La Vegas di Scorsese
Dopo la felice parentesi di L'età dell'innocenza (film molto più "scorsesiano" di quanto non possano lasciar presagire soggetto e ambientazione), Martin Scorsese torna, con questo Casino, a raccontare la sua America: ispirandosi, come per il precedente Quei bravi ragazzi, a un romanzo di Nicholas Pileggi, ancora una volta anche co-sceneggiatore, il regista allarga la sua visuale, spostando il centro della sua attenzione dal mondo del crimine organizzato ad un universo ad esso "collaterale", e regolato dalle stesse spietate leggi, come quello del gioco d'azzardo.
L'inizio del film è folgorante, di quelli che non si dimenticano facilmente: la spaventosa esplosione che investe il protagonista Sam "Ace" Rothstein (interpretato dal solito, ottimo Robert De Niro) appena messa in moto la sua automobile, precede i titoli di testa, curati da due nomi che furono molto cari ad Alfred Hitchcock (che li usò in Psycho e La donna che visse due volte), quali Elaine Bass e Saul Bass: titoli contrappuntati dal commento musicale de La Passione di Bach e dominati dalle fiamme e dall'immagine del corpo del protagonista sbalzato da una parte all'altra dello schermo, alternata alle prime, sfavillanti immagini di Las Vegas e dei suoi "templi" del gioco. Un "prologo" che precede un lungo flashback che ci porta indietro di dieci anni, con Ace che viene incaricato dalla malavita organizzata di gestire il Tangiers, uno dei più importanti casino della città: l'uomo verrà affiancato dall'amico Nicky Santoro, boss psicologicamente instabile che creerà non pochi problemi ad Ace, che cerca faticosamente di portare la sua attività sui binari della legalità. L'amore dell'uomo per Ginger, splendida truffatrice, popolarissima nell'ambiente, finirà per complicare ulteriormente la sua vita a Las Vegas, minacciata anche dalle indagini sui suoi legami con Nicky.
E' nervosa, la regia di Scorsese in questo film, irrequieta e costantemente a "rischio" di esplodere in momenti di raggelante violenza, in sintonia gli scatti d'ira del boss Nicky, interpretato da un perfetto Joe Pesci. La macchina da presa del regista, sempre mobile, passa in rassegna i volti dei personaggi coinvolti in un dramma epico, sullo sfondo di una città che succhia il sangue e l'anima, e non ha riguardi per nessuno: dal protagonista, al quale De Niro regala una caratterizzazione misurata e convincente, al nevrotico e pericoloso amico, dalla splendida e fragile Ginger (per la quale Sharon Stone offre una delle migliori interpretazioni della sua carriera, con una discesa agli inferi che non si dimentica) al ruffiano di cui è innamorata, lo sgradevole Lester Diamond (a cui dà vita un convincente James Woods).
Ancora una volta il regista disseziona il sogno americano, mostrandocene una delle tante facce (quella del gioco d'azzardo e delle luci artificiali di Las Vegas) insieme al motore che lo anima (il denaro) e a tutto ciò che si muove sotto la sua superficie, un agitarsi neanche troppo sotterraneo di malavitosi, approfittatori, truffatori di mezza tacca, politici corrotti e poliziotti conniventi. Ed è interessante notare il contrasto tra gli spazi chiusi, quasi claustrofobici, spesso ripresi in notturna, della città, e la vastità del deserto circostante, arioso e solare, in cui sono invero destinati a perpetrarsi i crimini più spietati, le feroci esecuzioni malavitose. L'espediente delle voci fuori campo (che sono, alternate, quella di De Niro, di Pesci e di Philip Suriano, che interpreta il fratello di Santoro) ha da una parte l'effetto di ampliare la visuale, moltiplicando i punti di vista da cui il medesimo dramma viene narrato ed impedendo consapevolmente l'immedesimazione dello spettatore con un singolo personaggio, e dall'altra quello di introdurre una nota grottesca, tanto più straniante in quanto coesistente con momenti di violenza estremamente grafici, probabilmente tra i più forti mai rappresentati dal regista. Altro elemento fondamentale del film è la colonna sonora, che si compone di pezzi di rock americano dal sapore classico, la cui coltinua alternanza a commentare l'azione accentua ancor più il carattere teso ed estremamente "nervoso" dello svolgimento.
In definitiva, si può parlare di un ulteriore, fondamentale tassello di una ricerca condotta con grande coerenza, da parte di un regista che come pochi altri conosce la materia e ha i mezzi per raccontarla: una ricerca tesa a sviscerare gli aspetti più sgradevoli e (mal) nascosti del sogno americano, quel sogno che verrà definitivamente sepolto, aggredito nelle sue stesse fondamenta, nel successivo, necessario e in qualche modo "definitivo" Gangs of New York.
Movieplayer.it
5.0/5