo composto da pellicole bellissime che ci squassano a mo' di colpo di fulmine. Un'istantanea, un grande amore, e finiamo per incasellarle nella nostra memoria di spettatori. Rivendendole a distanza di tempo ecco il sussulto, la scintilla. Nemmeno stessimo riguardando le foto della nostra ex (o del nostro ex), ritrovate per caso nel fondo di un cassetto.
Con Lady Bird di Greta Gerwig - uscito cinque anni fa, nel 2107 - capita la stessa cosa. Ripercorriamo la sua strada, comprendiamo meglio il suo animo dissacrante, ci ricordiamo che dovremmo tornare a volare come quando i giorni erano infiniti, e se finivano era perché la musica aveva smesso di suonare. Prima definito vagamente autobiografico dalla regista, per poi smentire le sfumature personali, Lady Bird si rifaceva ad una nuova poetica autoriale americana, capace di destrutturare i timbri e i toni del coming-of-age per lastricarlo di situazionismo sorprendente e sincero, mescolando John Duigan a Raymond Carver, François Truffaut a Joan Didion.
Lady Bird: la ragazza che voleva volare
Prima che il sogno finisca
Ma se i romanzi (anzi, le novelle) di formazione si basano su un ritmo prestabilito, Greta Gerwig mette in ordine le cose e, come nella miglior tradizione letteraria, parte dai personaggi. Personaggi vividamente disegnati (a cominciare dalla comparsata di Timothée Chalamet che "odia i soldi e cerca il più possibile di non partecipare alla nostra economia") e perfettamente inseriti tra i dettagli dell'epoca, facendoci notare quelle piccole cose che credevamo ormai perse, a metà strada tra la nostalgia e i rimpianti. Se un film è la cosa più vicina all'utopia del viaggio nel tempo, Lady Bird fotografa in modo sublime le gioie e i dolori di una ragazza di provincia che, arrabbiata per vezzo più che per necessità, sceglie di cambiarsi nome e puntare dritta verso la East Coast. Lontana dalla periferia di Sacramento, lontana dal suo liceo cattolico e lontana da quella mamma che ama alla follia. Perché poi la giovinezza, rivista da Greta Gerwig (e proseguirà il discorso con Piccole Donne), è l'attimo prima che il sogno finisca, il trampolino di lancio verso un futuro in cui è ancora tutto possibile. Ed è qui che si concentra Lady Bird, attanagliandoci cuore e anima come quando cantiamo Crash Into Me dei Dave Matthews Band.
Vola, Lady Bird!
E lo fa anche e soprattutto grazie ai capelli rosa di Saoirse Ronan, talento ed estensione della stessa regista, in grado di tradurre l'imbarazzo e la paura che attanagliano la maggior parte degli adolescenti sull'apice del cambiamento. Sopra un palco in cui si mischiano la politica e la società di inizio Millennio, l'analogico che incontra il digitale, le aspirazioni amorose e la masturbazione nella vasca da bagno. Ed è qui, "dalla parte sbagliata dei binari", che vive la magia di Lady Bird, consolandoci con un ritmo narrativo vivace e travolgente. Talmente impetuoso che cattura quella straziante sensazione: a trent'anni suonati siamo incollati ad un'adolescenza finita prima che sia davvero iniziata. L'ironia della sorte, l'incapacità di comunicare, l'aspirazione e l'ispirazione di New York - "Dov'è la cultura" -, la relazione irregolare e splendente tra Lady Bird e sua madre Marion (Laurie Metcalf, nominata all'Oscar per il ruolo).
E poi la scrittura della Gerwig, in pieno dramedy indie, che osserva di sbieco le ansie sociali degli Stati Uniti post 9/11, che successivamente anticiperanno la crisi finanziaria e il crollo di ogni certezza. Quanta verità, quanta grazia, quanto dolore nel rivedere i colori caldi di Lady Bird, racchiusi nella fotografia di Sam Levy, così vicini ai colori dei nostri ricordi. Rivendendolo, tornano a galla le precise sensazioni vissute la prima volta; sensazioni schiacciate da una realtà frettolosa che ci ha fatto perdere l'attimo. Finiamo per maledirci, battiamo i piedi. Culliamo l'illusione di poter tornare indietro per per accettare quell'invito a uscire, per timbrare il biglietto di sola andata per il JFK. O più semplicemente, per credere di poter essere ciò che avremmo voluto essere. Tutto è perduto, tutto è stato ritrovato grazie alla potenza del cinema. E come una sorta di mantra torniamo ad esortarci: vola, Lady Bird!
Greta Gerwig, da Lady Bird a Frances Ha: ritratto generazionale fra ironia e tenerezza