Presentato l'8 settembre 2021 alla Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione Biennale College, e selezionato al Tribeca Film Festival, La Santa piccola è uno dei più interessanti debutti italiani del 2021. Nella cornice del Rione Sanità, a Napoli, il film mette in scena le vicende di un gruppo di comprimari a partire dal presunto miracolo che all'improvviso trasforma una bambina del quartiere, Annaluce, nell'oggetto della venerazione di tutto il vicinato: una venerazione espressa con una religiosità 'pittoresca', ai limiti del profano, e che avrà un impatto decisivo sulle esistenze di Lino, fratello maggiore di Annaluce, e del suo amico Mario.
Se il titolo, ripreso dall'omonimo romanzo di Vincenzo Restivo, si riferisce alla figura di Annaluce, l'opera d'esordio di Silvia Brunelli invece si sofferma soprattutto sul rapporto quasi simbiotico fra Lino e Mario: un'amicizia strettissima, ma che andrà incontro a un cambiamento inaspettato. E in occasione dell'anteprima del film abbiamo intervistato Silvia Brunelli, approfondendo insieme a lei alcuni degli elementi-chiave di un racconto che riesce a trasportarci nell'universo emotivo dei personaggi senza ricorrere a cliché o didascalismi, ma al contrario con ammirevole spontaneità e attenzione ai dettagli.
Emozioni suggerite in silenzio
Partiamo dall'origine del film: qual è stato l'elemento che più ti ha colpito nel romanzo di Vincenzo Restivo e ti ha spinto a trarne un adattamento per il cinema?
In realtà l'incontro con il libro è stato casuale. Io avevo scritto un cortometraggio grottesco ispirato alla vicenda di Fortuna Loffredo e uno dei produttori aveva letto il libro di Restivo, che aveva elementi in comune con il mio soggetto; quindi mi hanno proposto di partecipare a Biennale College adattando il libro. Ma rispetto al romanzo il film è completamente diverso, eredita solo il titolo e i nomi dei personaggi. Quello della Biennale è stato un workshop di scrittura, e del libro è rimasto solo lo spunto di partenza.
La Santa piccola riesce a trasmettere sentimenti e stati d'animo dei personaggi in maniera implicita e senza didascalismi, un'impresa non facile: era un tuo obiettivo già all'inizio delle riprese?
È esattamente uno degli obiettivi che mi ero posta; soprattutto per quanto riguarda Mario, non volevo esplicitare il tema dell'omosessualità in maniera manifesta. È un film che parla di micromovimenti emotivi che poi hanno un effetto valanga, da piccoli movimenti si passa a vere e proprie rivoluzioni. Era un obiettivo che ci eravamo prefissate già in fase di scrittura insieme a Francesca Scanu: abbiamo cesellato i moti emotivi dei personaggi, e in particolare con Mario è stata un'impresa abbastanza ardua, perché è un personaggio silenzioso. Renderlo così silenzioso era un rischio, ma un rischio che mi volevo prendere: quel tipo di ascolto interiore lo volevo rappresentare esattamente così, come un mettersi in ascolto, e per ascoltare serve il silenzio. Anche con gli attori ho lavorato molto su questo aspetto; inoltre volevo evitare il solito racconto sul degrado di Napoli e puntare invece sull'umanità dei personaggi. Il lavoro in sottrazione è proseguito poi anche in sala di montaggio, in modo da dare al pubblico un arco di trasformazione più centellinato.
La scelta degli interpreti
A proposito del casting, Francesco Pellegrino e Vincenzo Antonucci si sono rivelati bravissimi: qual è stato l'elemento decisivo che ti ha convinta a sceglierli per i ruoli di Lino e Mario?
Chiaramente ho seguito personalmente i casting, con l'appoggio del Nuovo Teatro Sanità, e ho affrontato due diverse opzioni: da un lato scegliere attori esordienti o quasi e dall'altro lato attori professionisti. Il percorso di Biennale College impone tempi di lavorazione ristretti, per cui la logica mi suggeriva di scegliere attori professionisti puntando sul sicuro, in modo da favorire la velocità delle riprese; ma il cuore ha sempre messo in dubbio questo ragionamento, perché Francesco Pellegrino e Vincenzo Antonucci avevano qualcosa di questi personaggi e riuscivano incredibilmente a trasmettermi la loro anima. Lo stesso vale anche per i ruoli di Assia e Annaluce: il film è stato l'esordio di Sophia Guastaferro ed ero un po' spaventata, ma lei ha dimostrato un'intelligenza e una ricettività sorprendenti. Sophia è stata una grandissima scoperta, sono molto contenta della scelta fatta.
Francesco Pellegrino e Vincenzo Antonucci si conoscevano già prima del casting?
No, si erano conosciuti cinque minuti prima del provino, quando sono stati accoppiati per il casting. È stato un caso fortunato: abbiamo svolto i casting basandoci sugli accoppiamenti che ci avevano suggerito, e Francesco e Vincenzo sono stati la prima coppia che ho provinato. In loro c'era proprio l'anima di Lino e Mario, e non sono riuscita a disinnamorarmi di questa coppia. La scena al mare con il leccalecca, per esempio, è stata frutto di improvvisazione: avrebbero dovuto mangiare un gelato e invece poi hanno tirato fuori il leccalecca, che ha permesso il dettaglio della lingua blu. Un caso fortunato e la scelta di rischiare: mi sono voluta mettere molto in gioco anche da questo punto di vista. In fondo era il mio esordio e dovevo rischiare. Francesco e Vincenzo hanno lavorato molto sulla preparazione dei personaggi e sono stati ricettivi e generosi.
La Santa piccola, la recensione: amore e miracoli al Rione Sanità
Due protagonisti tra amore e amicizia
Rispetto a Mario, la figura di Lino mantiene una maggiore ambiguità: adottando il suo punto di vista, secondo te quanto era consapevole Lino dei sentimenti di Mario e anche dei propri?
Partiamo dal presupposto che la sceneggiatura ha avuto tantissime riscritture, ma in tempi molto brevi: all'inizio La Santa piccola era un film corale, perché c'era anche Assia come protagonista, ma per motivi di budget abbiamo dovuto ridurre alcuni aspetti della storia e ci siamo focalizzati su singoli personaggi. Lino però non è mai stato consapevole dei sentimenti di Mario: è un ragazzo al quale non è mai passato per l'anticamera del cervello di innamorarsi del suo miglior amico. Non prende neanche in considerazione qualcosa del genere perché Mario è Mario, è come un fratello. Il senso del film, declinato in tutte le sue diverse linee narrative, è che c'è qualcosa che non prendiamo in considerazione e che ci permette di uscire dal nostro micromondo, con effetti molto positivi o molto negativi, a seconda di come reagiamo. Il film parla dell'impossibile che diventa possibile. Mario, quando si innamora di Lino, comincia a respirare per la prima volta. Lino invece è uno che non si ferma a pensare, a differenza di Mario, che dimostra più maturità di Lino.
Come mai, secondo te, Lino non riesce a concepire questo tipo di sentimenti?
Lino scappa, fugge, si allontana da tutto quanto; non si ferma mai a pensare e quindi non riesce a guardare. Per Lino, l'impossibile non può essere preso in considerazione. In lui non c'è però un atteggiamento omofobo, questo lo abbiamo deciso da subito in fase di sceneggiatura. Lino cerca di recuperare il suo ruolo in famiglia: la madre all'improvviso si sente accolta da tutto il quartiere e lui quindi non è più "l'uomo di casa". È uno svuotamento di senso per le sue giornate, e quindi lui si rifugia laddove sente di essere voluto e amato.
I modelli di riferimento, da Gaspar Noé a Michael Haneke
Lino e Mario sembrano essere gli unici a restare immuni dall'aura di sacralità che sorge intorno ad Annaluce: come mai, secondo te? È per un motivo generazionale?
Loro sono addirittura ironici rispetto alla questione, Lino prende in giro i fedeli. C'è sia un discorso generazionale, sia un discorso tematico: tutti coloro che vanno in pellegrinaggio da Annaluce sono persone che hanno bisogno di speranza e cercano qualcosa. La Santa piccola parla di gente che ha bisogno di credere che ci sia qualcosa in più rispetto alla monotonia della vita. Quando mi chiedono se è un film spirituale, sono restia a rispondere di sì: è un film fra lo spirituale e il magico. Il vero miracolo di Annaluce è quello di sacrificarsi, e il suo silenzio è un dissenso nei confronti di Mario e Lino, della loro immobilità. Mario sta prendendo consapevolezza e arriverà a manifestare se stesso, mentre Lino nel finale reagisce al proprio malessere ed esplode, perché vuole riprendersi il suo posto in famiglia. Lino è un eroe tragico, perché vuole tornare al punto di partenza senza evolversi. Questo si riflette anche nella recitazione: per la prima metà del film Francesco porta in scena un personaggio sorridente, mentre in seguito diventa più 'oscuro'.
Quali sono stati i tuoi modelli di riferimento per il film, non tanto come ispirazione ma anche solo a livello di suggestioni?
In fase di scrittura già tendevo a visualizzare parecchio e a capire lo stile del film; all'inizio ero partita dal grottesco, sui toni di È stato il figlio di Daniele Ciprì. Non ho cercato una fonte di ispirazione perché ho voluto rimanere fedele il più possibile alla storia, ma nel film ci sono comunque riferimenti e citazioni, come Love di Gaspar Noé e Funny Games di Michael Haneke; ma si tratta di piccolissimi riferimenti sparsi qua e là, per esempio la musica metal sui titoli di testa. Per me questi film sono dei capolavori di cui tengo sempre conto, e Michael Haneke sarà sempre uno dei miei "fari nella notte". In fondo, da esordiente ho ancora tanto da imparare.