La 96esima edizione degli Academy Award sarà ricordata innanzitutto come l'annata trionfale di Oppenheimer: l'annunciato plebiscito per il dramma storico sulla creazione della bomba atomica, e sulle sue fatidiche conseguenze rispetto al clima politico della Guerra Fredda, si è concretizzato infatti in un totale di sette riconoscimenti su tredici nomination, inclusi i trofei come miglior film, per la miglior regia al britannico Christopher Nolan, per il miglior attore al protagonista Cillian Murphy e per il miglior attore non protagonista a Robert Downey Jr. Il principale sfidante di Oppenheimer, vale a dire la commedia a tinte fantastiche Povere creature! di Yorgos Lanthimos, si è aggiudicato invece quattro Oscar su undici nomination, tra cui la statuetta come miglior attrice (la seconda della sua carriera) per la strepitosa Emma Stone, che ha superato di un soffio l'altra favorita della categoria: Lily Gladstone per Killers of the Flower Moon, opera che ha visto sfumare tutte le sue dieci candidature.
Oscar 2024: Oppenheimer domina con sette vittorie, inclusi miglior film e regia, tutti i vincitori
Quando gli Oscar non parlano inglese: la "barriera di un pollice"
Ma al di là dell'ennesima consacrazione per Oppenheimer, autentico film-evento del 2023, gli Oscar 2024 sono stati caratterizzati da un dato particolarmente interessante, che merita di essere preso in considerazione e che sembra confermare una tendenza sempre più accentuata fra i membri dell'Academy: l'attenzione per tipologie di cinema che vanno al di là dell'industria hollywoodiana, intesa sia come i grandi titoli delle major (da Christopher Nolan a Martin Scorsese, passando pure per Maestro di Bradley Cooper e Barbie di Greta Gerwig), sia come le produzioni (semi-)indipendenti a medio budget, quali ad esempio The Holdovers di Alexander Payne (premiato per l'attrice supporter Da'Vine Joy Randolph) e le due acclamate opere prime American Fiction di Cord Jefferson (Oscar per la sceneggiatura adattata) e Past Lives di Celine Song. Più nello specifico, sempre più spesso l'Academy sceglie di superare quella che nel 2020 Bong Joon-ho definì come "the one-inch barrier".
La "barriera di un pollice", ovvero due centimetri è mezzo, è l'espressione usata dal cineasta sudcoreano nel discorso di ringraziamento per il Golden Globe come miglior film in lingua straniera al suo Parasite, che da lì a breve avrebbe riportato un'inedita, spettacolare vittoria agli Oscar: superare la minuscola barriera dei sottotitoli, che per una fetta di pubblico rimangono un effimero spauracchio, consente di accedere a una miniera di opere d'arte appartenenti a culture - e lingue - diverse dall'inglese. Ma per decenni la barriera linguistica ha segnato un discrimine non da poco sul suolo anglofono, anche in termini di visibilità nella "stagione dei premi". Solo in tempi molto recenti, pure in virtù di un'estensione 'geografica' del corpo elettorale dell'Academy, si sono rilevati dei cambiamenti più sistematici, a partire dalle edizioni degli Oscar 2019 e 2020: nel primo anno fu il caso del messicano Roma di Alfonso Cuarón, che vinse tre Oscar (tra cui miglior regia) e sfiorò la statuetta come miglior film; subito dopo toccò al sudcoreano Parasite, con uno storico poker concluso dal trofeo più prestigioso.
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Da Cannes a Hollywood: La zona d'interesse e Anatomia di una caduta
Torniamo dunque agli Oscar di domenica notte, che nell'elenco dei premiati possono vantare ben cinque lungometraggi realizzati (del tutto o parzialmente) in lingua non inglese: un record assoluto nella storia dell'Academy, così come è un record la presenza, fra i dieci candidati come miglior film, di tre pellicole in lingua straniera. A partire da La zona d'interesse, capolavoro sull'Olocausto firmato da Jonathan Glazer e prima produzione della Gran Bretagna ad aver conquistato l'Oscar come miglior film internazionale (il requisito linguistico è legato alla recitazione in tedesco). Elogiato dalla critica fin dal suo debutto al Festival di Cannes 2023, La zona d'interesse ha ricevuto due premi Oscar su cinque nomination, inclusa la statuetta per il miglior sonoro, categoria in cui l'opera di Glazer ha superato perfino Oppenheimer. Il successo agli Oscar riflette il buon responso di pubblico che La zona d'interesse sta riportando negli USA, pur trattandosi di una visione per molti aspetti 'impegnativa': otto milioni di dollari sul suolo americano, cifra destinata a crescere sull'onda dell'effetto-Oscar.
Altrettanto entusiasmo è stato registrato, in questa stagione dei premi, da Anatomia di una caduta, thriller giudiziario della regista Justine Triet, non selezionato come rappresentante della Francia (a dispetto della Palma d'Oro a Cannes), ma destinatario in compenso di cinque nomination agli Oscar, incluse le candidature per il miglior film e per l'attrice tedesca Sandra Hüller, che nella sua intensa performance alterna in prevalenza inglese e francese. Se La zona d'interesse ha avuto "campo libero" come miglior film internazionale (in una cinquina che comprendeva pure Perfect Days e Io capitano), Anatomia di una caduta ha superato la concorrenza di titoli come The Holdovers e Past Lives, produzione americana ma recitata in gran parte in coreano, nella corsa all'Oscar per la miglior sceneggiatura originale, firmata dalla Triet insieme ad Arthur Harari. È la settima volta che questa categoria vede premiato lo script di una pellicola non in inglese, onore già toccato in passato, fra gli altri, a Divorzio all'italiana, Un uomo, una donna, Parla con lei e il succitato Parasite.
La zona d'interesse e Oppenheimer: due prospettive sull'abisso
Dalla guerra in Ucraina al Giappone di Godzilla e Miyazaki
Laddove però i membri dell'Academy hanno rivolto lo sguardo del tutto al di fuori degli Stati Uniti è nella categoria per il miglior documentario: qui accade spesso che fra i candidati facciano capolino produzioni straniere, ma quest'anno la cinquina è stata formata esclusivamente da film non americani, con la parziale eccezione di Bobi Wine - The People's President, co-produzione fra vari paesi ma incentrata sulla realtà politica dell'Uganda. E a ottenere l'Oscar è stato 20 Days in Mariupol di Mstyslav Chernov, cruda e scioccante cronaca dell'invasione delle truppe russe in Ucraina e di una guerra che si sta abbattendo anche sui civili: il discorso di Chernov sul palco del Dolby Theatre in omaggio alle vittime ucraine ha segnato non a caso uno degli apici emotivi della cerimonia, così come le coraggiose parole pronunciate da Jonathan Glazer rispetto agli attacchi alla Striscia di Gaza da parte di Israele.
Infine, gli altri due Oscar non anglofoni della serata battono entrambi bandiera giapponese. Per i migliori effetti speciali, complice l'assenza di Oppenheimer, Godzilla Minus One di Takashi Yamazaki si è imposto su tre tipici blockbuster hollywoodiani e su Napoleon di Ridley Scott, sancendo un primato per un film non in inglese in questa categoria. Mentre l'Oscar come miglior film d'animazione è stato attribuito a Il ragazzo e l'airone, terza statuetta per il padre dello Studio Ghibli, Hayao Miyazaki, dopo l'Oscar per La città incantata e il premio alla carriera; una vittoria per nulla scontata se si considera che Il ragazzo e l'airone, pur avendo incassato cifre record negli USA per una pellicola animata giapponese, è comunque un'opera molto complessa e dal forte taglio onirico, lontanissima dai canoni dell'animazione americana. A maggior ragione il successo di Miyazaki costituisce un segnale incoraggiante del fatto che, tutto sommato, sempre più persone stanno decidendo di scavalcare quella famigerata "barriera di due centimetri": nelle sale come agli Oscar.
Il ragazzo e l'airone: la riflessione di Hayao Miyazaki sulla funzione dell'arte