Tra i non pochi pregi di questo ventunesimo lungometraggio firmato da Jia Zhang-ke c'è il fatto che restituisce il senso del tempo che passa con straordinaria concretezza; l'avanzamento per ellissi narrative è scandito dai cambiamenti di formato, che dal 4/3 del primo "episodio", quello in cui incontriamo per la prima volta la venticinquenne Tao alla vigilia del passaggio al nuovo millennio, per poi allargarsi fino ai 16/9 nel terzo e conclusivo segmento. In maniera analoga, il film declina l'immagine digitale lavorando su focalizzazione, illuminazione e risoluzione (Jia utilizza anche immagini filmate negli anni '90 con la sua prima camera digitale) per suggerire il rapporto tra tempo e tecnologia, e dispiega mezzi anche notevoli per effetti esplosivi che anticipano - nella prima parte - il boom economico del paese e le sue conseguenze, per Jia decisamente tragiche.
Una escalation che si presta a varie interpretazioni, suggerendo una sempre maggiore consapevolezza con gli anni ma anche l'ineluttabilità del progresso e del cambiamento. Se l'opera precedente di Jia, Il tocco del peccato, metteva in scena la violenza come conseguenza ed espressione dell'occidentalizzazione e dello snaturamento della cultura cinese, qui lo stesso tema è sviluppato narrativamente con una mano più lieve, tra cenni di commedia e delicato melò.
Le età di Tao
La giovane Tao - interpretata dalla moglie del regista, Zhao Tao - vive in una cittadina della Cina provinciale - Fenyang, nello Shanxi, che ha dato i natali a Jia. Insegna, dà una mano nel negozio di famiglia, ama cucinare ravioli, e non si decide a capire che i suoi due due migliori amici sono innamorati di lei, e sta nascendo tra loro una feroce rivalità per la sua mano. Quando finalmente cede alle profferte di Zhang, che, arricchitosi grazie alla stazione di servizio paterna, ha comprato la locale miniera di carbone per poter meglio ricattare il rivale e indurlo a rinunciare a Tao, Liang abbandona Fenyang, la casa avita e i sogni d'amore per andare incontro a una vita breve e infelice.
Anche Tao si lascia alle spalle la gioventù e le illusioni di spensieratezza, sposa Zhang e si trasferisce con lui a Shangai mentre il nuovo millennio trasforma la Cina in un paese prospero e produttivo; quando i due hanno un bambino, il nome ben augurante che il padre sceglie per lui è Dollar. Ma tutte le promesse sono evaporate nell'amaro presente, quando ci troviamo nel 2014 accanto a un Liang morente e a una Tao che, pentita per una scelta ormai irrimediabile, è tornata sola nel paese natio dopo il divorzio dal marito, che ora si fa chiamare Peter; non può assistere Liangzi, ma può seppellire suo padre, il cui funerale le permette anche di richiamare a sé Dollar per un'ultima volta prima che il padre lo porti con sé in Australia.
Disgregazione, incomunicabilità e solitudine
Nella parte finale, l'immagine si dilata per abbracciare il futuro, il 2025, sbalorditivi panorami australiani, e una dolente distopia: Dollar è un riluttante studente e ha dimenticato il mandarino, Zhang /Peter non ha mai imparato l'inglese. Attraverso una relazione con la sua insegnante di cultura cinese, Dollar sembra riavvicinarsi, almeno nelle intenzioni, a una madre dimenticata, a un passato sepolto. E' il mare che gli riporta il suo nome: Tao significa onde in mandarino. Lei, come le onde, non si è mai fermata ed è sempre la stessa; in attesa a Fenyang, prepara i ravioli che non può più offrire a nessuno.
Succulenti ravioli, simbolici mazzi di chiavi, canzoni che si caricano di suggestioni e di ricordi, al centro di tutto la sua musa; gli elementi del disegno di Jia sono numerosi ma semplici e la sua complessità si apprezza soltanto alla fine del viaggio. Non è un film perfetto, Mountains May Depart, e forse è debole in alcune sue parti, ma ci racconta qualcosa di incontestabilmente potente.
Movieplayer.it
4.0/5