"C'è la neve nei miei ricordi, c'è sempre la neve. E mi diventa bianco il cervello se non la smetto di ricordare. Una volta mio padre mi disse: Giò, la neve di suo non sarebbe bianca, ma trasparente. Pensa quanto sarebbe bello sciare sul vetro". È un Giovanni Veronesi lirico, e dolcissimo, quello che ricorda il suo passato di sciatore bambino, e poi sciatore fallito, introducendo così il suo film, La valanga azzurra, presentato alla Festa del Cinema di Roma e in uscita al cinema il 21, 22 e 23 ottobre.
La sua passione lo guida alla scoperta di un momento storico in cui, una decina di anni prima dell'arrivo di Alberto Tomba, quella degli sciatori italiani era una "squadra che tremare il mondo fa". La valanga azzurra è un documentario sportivo, ma anche molto di più: è il viaggio nei sogni di un bambino, e il ricordo di un'Italia in bianco e nero, dolce e ingenua, che non c'è più: poetico, commovente. E con diverse sorprese.
La Valanga Azzurra: oltre il documentario
Il 7 gennaio del 1974, a Berchtesgaden, nella Baviera orientale, si disputa una gara di slalom gigante. Ai primi cinque posti si classificano cinque sciatori italiani: Piero Gros, Gustav Thoeni, Erwin Stricker, Helmuth Schmalzl e Tino Pietrogiovanna. La Gazzetta dello Sport conia questo nome, "la Valanga Azzurra", puro ed entusiasmante, per definire il movimento sciistico italiano. Erano anni in cui il calcio andava male, e le soddisfazioni arrivavano da altri sport: lo sci e il tennis della famosa squadra di Coppa Davis. Non era più solo sport: la Valanga Azzurra usciva dalle montagne e arrivava nelle case degli italiani, nelle loro tv in bianco e nero. E noi diventammo un popolo di sciatori, lanciando un indotto di turismo e di aziende di abbigliamento sportivo. Chi di noi non ha indossato i Moon Boot? Lo hanno fatto anche i Beatles.
Un nuovo modo di spiegare il racconto sportivo
La valanga azzurra, inteso come il film di Veronesi, continua una nuova linea editoriale di Fandango: il romanzo sportivo. Dopo Una squadra - Il film, e la docuserie legata ad esso, diretti con sensibilità dallo stesso Domenico Procacci sulla squadra di tennis che vinse la Coppa Davis nel 1976, ecco il film di Giovanni Veronesi dedicato a un'altra grande squadra e a un altro sport amato, ma destinato a venire sempre dopo il calcio, tranne che in momenti speciali.
Diversi fra loro, più tagliente e ironico Una squadra, più dolce e romantico La valanga azzurra, i film della Fandango sembrano trovare una nuova via al racconto sportivo. È una via più italiana: meno epica, meno gloriosa, ma più personale, più calda, più intima, nostalgica e centrata sui personaggi. È come se la lezione della Commedia all'Italiana arrivasse anche ai documentari. Pensiamo solo a una scena. "Io lo fò bere così parla" dice la voce off di Veronesi in vista dell'incontro con Thoeni, noto taciturno. Scena successiva: silenzio. Ecco, di film così ne vorremmo vedere altri.
Una Squadra, la recensione: Il tennis degli anni Settanta diventa Commedia all'Italiana
Thoeni e Gros come Beatles e Rolling Stones
Un racconto forte ha bisogno di personaggi forti, e ben caratterizzati. In questo caso non sono personaggi scritti, ma reali. Veronesi è bravissimo a coglierne i caratteri e a sottolinearli. Gustav Thoeni, il silenzioso; Piero Gros, l'estroverso; Paolo De Chiesa, l'outsider. Ma ogni grande film, oltre ai protagonisti, ha anche i personaggi minori: ne scopriremo tanti, per esempio Anzi e Besson. Un grande film spesso vive di una contrapposizione.
E La Valanga Azzurra è soprattutto Thoeni contro Gros. Che è un po' come vedere i Beatles contro i Rolling Stones: Gros era potente come i riff di Keith Richards, Thoeni è la delicatezza della chitarra di George Harrison in While My Guitar Gently Wheeps. Gli sciatori della Valanga Azzurra erano in fondo tutti rivali, ma tutti amici. Lo sci è uno sport individuale. Ma gli azzurri erano tanti, e tutti bravi: la gente li considerava come una squadra di calcio. Anni dopo sarebbe arrivato Alberto Tomba: un guascone, un campione vero, ma un eroe solitario. Accanto a lui non si creò mai una squadra, mai un movimento.
Lo sci diventa cinema
La storia - anzi le storie, perché lo sci di quegli anni ha mille sottotrame - della Valanga Azzurra è forte, ma è merito di Giovanni Veronesi se diventa un grande film. È da certi particolari che si giudica un regista. Ad esempio quel momento di discesa libera vista in soggettiva. O quel montaggio in cui Veronesi unisce in sequenza una serie di cadute in discesa libera, e fa danzare quegli sciatori sulle note di Sul bel Danubio blu di Johan Strauss II. Se poi un grande film ha dei colpi di scena, qui c'è la comparsa di un ospite inaspettato. Ma anche una sorta di plot twist, quando il film sembra finito e invece arriva una rivelazione sconcertante di uno sciatore. Il finale, come ogni film che si rispetti, è emozionante. Ma attenzione anche a quel racconto dello slalom parallelo di Ortisei, del 1975, che decise la Coppa del Mondo: una vera spy story, un film nel film. E poi la moglie di Thoeni che gli dà la bella notizia solo alla fine dello slalom è un tocco da Manuale d'amore.
La Valanga Azzurra è una vera sorpresa
Dunque, La valanga azzurra è il miglior film di Giovanni Veronesi da molti anni a questa parte. Lo è perché è un film sentito, perché ci ha messo il cuore, i suoi sogni e i suoi ricordi da bambino. Ci ha messo le sue passioni, quello che lo ha sempre reso felice. Il segreto è questo, e può essere universale: riscoprire quello che amiamo, tornare bambini e ritrovare quel modo di guardare il mondo pieno di stupore.
Conclusioni
La Valanga Azzurra è una vera sorpresa: la nuova produzione Fandango segue l’altrettanto sorprendente Una squadra e trova un nuovo modo, tutto italiano, di scrivere un romanzo sportivo, più ironico, caldo e personale. Giovanni Veronesi prende delle persone reali e le rende personaggi da film, accentuando i loro caratteri e costruendo una narrazione divertente, sentimentale ed emozionante. E firma il suo film migliore da molti anni a questa parte.
Perché ci piace
- La scelta di portare sullo schermo una storia gloriosa ma poco raccontata
- I protagonisti della storia, veri personaggi, che però il regista valorizza
- Il racconto di un’Italia ingenua e in bianco e nero che non c’è più
- Il montaggio e i colpi di scena, mai banali
Cosa non va
- Qualche digressione di troppo, ma il fascino del film è anche qui