Un futuro distopico, una società ordinata e organizzata in cinque fazioni, un leader carismatico e ovviamente spietato, una prescelta. Gli ingredienti erano stati presentati già nel primo capitolo, Divergent, e sono nell'inevitabile sequel il punto di partenza di una storia che, nella migliore tradizione young adult, non ripete se stessa ma evolve insieme ai suoi personaggi. Il titolo stesso del secondo capitolo della Divergent Series è esplicito: Insurgent, ovvero che insorge, si ribella. Con il secondo capitolo, insomma, lo scontro entra nel vivo.
Avevamo lasciato infatti Tris e Quattro (Four in inglese) che fuggivano insieme ad altri Intrepidi e li ritroviamo pochi giorni dopo quella fuga, rifugiati tra i Pacifici. Non può essere un rifugio sicuro e definitivo, potranno restare lì in tranquillità per pochissimo tempo (quanto basta a Tris per il nuovo taglio di capelli che la contraddistingue in Insurgent), perché Eric e i suoi uomini sono sulle loro tracce e li costringono a spostarsi tra gli Esclusi e i Candidi per evitare di finire sotto il controllo di Jeanine Matthews che è alla disperata ricerca dei Divergenti.
Il valore nella diversità
L'interesse di Jeanine per i Divergenti ha una motivazione pratica ulteriore rispetto alla semplice caccia al ribelle: la leader della città è in possesso di una scatola (una Mistery Box nella miglior tradizione di MasterChef, potremmo dire permettendoci una battuta) che può essere aperta solo da un Divergente, perché richiede il superamento di cinque prove diverse, una per ogni fazione. La diversità di Tris, elemento fondamentale e simbolico della storia della serie, additata come pericolosa per la stabilità del sistema, è di colpo un mezzo di cui Jeanine ha bisogno, la chiave per aprire la scatola che contiene un messaggio degli Antichi e che non può che confermare le idee della glaciale leader, avvalorando i suoi metodi e le sue scelte più drastiche, come quella di attaccare gli Abneganti per portare la gestione del potere nelle mani degli Eruditi. Tris non è certo l'unica Divergente, ma è la più pura e sembra essere la prescelta per portare a termine il delicato e complesso compito.
Il seguito divergente
Se siete appassionati dei romanzi della Roth, vi starete chiedendo cosa sia questa scatola e immaginiamo la vostra espressione perplessa nel leggere di essa e delle prove richieste per aprirla. Ed avete certamente ragione, perché è uno degli elementi di Insurgent che si discosta maggiormente dal libro omonimo da cui è tratto. Il più netto e forse cruciale, ma non l'unico snodo diverso di un adattamento divergente come la sua protagonista che prende una strada molto diversa, parallela a tratti, rispetto a quella originale per giungere ad un finale che lo richiama solo in parte e che lascia molti interrogativi. Dubbi non tanto sugli sviluppi della trama di per sé, ma su come (e se) si riuscirà a tornare sui binari sicuri della saga letteraria per l'adattamento, già programmato, del capitolo conclusivo Allegiant, riequilibrando gli spazi dedicati ai diversi personaggi secondari, già presentati e qui introdotti per la prima volta, approfondendo motivazioni e caratteri dei singoli e delle fazioni, prestando attenzione a quei dettagli che la Roth curava proprio nel secondo volume della sua serie.
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Lo spettacolo è assicurato
Un difetto di Insurgent, infatti, è proprio nella superficialità con cui tratta alcuni passaggi anche delicati (difficile capire le motivazioni di Evelyn, per esempio, se emergono solo in una rapida conversazione con Tris e Quattro) e su come gestisce lo spazio su schermo dedicato a tutti i personaggi di contorno, anche laddove sono nomi di spicco ad interpretarli: vediamo molto poco Octavia Spencer, Daniel Dae Kim ed anche Naomi Watts, che pure ha il compito di tratteggiare il complesso personaggio di Evelyn. Stessa sorte tocca ad alcuni che ereditiamo dal primo Divergent come la Tori di Maggie Q (e chi conosce l'Insurgent romanzo capirà cosa questo comporta) o Marcus. Insomma il focus è su Tris, sul suo rapporto con Quattro e, soprattutto, sulle sue prove per aprire la scatola, tanto che tutta la seconda parte del film è dedicata a questo.
E', va detto, la parte più riuscita della pellicola, quella in cui il regista Robert Schwentke, che ha preso il posto del predecessore Neil Burger, ha dimostrato di avere la situazione in pugno: spettacolare, adrenalinico ma anche emotivamente carico, il film vive di più di un momento riuscito dal punto di vista visivo, offrendoci colpi d'occhio d'impatto della distopica Chicago in cui è ambientato, muovendosi agevolmente su di essa e tra i suoi edifici in rovina.
Un film già visto
Restano i dubbi già espressi in occasione del primo capitolo riguardo la sensazione di già visto della storia e del suo sviluppo (leggi la recensione di Divergent), i temi e le situazioni comuni ad altri franchise young adult con Hunger Games in testa, compresa l'ormai consolidata abitudine di dividere l'ultimo capitolo in due film (già annunciati per Marzo 2016 e Marzo 2017). E' normale, trattandosi di un fenomeno che è diventato un vero e proprio genere cinematografico, ma il dubbio è che lo spettatore occasionale possa ritenerli meri cloni della saga con protagonista Jennifer Lawrence, e gli incassi un po' ce lo confermano, lasciando serie come Divergent, Maze Runner e Shadowhunters principalmente ai loro fan più accaniti. Fan che, in questo caso specifico, potrebbero non amare i drastici cambiamenti apportati alla storia che così bene conoscono ed ai personaggi che tanto amano.
Movieplayer.it
2.5/5