"Con Saul siamo dieci. Dovrebbero bastare, non credi? Pensi ne serva uno in più? Pensi ne serva uno in più. Ne prendiamo uno in più". Il confronto a senso unico della sequenza al bancone di un locale fra i due truffatori Danny Ocean (George Clooney) e Rusty Ryan (Brad Pitt) in Ocean's Eleven, potrebbe ricalcare più o meno le dinamiche di una riunione per il casting di un qualsiasi film di Steven Soderbergh. La pellicola in questione è il primo capitolo di una trilogia che prosegue negli anni successivi con Ocean's Twelve (2004) e Ocean's Thirteen (2007) e che sdogana ufficialmente la coralità all'interno del cinema energico e multiforme del cineasta di Atlanta. È nei primi anni Duemila che inizia a prediligere lavorazioni con un nucleo solido di star impegnate in personaggi che più o meno equamente si dividono l'attenzione della macchina da presa. Nella maggior parte dei casi scelte così ricche e nutrite hanno premiato il lavoro di Soderbergh, dimostratosi attento conoscitore delle dinamiche proprie dei set ingolfati da star e primedonne.
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Presentato nel corso della Festa del Cinema di Roma del 2017, La truffa dei Logan riprende quel filo interrotto nella filmografia di Soderbergh, il sottogenere dell'heist-movie, a diciassette anni di distanza dal primo colpo di Danny Ocean & co. Se nella banda di Las Vegas erano Danny e Rusty i profili all'apice del gruppo di rapinatori, in questa sorta di versione rurale del 2018 sono i fratelli Jimmy (Channing Tatum) e Clyde Logan (Adam Driver) ad orchestrare un colpo alla Charlotte Motor Speedway del North Carolina, proprio nel week-end in cui si svolge la Coca-Cola 600, una delle più importanti corse automobilistiche del Nord America. Al piano partecipano la sorella Mellie (Riley Keough), un galeotto di nome Joe Bang (Daniel Craig) e i suoi spiantati fratelli, Sam (Brian Gleeson) e Fish (Jack Quaid). Soderbergh si allontana dai lustrini di Las Vegas, addentrandosi nei meandri della provincia proletaria americana, togliendo il velo alle bassezze e allo spirito contraddittorio dei suoi abitanti, esposti come bizzarri freak nel circo di fango dal quale tentano di evadere. Il risultato è convincente solo a metà ma il prezzo del biglietto vale la spassosa interpretazione di Daniel Craig, inglobato in un personaggio completamente fuori dagli schemi e ben lontano dall'aplomb di James Bond, e l'ennesima magnetica performance di Adam Driver. Il suo Clyde è un personaggio silenzioso ma tenace, un reduce di guerra menomato che accetta con riserva il piano del fratello di rapinare la Speedway.
La particolare evoluzione della carriera di Steven Soderbergh nel corso degli anni mette a referto i risultati migliori con la rappresentazione su grande schermo di trame partecipative, dove i meccanismi fra i personaggi s'intersecano in una sorta di tetris drammaturgico attivo. Una contrapposizione evidente con il fulgido esordio del 1989, Sesso, bugie e videotape. Una storia opposta, un racconto della passività, della solitudine e della repressione medio borghese che conquista la critica e permette al film del giovane Soderbergh di aggiudicarsi la Palma d'Oro al Festival di Cannes. Il percorso cinematografico di Soderbergh ha conosciuto altri titoli che hanno fatto della coralità uno dei marchi di fabbrica del loro successo. Una coralità più o meno esplicita, a volte semplice assemblamento d'illustre figurine di Hollywood. In molti casi, al contrario, il parterre di star è connesso alla trama principale del film. In questo articolo andiamo a ripercorrere alcune delle tappe più importanti del suo cinema composito e ricco di grandi nomi.
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Traffic (2000)
Dopo Sesso, bugie e videotape, il film di Soderbergh che ha ricevuto maggior attenzione dalla critica internazionale. Traffic è una narrazione ramificata della lotta al contrabbando di droga che si snoda e si mescola nelle vicende, fra Messico e Stati Uniti, del poliziotto Javier Rodriguez (Benicio Del Toro), impegnato nello smantellamento del cartello di Tijuana, degli agenti della DEA Montel Gordon (Don Cheadle) e Ray Castro (Luis Guzmàn) alle prese con un uomo d'affari colluso con il cartello messicano (Steven Bauer) e di un giudice di Washington (Michael Douglas) appena nominato capo del dipartimento antidroga. A dispetto del caos che traspare dal titolo, legato allo snodo principale al centro della drammaturgia, Traffic è uno dei film più equilibrati di Soderbergh in ognuna delle sue componenti principali. Il suo cinema eclettico e variegato trova in questo lavoro una comunione di elementi funzionale all'impianto del film come difficilmente altre volte il regista di Atlanta è riuscito a proporre. Per la prima Soderbergh completa in maniera esplicita un mosaico di star, da Benicio del Toro a Michael Douglas, da Catherine Zeta-Jones a Dennis Quaid e Tomas Milian nei panni del generale Salazar.
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Ocean's Eleven (2001)
Dopo il successo di Traffic, Steven Soderbergh decide di mantenersi all'interno di quel concetto di coralità numerica degli interpreti applicata al cinema d'intrattenimento portando sullo schermo il remake di un film di Lewis Milestone del 1960 con protagonisti un nugolo di star canore dell'epoca, fra cui Frank Sinatra e Sammy Davis Jr.. Raccogliendo il discreto risultato di Milestone, Steven Soderbergh decide di rinfrescare quel racconto e trasforma la decina di ex soldati del film originale in un manipolo di truffatori. Danny Ocean passa dallo sguardo glaciale di Sinatra a quello più scanzonato di George Clooney. Divertente e furbo al punto giusto, Ocean's Eleven diventa uno dei mix fra azione e commedia più riusciti del nuovo millennio, alternando la buona resa dello script al sapiente utilizzo degli stilemi di un classico film d'azione, accompagnato dalle musiche di Elvis Presley e Quincy Jones e fornito di un cast che include i divi più in auge dell'epoca fra cui Matt Damon, Casey Affleck, Don Cheadle, Julia Roberts e Andy Garcia. Capostipite di una trilogia che include altri due titoli meno fortunati, Ocean's Twelve e Ocean's Thirteen, Ocean's Eleven ottiene un grande apprezzamento al botteghino, arrivando ad incassare ben 450 milioni di dollari a livello globale. A fine luglio assisteremo allo spin-off al femminile di Gary Ross, con un cast all star in rosa composto da Sandra Bullock, Cate Blanchett, Helena Bonham Carter, Rihanna e Sarah Paulson.
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Knockout - Resa dei conti (2011)
La tendenza di Steven Soderbergh a spaziare da un genere all'altro trova conferme in più occasioni nel corso della sua carriera. Nel 2011 esce nelle sale Knockout - Resa dei conti, pellicola che omaggia le arti marziali e vede anche in questo caso al centro della trama un ricco cast, in cui spiccano l'agguerrita ex atleta Gina Carano e interpreti ricorrenti nel cinema di Soderbergh come Channing Tatum e Michael Douglas.
Un'opera minore nella nutrita filmografia di Steven Soderbergh, che non rinuncia tuttavia a completare un team super-lusso con Michael Fassbender e Ewan McGregor.
In questo caso è evidente una certa ostentazione nel poter disporre di un cast prolifico di stelle del cinema, poco connesso ad una sceneggiatura fin troppo debole e inconsistente per poter valorizzare le potenzialità di ognuno degli interpreti.
Knockout - Resa dei conti è utile nell'ottica di conferma della fascinazione di Soderbergh per l'aggregazione di attori che difficilmente in altre situazioni avremmo occasione di vedere recitare tutti insieme nello stesso film.
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Contagion (2011)
Epidemie, panico, paranoia, fughe di massa. Ci sono tutti gli ingredienti utili al più classico degli scenari pandemici al cinema. Contagion cerca di essere questo e molto altro. Tanta la carne al fuoco, con lo sguardo interessante nell'ottica dell'impatto dei social media e del cinismo della società. Per cercare quantomeno di variare una narrazione avvincente ma poco originale. Contagion s'inserisce in un filone affrontato molte volte in passato, con scenari differenti e risultati alterni, da Terry Gilliam con L'esercito delle dodici scimmie a George A. Romero con La città verrà distrutta all'alba e Wolfgang Petersen con Virus letale. E un cast stellare può fare molto poco per apportare coesione ad un contesto che vive sfilacciato fra l'enfasi della trama e l'anarchia del cast: da Marion Cotillard a Jude Law, a Matt Damon, Laurence Fishburne, Bryan Cranston, Kate Winslet e Gwyneth Paltrow. Una sfilza di nomi celebri che non trova uno spazio adeguato alle performance che servirebbero per rendere funzionale tutto quel talento a disposizione. Nonostante il risultato non eccelso, Steven Soderbergh persegue nell'idea di creare la magia del cinema attraverso la possibilità di poter fare affidamento su attori e/o attrici dal forte richiamo internazionale.
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Magic Mike (2012)
Un colpo di coda dopo diversi anni poco ispirati. Steven Soderbergh nel 2012 torna a mettere d'accordo critica e pubblico con un prodotto firmato insospettabilmente da uno degli attori più affezionati al suo cinema, Channing Tatum, che rivanga il passato giovanile da spogliarellista, lavorando al soggetto di un film che non si limita alla semplice esibizione di pettorali scolpiti dati in pasto allo sguardo delle spettatrici e degli spettatori ma risulta un mix vincente fra le vicende umane dei protagonisti e la spettacolarità della messinscena. Alcune sequenze doverosamente patinate in superficie trovano un'oscura ambiguità nella profondità proposta dalla sceneggiatura. Strip e show che non possono celare del tutto le fragilità e le solitudini dei protagonisti di quel palcoscenico notturno, sul quale salgono un gruppo di aitanti star come Matthew McConaughey all'apice dell'esibizionismo trascinante, Channing Tatum, Alex Pettyfer, Joe Manganiello, il wrestler Kevin Nash e divi del piccolo schermo come Matt Bomer (White Collar - Fascino criminale) e Adam Rodriguez (CSI: Miami). Magic Mike è l'ennesima prova di come il cinema eterogeneo, mutevole e strabordante di Steven Soderbergh si adatti con naturalezza alla composizione corale di cast i cui componenti, al netto della reale qualità dei progetti ai quali si prestano, trovano la ribalta perfetta per attrarre e far innamorare il grande pubblico.