Se tre indizi fanno una prova, si sta forse delineando, negli ultimi anni, una curiosa tendenza nell'ambito della commedia italiana. Dopo il campione di incassi Benvenuti al Sud di Luca Miniero, e il recente Il nome del figlio di Francesca Archibugi, un nuovo prodotto nostrano prende infatti a prestito un soggetto concepito in altre latitudini: ma, se i due film appena citati erano rifacimenti di due grandi successi francesi (rispettivamente Giù al nord e Cena tra amici) questo Ma che bella sorpresa guarda invece al Sud America: il modello, qui, è infatti una altrettanto fortunata commedia brasiliana del 2009, intitolata La donna invisibile.
Il fatto che in un genere come quello della commedia, nel quale il nostro cinema può vantare una lunga e importante tradizione, si sia iniziato a prendere a prestito idee altrove, è forse un particolare che meriterebbe qualche riflessione supplementare: ma è pur vero che ciò non rappresenta, in realtà, che una delle spie (e neanche la più evidente) di una crisi che attanaglia il genere da tempo, e che ha in realtà radici ben più profonde. Più pertinente, in questa sede, è probabilmente riflettere sul modello scelto, e sull'ambientazione voluta dalla produzione per la storia: a tracciare, nelle intenzioni rivelate dal produttore Maurizio Totti, un ideale fil rouge tra una certa idea di solarità, di marca latinoamericana, e quella riscontrabile in una Napoli "depurata" dall'immagine cupa restituitane da cinema e fiction negli ultimi anni. Una Napoli idealmente presentata nella prima sequenza, in cui il protagonista Claudio Bisio attraversa in bicicletta le sue vie e i suoi sobborghi, percorrendone i quartieri più popolari.
Benvenuti... nella nuova commedia italiana
Se lo stesso produttore, presentando il film, ha voluto far piazza pulita da qualsiasi parallelo con le commedie nostrane più recenti, affermando che il timore di paragoni non deve condizionare le scelte (e su questo siamo perfettamente d'accordo), è indubbio che, guardando questo Ma che bella sorpresa, un certo senso di deja vu è difficilmente eludibile. I recenti film di Miniero (e parliamo del già citato Benvenuti al sud e del suo sequel, ma anche del successivo La scuola più bella del mondo) sono inevitabilmente richiamati alla mente dal film di Alessandro Genovesi, specie nell'interazione (in parte basata sugli inevitabili stereotipi) tra Bisio e il suo partner Frank Matano. Malgrado le peculiarità territoriali non siano qui al centro della storia, parte del potenziale comico del film riposa proprio sul carattere del protagonista di settentrionale trapiantato, sui siparietti e gli scontri caratteriali col personaggio di Matano, sull'impatto dei personaggi dei due genitori (due presenze d'eccezione - e, va detto, indovinate - come Ornella Vanoni e Renato Pozzetto) con l'atmosfera del capoluogo campano. La "territorialità" della storia, così come gli stessi personaggi di Pozzetto e della Vanoni, sono d'altronde elementi che erano assenti dal film originale, introdotti ex novo dalla sceneggiatura in questo remake: non sarà stata, questa, l'intenzione di produttori e regista, ma che il tema nord/sud, con tutto il suo potenziale stereotipante, si stia sempre più trasformando in un cliché, nel genere, è un sospetto perfettamente fondato.
L'ideale e la realtà
Se il titolo del film brasiliano conteneva già in sé un piccolo "spoiler", con lo snodo centrale della trama che era di fatto manifesto e dichiarato, qui si sceglie, per quanto possibile, di lasciarne allo spettatore la scoperta. Scoperta comunque già abbondantemente intuibile, e tale da innescare, dopo una prima mezz'ora introduttiva, l'intreccio vero e proprio: coi tentativi dapprima dell'amico e dei genitori, e poi dello stesso protagonista, di far scomparire la fantasmatica, ma irresistibile, presenza della Silvia interpretata dall'esordiente Chiara Baschetti. Lo spunto, qui come nell'originale, vuole esporre una tesi del tutto scoperta, chiara ed esplicita nel suo assunto: l'uomo moderno tende a costruirsi un modello di donna ideale, fortemente condizionato dalle convenzioni sociali, che spesso preferisce alla complessità e alla varietà del reale. Un dualismo esplicitato dal contrasto tra l'invisibile personaggio della Baschetti e quello concreto, verace (ma a sua volta condizionato da un sogno a occhi aperti, che la lega a un uomo spiato, ma mai conosciuto) che ha il volto e il corpo di Valentina Lodovini. Un contrasto che persiste anche dopo la scoperta da parte del protagonista del carattere incorporeo della sua compagna; e che dà anche luogo ad alcune trovate comiche dalla buona resa (su tutte, il divertente confronto finale tra le due donne).
Lo stato dell'arte della commedia nostrana
Tuttavia, il trattamento che Genovesi fa del soggetto si affida troppo alle prove dei singoli interpreti, all'affiatamento (invero buono) tra Bisio e Matano, al potenziale comico di singole sequenze spesso simili a sketch, prive di un collante forte. Il tema centrale della trama, la dialettica appena citata tra reale ed ideale, è tanto esplicito quanto, nei fatti, ridotto a mero pretesto: la sceneggiatura, pur nei limiti di una struttura da commedia rivolta al grande pubblico, resta in superficie, scivola sugli eventi (così come sull'evoluzione dei personaggi di Bisio e della Lodovini), sciupa il potenziale derivato dall'idea, in sé buona, di fare del protagonista un insegnante (nell'originale era un controllore del traffico). Un individuo deputato a trasmettere cultura che resta vittima di un ideale che è costruzione culturale per definizione, arrivando a svilupparne una nevrosi: l'intuizione, forse involontaria, poteva essere feconda, ma non viene minimamente sfruttata. Ma, probabilmente, per dare al film una consistenza maggiore serviva una mano diversa da quella di Genovesi: che, come nei precedenti film, si dimostra un buon mestierante della commedia, capace nella direzione degli attori e nella costruzione delle singole sequenze, ma mancante di un taglio davvero personale nell'approccio alle storie. Così, al di là della curiosità derivante dallo spunto iniziale, e del suo inserirsi (citato in apertura) in un filone che rischia ad ogni nuovo film di farsi maniera, questo Ma che bella sorpresa resta l'ennesima commedia, testimone dello stato dell'arte del genere, ben confezionata quanto anonima: forse, per raggiungere questo risultato, scomodare un soggetto concepito in Brasile non era neanche così necessario.
Movieplayer.it
2.0/5