Tra i film i film più forti del momento, c'è La zona d'interesse) di Jonathan Glazer, Gran Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes e candidato a 5 premi Oscar, tra cui miglior film e miglior film in lingua straniera, oltre a regia, sceneggiatura non originale e miglior sonoro. È un film che turba, disturba, in cui immagini e suoni sono costruiti per colpire nel segno. È qualcosa che, al di là del significato, colpisce anche a livello subliminale, emotivo, che va al di là della sfera razionale. Ed è quello che ci è capitato la prima volta che abbiamo visto alcuni dei videoclip più famosi di Jonathan Glazer, The Universal dei Blur, Karma Police dei Radiohead e Rabbit In Your Headlights degli UNKLE, con la voce di Thom Yorke. Ancora non sapevamo chi fosse il regista di questi video, e che cineasta sarebbe diventato. Ma quei video avevano qualcosa di speciale, erano diversi da qualsiasi altra cosa avessimo visto fino a quel momento. Quei video sono stati l'inizio di un percorso fatto di opere uniche, e che ha raggiunto il suo apice con La zona d'interesse.
The Universal (Blur)
Che Jonathan Glazer non fosse solo videoclip, ma già grande cinema, lo si capiva già dal video The Universal dei Blur, un video - del 1995 - che per la prima volta cambiava l'immagine spensierata e pop della band. Criptico e carico di simbolismi, The Universal cita apertamente l'immaginario di Arancia meccanica di Stanley Kubrick (i Drughi, il Korova Milk Bar) e permea tutto di una luce bianca che contribuisce a dare al video un'essenzialità e un che di asettico che troveremo anche in alcuni momenti di Under The Skin. Che cosa sia quel luogo dove tutto avviene non lo sappiamo. È forse il Purgatorio? Ma rimaniamo catturati, viviamo lì dentro tra uomini rossi che un tempo erano blu e quell'uomo che ride insieme a un sacerdote. Guardate il momento in cui, ascoltate le parole del prete, smette di ridere: è agghiacciante. Damon Albarn, con l'eyeliner su un occhio come Malcolm McDowell, tra sguardi in macchina e ghigni, offre una grande prestazione d'attore.
Karma Police (Radiohead)
Ancora più straniante e inquietante è il video che ha rivelato definitivamente Jonathan Glazer, Karma Police dei Radiohead (1997), il secondo estratto dal loro capolavoro OK Computer e uno dei loro brani più famosi. Per la band Glazer aveva già diretto Street Spirit. Karma Police è un vero e proprio film, un horror, un thriller, una dramma. Inghiottita nel buio della notte c'è una macchina senza pilota, che si muove, da sola, lungo una strada di campagna (Thom Yorke, il leader della band, appare per un attimo sul sedile posteriore, ma è più un omaggio che parte della storia). Quell'auto, elegante e dagli interni in pelle scura, si lancia all'inseguimento di un uomo, che non può fare altro che scappare, fino a che cade. Lo sguardo, atterrito, nota però una perdita di carburante che proviene dalla macchina, e con un fiammifero decide di darle fuoco. Le fiamme divampano, proprio durante l'assolo che chiude la canzone. Ancora una volta c'è una perfetta unione tra suono e immagini, che è una delle chiavi de La zona d'interesse. Il video, tranne un breve momento, è girato tutto in soggettiva, quella della macchina. È una scelta formale rigorosa, netta, che si pone dei limiti. Come fa La zona d'interesse.
Rabbit In Your Headlights (UNKLE con Thom Yorke)
Rabbit In Your Headlights (1998), il video degli UNKLE, con Thom Yorke dei Radiohead alla voce che rende il brano lirico e malinconico, è quasi un sequel di Karma Police, un film gemello, tanto da formare un ideale dittico. Le atmosfere, notturne, ossessive, spaventose sono le stesse. Al centro ci sono sempre un uomo e una macchina, anzi stavolta le automobili sono di più. Incappucciato in un giubbotto scuro, un uomo cammina lungo un tunnel destinato alle auto, in mezzo alla carreggiata. Viene avvisato, ma non si sposta, e continua a camminare, masticando tra sé e sé parole incomprensibili. Così l'uomo viene investito dalle macchine diverse volte, cade a terra ferito, ma ogni volta si rialza. Fino a che decide di togliersi il giubbotto e rimanere a torso nudo.
Il suo corpo, liberato, si scopre indistruttibile, e stavolta è l'automobile ad andare in pezzi schiantandosi contro di lui. Ancora una volta c'è un twist ending, un'epifania, come se fossimo in un thriller costruito alla perfezione. Il video può essere letto in molte interpretazioni diverse. Come l'inferno di Dante, con la coazione a ripetere determinati atti, o come il mito di Sisifo. Ma con una redenzione finale. Allora potrebbe essere l'idea orientale delle reincarnazioni per raggiungere il Nirvana. Ma, ancora una volta, Glazer ci colpisce al di là della razionalità. In questo video, inoltre, troviamo il senso della ripetizione e di una sorta di normalità che connota fatti (come un incidente, in questo caso) che dovrebbero essere drammatici. Questa è proprio una delle chiavi della forza de La zona d'interesse.
Birth - Io sono Sean
Il perturbante, il senso di straniamento, l'ossessione ritornano in Birth - Io sono Sean, la seconda prova alla regia di Jonathan Glazer del 2004 (dopo l'esordio con Sexy Beast, nel 2000), lanciato come un vero e proprio blockbuster grazie alla presenza di una star come Nicole Kidman (in Italia addirittura nel periodo di Natale) quando si tratta di un'opera ancora volta particolarissima. Quelle luci fioche, basse, quell'atmosfera cupa e notturna di cui parlavamo sopra torna qui per avvolgere tutto il film. Che è la straniante storia di Anna, una donna che ha perso il marito e, dopo dieci anni, è sul punto di risposarsi: ma riceve la visita di un bambino che dice di essere la reincarnazione di suo marito Sean. "Penso che il film ritragga una donna condotta alla pazzia dall'amore. Tratta dell'universo interiore che diventa equivalente a quello esteriore" aveva dichiarato Glazer. Birth - Io sono Sean è un film sull'ossessione, ma soprattutto sulla potenza della nostra mente, capace di far diventare reale quello che desideriamo lo sia, e sul nostro bisogno di credere. Birth - Io sono Sean è un film che ha a che vedere con la rimozione e l'impossibilità di rimuovere, che è anche uno dei temi de La zona d'interesse. Con cui ha in comune un'altra cosa. "Ho capito presto che l'unico modo per fare questo film era quello di non essere così stupido da provare a dare risposte. Piuttosto il mio compito era cercare e formulare le domande giuste. So che per fare ciò si deve contare su un dialogo con il pubblico" aveva dichiarato a proposito di Birth, e la cosa vale anche per il suo ultimo film.
Under The Skin
Il discorso di Jonathan Glazer continua con Under the Skin, il suo film del 2013, lanciato come film di fantascienza, o come il film con il primo nudo integrale di Scarlett Johansson, quando, in realtà, è qualcosa di molto più complesso. Al centro della storia c'è una giovane donna che gira lungo la Scozia in un furgone e abborda una serie di uomini per sedurli e catturarli in modo freddo e sistematico. Ma quella bellissima ragazza, altro non è che un guscio, un involucro. Sotto la pelle, Under The Skin, c'è qualcun altro, un alieno. Jonathan Glazer riesce a raccontare questa storia con un tono e una regia completamente diverse da quelle che ci si immaginano per un film di fantascienza, rompendo ancora una volta le regole, proprio come La zona d'interesse è girato in modo completamente diverso da qualsiasi film sul Nazismo. A colpire sono soprattutto i momenti della seduzione e della cattura delle prede, che avvengono in una sorta di "terra di nessuno", un ambiente onirico, alieno, fuori dal mondo e dalla nostra realtà. Ancora una volta riesce a creare un ambiente asettico, essenziale, irreale, vuoto, questa volta oscuro. È un momento che spezza la narrazione del film, come, ne La zona d'interesse, lo fanno quelle misteriose sequenze oniriche e notturne in bianco e nero. Under The Skin si avvale della colonna sonora di Mica Levi, che ritroveremo nel corto seguente The Fall e ne La zona d'interesse.
The Fall
Passato quasi inosservato, ma importantissimo nella poetica di Jonathan Glazer, è il corto The Fall, del 2019, che Movieplayer aveva recensito in occasione del Ravenna Nightmare del 2020. L'idea di The Fall è nata da una foto in cui i due figli di Donald Trump sorridono orgogliosi con una loro preda di caccia, un leopardo. Da questa immagine è partita una riflessione sulla violenza, sull'orrore. The Fall è un corto fulminante di quattro minuti, una sorta di haiku in pellicola, una metafora della paura storica dell'uomo, come causa di una cecità irrazionale. È potente, duro, simbolico, criptico, una successione di immagini malate e disturbanti: è Jonathan Glazer all'ennesima potenza. Un gruppo di uomini hanno deciso di catturare un altro uomo, diverso da loro, che si è rifugiato su un albero. Una volta catturato, si scattano una foto, un selfie per immortalare la loro conquista, e si preparano ad impiccarlo. A caratterizzare il corto sono le maschere inquietanti che coprono il volto dei personaggi in scena, aggressori e aggredito. Ma la maschera di quest'ultimo è differente, perché evidentemente è il diverso, il capro espiatorio. Le maschere servono ad astrarre il racconto e a renderlo archetipico, simbolico. Queste maschere ci fanno pensare al teatro greco per mostrarci una storia che potrebbe avvenire in qualsiasi tempo e luogo, nell'antichità come oggi. La musica tribale e incalzante di Mica Levi anche qui fa la differenza, in quella che è una metafora dell'odio instaurato in America da Donald Trump.
La zona d'interesse
Tutti questi spunti, concettuali e visivi, sembrano tornare e riunirsi per ricreare quello che probabilmente è il capolavoro di Jonathan Glazer, un film che racchiude tutte le sue opere precedenti e allo stesso tempo è qualcosa di completamente nuovo. La storia della famiglia di Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz, che vive una vita normale in una villetta con giardino attaccata al campo di concentramento, ancora una volta è raccontata con un rigore e una scelta stilistica netta e precisa: quella non farci vedere l'orrore che accade al di là del muro, come non lo vede la famiglia di Höss. Ma per tutto il film siamo attraversati da un costante senso di inquietudine, portato da quei rumori meccanici, industriali, ripetitivi e ricorrenti. Ancora una volta, come in tutta l'opera di Glazer, c'è la ripetizione, l'ossessione, c'è l'atmosfera straniante. Una serie di atti e luoghi quotidiani, normali, che non possono esserlo, che nascondono altro.
Under The Skin, sotto la pelle di quella vita, c'è un altro mondo, c'è l'orrore, c'è il male. Ancora una volta, senza dare risposte, come in tutto il cinema di Glazer, La zona d'interesse coglie il senso del mistero del nazismo. Cerca di capire come tutto quello che è accaduto, il Male nel senso più assoluto, abbia potuto convivere con la normalità, e con l'approvazione, o il tacito accordo, di un intero popolo, un'intera nazione. Ancora una volta abbiamo a che fare con la rimozione. Che qui è quella della famiglia Höss e quella di un intero popolo. La zona d'interesse è un film freddo, glaciale, ipnotico, insinuante. Questo è Jonathan Glazer.