Ci sono film che vedi, e dimentichi. E altri che ti rimangono dentro a lungo. Sono probabilmente quelli che non chiudono la storia ma la lasciano aperta, che non ti danno le risposte pronte ma ti lasciano le domande. Sono quei film che, di fatto, non finiscono con l'ultima scena, ma continuano nella nostra testa, a cui continuiamo a pensare, anche a settimane dalla visione. Uno di questi film è La zona d'interesse, un altro è Past Lives. E tra questi c'è anche La sala professori di Ilker Çatak, il film candidato al Premio Oscar come miglior film straniero dalla Germania. Come saprete, è la storia di Carla Nowak (Leonie Benesch), una giovane e promettente insegnante al suo primo incarico. Una serie di piccoli furti all'interno della scuola crea agitazione in quella che sembra una scuola tranquilla. E quando i sospetti cadono su uno dei suoi studenti, Carla decide di andare di indagare personalmente, scatenando una serie inarrestabile di reazioni a catena. Tutto questo viene raccontato in un film che è un'operetta morale che funziona come un thriller.
Se La sala professori rimane così a lungo nelle nostre teste è anche merito della sua conclusione. La cosa interessante è che il finale de La sala professori è un triplo ending, in cui la conclusione vera e propria del film, una breve sequenza con la musica e i titoli di coda che iniziano a scorrere, è anticipato da due sottofinali. Uno è più breve e uno più è lungo, e poi un'intensa scena chiave del film che lo chiude. Quando, dopo questa sequenza, lo schermo va a nero, ci sembra che davvero il film sia finito qui. Allora andiamo a ritroso, dal finale effettivo, e poi il terzo, fino al primo. Ognuna di queste scene ci dice qualcosa sul significato de La sala professori.
Il terzo finale: la scuola a tolleranza zero
Il terzo finale, quello che chiude il film su una musica enfatica e i titoli di coda, vede Oskar, il ragazzino di seconda media che era stato sospeso e si era presentato a scuola lo stesso, portato via, con tutta la sedia, dalla polizia. All'inizio del film alcuni membri del corpo insegnante lo avevano detto: "questa scuola è a tolleranza zero". E allora il fatto che un ragazzino si presenti a scuola pur essendo sospeso non viene tollerato. Quella che traspare dall'ultima sequenza, triste e dura, de La sala professori, è uno dei temi del film. Quella scuola è un microcosmo che rispecchia gli umori di un Paese, e in fondo dell'Europa. È un'Europa poco tollerante, che alza i muri, che usa spesso la forza contro chi è inerme. Oskar, il ragazzino che viene portato via da scuola, ha lo sguardo orgoglioso di chi sa di non aver fatto niente di grave. La scuola è la stessa che, al comparire dei primi furti, aveva fatto mettere tutti i portafogli dei bambini sul banco, e aveva accusato, guarda caso, uno studente di origini straniere di essere il ladro, dato che aveva più soldi del previsto. Tutto questo contribuisce al ritratto di un'Europa non accogliente, gerarchica, chiusa, repressiva.
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Il secondo finale: la scuola vuota
La sequenza di cui sopra è preceduta da un breve montaggio che la lega al primo sottofinale. Guardandolo la prima volta, siamo portati a pensare ancora una volta che La sala professori si possa chiudere qui. Su una musica sinfonica e intensa scorrono le immagini dei vari luoghi della scuola, quelli che sono stati il teatro della vicenda. A prima vista ci ricorda il finale di Prima dell'alba(ricordate i luoghi di Vienna, ormai vuoti, dove erano stati Jesse e Celine?). Vedere scorrere le immagini di quei luoghi senza più nessuno è qualcosa che colpisce più a livello emotivo che razionale. È come se il regista ci volesse dire che la storia è finita qui, che il teatro è vuoto. Elvis has left the building, come recitava la famosa frase. Ma quelle immagini potrebbero avere anche un altro significato. Quello di una scuola come istituzione che, qualsiasi cosa succeda, rimane lì, immutata e immutabile, inscalfibile. È passata una tempesta, ma tutto è rimasto ancora in piedi.
Il primo finale: quel cubo di Rubik vuol dire...
Il vero finale del film, come dicevamo, è in realtà il primo sottofinale. È il culmine di una sequenza lunga, sofferta, fatta di sguardi e di silenzi. In quell'aula c'è Oskar, che, nonostante la sospensione, ha deciso di andare lo stesso a scuola, convinto di non meritare quella punizione. E con lui ha deciso di rimanere Carla, la professoressa che avrebbe avuto tutte le ragioni di non stare con lui, visto com'era stata trattata. Carla ha deciso di lasciare fuori dall'aula gli altri professori, che avevano intenzioni molto più bellicose. Con uno sguardo li ha congedati, così come ha congedato la madre che era venuta a prenderlo. Rimane con il bambino. È il segno che crede in lui, e che tutto quello che ha fatto, andandoci di mezzo, lo ha fatto per tutelare gli studenti, per stare dalla loro parte. Che è quello che la scuola dovrebbe fare. Capiamo, semmai ne avessimo avuto qualche dubbio, che tutto quello che ha fatto è stato fatto in buona fede. E anche Oskar lo ha capito. Così, all'improvviso, tira fuori quel cubo di Rubik che Carla gli aveva dato, intuendo in lui del talento, delle doti matematiche. Oskar prende il cubo e lo risolve davanti a lei. È il segno di un contatto, di un'empatia, di un riavvicinamento. È il segno che Carla qualcosa di buono lo ha fatto, che un seme lo ha piantato. E, con quel gesto, Oskar dimostra di averlo capito.
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La scuola, una metafora della società
In un'intervista al Corriere della Sera, il regista Ilker Çatak ha raccontato che lo spunto del film arriva da fatti realmente accaduti. Nella scuola che frequentava da ragazzo, un giorno sparirono dei soldi e i professori chiesero agli alunni di mettere i portafogli sui banchi. Altri spunti, come le dinamiche delle sale insegnanti, arrivano dai racconti della sorella del regista. Secondo Çatak la scuola oggi è una metafora di una società in cui tutti vogliono avere ragione e nessuno vuole ascoltare. E vince chi fa il duro, il più forte. Per questo il comportamento controcorrente di Carla Nowak risulta scomodo, finendo per scontentare tutti. La sala professori è tutto questo, ed è anche un film sulla figura degli insegnanti. Il loro ruolo, la loro autorità e la loro autorevolezza, a differenza di un tempo, oggi sono messe in discussione dagli studenti ma anche dai genitori. Ed essere un insegnante oggi è sempre più difficile. È anche per questo che il film continua nella nostra testa. Mentre abbiamo assistito a ben tre finali, non sappiamo davvero che ne sarà della nostra Carla, professoressa empatica, sincera, fuori dagli schemi.