L'emancipazione femminile passa attraverso il potere salvifico di qualche ciocca di capelli ne La treccia, co-produzione italo-francese diretta da Laetitia Colombani che porta al cinema il suo best-seller omonimo. Tre storie di coraggio, che si intrecciano con puntuale simmetria unendo l'India degli intoccabili, una piccola impresa artigianale in Italia Meridionale e il ricco e moderno Canada. Tre storie che mostrano come, più o meno all'avanguardia che sia, tutto il mondo è paese quando si tratta di combattere per la propria indipendenza in una società in cui il patriarcato continua a manifestarsi in forme molteplici.
Niyamatabad, India settentrionale. Smita, un'intoccabile, lotta per dare un'istruzione a sua figlia mettendo da parte gli spiccioli guadagnati pulendo le latrine. Quando capisce che per la sua casta non c'è via di scampo, contro il volere del marito si mette in viaggio verso sud con la figlia in cerca di migliori condizioni. Monopoli, Italia Meridionale. Giulia lavora nel laboratorio di parrucche di famiglia, ma quando il padre ha un grave incidente scopre che l'azienda è piena di debiti e rischia di perdere tutto. Montreal, Canada. Sarah, madre di tre figli e avvocato di successo, scopre di avere un tumore. La malattia mette a repentaglio il suo ruolo di punta in un prestigioso studio legale.
Il coraggio delle donne
Road movie al femminile, La treccia è un film in movimento costante in cui tre donne sperimentano la scoperta di sé e del proprio potere. Smita, Giulia e Sarah affrontano le avversità che le colpiscono con spirito di abnegazione, anteponendo il benessere dei loro cari, figli, genitori o fratelli che siano, al proprio. Al tempo stesso, la mano di un'autrice fieramente femminista si palesa nella loro scelta di ribellarsi alle regole, consapevoli delle possibilità che oggi si aprono per le donne, soprattutto per quanto riguarda la figura della volitiva Giulia, che sa con chiarezza ciò che vuole e riesce a non piegarsi ai diktat sociali e familiari.
L'affezione di Laetitia Colombani per le sue tre protagoniste è palpabile e la rappresentazione della loro parabola sincera e appassionata. A sostegno della sua visione interviene, inoltre, un cast internazionale eterogeneo, sempre all'altezza della situazione. A fianco di Kim Raver, volto noto del piccolo schermo grazie alle serie Squadra emergenza, 24 e Grey's Anatomy, troviamo l'emergente Fotinì Peluso, che presto ritroveremo nella seconda stagione della serie Netflix Tutto chiede salvezza, e l'indiana Mia Maelzer. Le tre attrici si mettono al servizio dei personaggi e delle storie che le vedono protagoniste in tre ambienti radicalmente diversi. Una struttura narrativa azzardata, che rischia di risultate frammentaria, ma viene tenuta saldamente insieme grazie a una sceneggiatura calibrata al dettaglio. Perfino troppo.
Un film a tesi
Le storie che vanno a formare La treccia si fondono e si compenetrano proprio come le tre ciocche in cui viene separata una chioma per andare a comporre l'acconciatura che dà il titolo al film e che la piccola Lalita, figlia di Smita, sfoggia per tutto il tempo. Proprio l'accuratezza della struttura è il punto di forza, ma anche il limite della pellicola. L'andamento parallelo dei tre archi narrativi, con tanto di climax drammatico, non lascia il minimo spazio alla spontaneità. La treccia si presenza come un puzzle in cui ogni frammento corre rapidamente verso il posto che gli spetta. Tutto troppo meccanico per rappresentare un presente complesso e sfaccettato come quello in cui stiamo vivendo.
Contro il razzismo e l'intolleranza: i film che ci hanno aperto il cuore e la mente
Come ogni opera letteraria che si rispetti, il romanzo di Laetitia Colombani offre lo spazio necessario ai personaggi per evolversi con naturalezza. Spazio che invece, nel film, è limitato, tanto più che la pellicola contiene tre storie in una, comprimendo ulteriormente le possibilità. Di conseguenza, alcuni snodi narrativi, e i conseguenti cambiamenti nei personaggi, risultano troppo schematici, privi di spontaneità. La sensazione è che la natura programmatica de La treccia abbia la meglio sul resto e il suo essere un'opera a tesi vada a scapito della genuinità. Se il modello di riferimento - il pensiero corre subito ai racconti intrecciati di Alejandro Gonzales Inarritu - è alto, una regia scolastica e priva di guizzi non aiuta l'opera a decollare come potrebbe malgrado l'impegno del cast.
Conclusioni
Tre storie al femminile ambientate in tre diversi continenti. La treccia racconta il coraggio di ribellarsi alle imposizioni sociali di tre donne in cerca di emancipazione. Le storie vengono raccontare attraverso una complessa struttura di incastri grazie alle performance di un cast internazionale di primo piano, che comprende Kim Raver e l'italiana Fotinì Peluso, ma la natura programmatica della storia e una regia corretta, ma poco ispirata, rappresentano i principali limiti del film.
Perché ci piace
- Sempre un piacere rivedere Kim Raver e osservare la crescita costante del talento della giovanissima Fotinì Peluso.
- Il film non specula sul dolore, ma mantiene una certa distanza, essenziale per rappresentare alcune situazioni delicate.
Cosa non va
- A causa del tempo ridotto, l'approfondimento psicologico dei personaggi risulta un po' frettoloso.
- La regia risulta impersonale.
- La voglia di dimostrare una tesi priva il film della spontaneità.