Con Pina 3D, Wim Wenders ha raggiunto un livello di perfezione nell'uso della stereoscopia difficilmente superabile. Il maestro tedesco, insieme ai colleghi Werner Herzog e James Cameron, padroneggia la tecnica piegandola alle proprie esigenze espressive. Proprio in virtù di ciò viene spontaneo chiedersi il motivo della necessità di girare in 3D Every Thing Will Be Fine, melodramma esistenziale incentrato sui casi della vita, sugli incontri e sugli incidenti che possono sconvolgere il nostro orizzonte.
In questo specifico caso, l'uso della stereoscopia, unito ai panorami mozzafiato dei campi innevati del Quebec, dei parchi lussureggianti e delle eleganti strade di Montreal, crea un effetto straniante donando alle immagini una qualità fiabesca. In questa atmosfera sognante - una gioia per gli occhi - il faccione in 3D di James Franco contrasta con la dolcezza del background visto che il suo personaggio, ben prima dell'incidente d'auto che scatena il dramma, sembra tutt'altro che felice.
Solitudini unite dalla perdita
Al centro della sceneggiatura firmata dallo scrittore norvegese Bjørn Olaf Johannessen vi è Tomas, scrittore in crisi di ispirazione che ha scelto di isolarsi da tutto, perfino dalla bella fidanzata interpretata da Rachel McAdams, ritirandosi a Oka, in una casetta immersa nella neve. Quello dello scrittore in crisi è solo uno dei tanti topoi che affiorano nello script scelto da Wenders per il suo ritorno alla fiction. La storia, che non brilla per originalità, ha il sapore di una parabola morale dove un uomo che non può avere figli si ritrova a confrontarsi con forme diverse di paternità mentre lotta per superare il senso di colpa dopo aver investito e ucciso un bambino.
Personaggi rarefatti, quelli pennellati da Wenders. James Franco, qui chiamato a recitare sul serio lasciando da parte il suo sorriso sornione, interpreta un uomo dai forti constrasti caratteriali. Fragile, insicuro e tormentato, segnato dal dolore e dal senso di colpa, Tomas è al tempo stesso dotato di grande senso pratico. Rachel McAdams interpreta la sua fidanzata, pragmatica e paziente, ma incapace di comprendere appieno i suoi tormenti interiori, mentre a Charlotte Gainsbourg viene affidato il ruolo più enigmatico, quello della madre del bambino morto, illustratrice che vive nella campagna quebecchese, lontana dal mondo, e cerca consolazione per la sua terribile perdita in modi inaspettati creando una forma di connessione con colui che, involontariamente, l'ha privata di uno dei due figli.
La poetica del vago e dell'indefinito
Wim Wenders dissemina Every Thing Will be Fine di ingredienti che potrebbero generare spunti di riflessione, senza però approfondirne il senso. Il regista tedesco sembra spinto dall'urgenza interiore di un bilancio emotivo che, però, non prende forma. Percepiamo un senso di incompiutezza nelle azioni del personaggio di Charlotte Gainsbourg, nella sua momentanea vicinanza con Tomas, nel suo tentativo di trovare un senso alla tragedia che l'ha colpita. Allo stesso modo il rapporto tra Tomas e l'anziano padre viene solo suggerito in un paio di rapide sequenze così come quello, ambiguo e fervido di suggestioni, tra lo scrittore e il figlio maggiore del personaggio della Gainsbourg, sopravvissuto all'incidente d'auto in cui il fratello è perito.
Privando il racconto di possibili fughe di senso, Wenders si concentra sui sentimenti primari, semplici, essenziali. La scelta di far uso di ellissi e salti temporali per scandire la struttura temporale del racconto contribuisce a creare questo effetto bozzettistico, da acquarello. I contorni sfumano, la vaghezza regna sovrana. La fotografia sognante e le intime composizioni orchestrali di Alexandre Desplat contribuiscono ad amplificare questo effetto di malinconica indefinitezza. La ragione va cercata nell'insofferenza di Wenders, giunto a questo punto della sua carriera, nei confronti della narrazione? Noi preferiamo pensare al tentativo di un grande maestro di rappresentare l'impossibilità umana di mantenere il controllo sulla propria esistenza.
Movieplayer.it
3.0/5