Un enorme ponte tra Occidente e Oriente, composto da mari, fiumi, vaste terre desolate. La Via della Seta è un crocevia di popoli lontani, un'arteria lunga 8000 chilometri, dentro cui è naturale veder scorrere del sangue. Questo accade nel 50 a.C. quando la Cina orientale è scissa dalla lotta intestina di 36 popoli, tra le cui crepe si muovono valorosi Guardiani della Via, guidati dall'idealista Huo An (Jackie Chan). Huo e i suoi compagni cercano e divulgano la pace tra le truppe nemiche a suon di belle frasi e pugni ben assestati, sino a quando un tradimento intestino porta An sulla strada di Lucio (John Cusack), legionario romano in fuga dallo spietato Tiberio (Adrien Brody), in cerca di glorie anche in Oriente.
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Daniel Lee, autore e regista di questo kolossal a metà strada tra il peplum e il wuxia dai nobili intenti, prepara un'affollata scacchiera, ma nel suo gioco bellico non vi sarà traccia di profondità, né spazio per personaggi diversi da eroi più che stropicciati dalla storia del cinema. La Via della Seta è l'unico, vago richiamo al senso del tatto, perché in Dragon Blade - La battaglia degli imperi è tutto sottolineato dal rozzo accozzare di spade, impugnate da soldati vinti da invincibili stereotipi.
Un drago spento
Subito dopo aver visto Dragon Blade, siamo stati colti da una suggestione. Abbiamo assistito ad un film con vocazioni da grande kolossal storico, ma il retrogusto è quello di un cartone animato per ragazzi da educare con buoni principi e da affascinare attraverso eroi assai abili con la spada. Perché ogni cosa, in questa assolata e desertica Cina d'altri tempi, assomiglia ad una favola, ad una bella utopia da trasformare in realtà. Abbiamo l'incontro/scontro tra civiltà, con le distanze annullate in nome di una pace comune e per amore delle sacre differenze; c'è una leale amicizia tra paladini di mondi lontani che si stringono mani, erigono città assieme e cantano all'unisono, e poi un nemico comune, il Male in persona che non conosce sfumature e non sogna altro che il dominio.
Questo radicato idealismo è il fulcro di Dragon Blade, il che non sarebbe affatto un difetto se tutto non fosse sottolineato da una retorica insistente, da una regia didascalica e affidato ad una trama dove i duelli raccontano meglio di ogni dialogo. Peccato perché la volontà di mettere in scena due culture curiose l'una dell'altra a partire dalla gestualità resta uno spunto interessante. Lo scontro di stili in battaglia, il modo opposto di impugnare una spada o di vestire un'armatura, viene però sotterrato da un linguaggio cinematografico che vorrebbe evocare miti e leggende, ma è soltanto più che trapassato.
Scappa e spada
Più ingenuo che genuino, il film di Lee mostra il fianco proprio laddove il suo protagonista Huo trova il senso della sua missione: gestire gli opposti. Così i pochi sprazzi ironici disseminati qua e là sono del tutto fuori luogo, castrando ogni velleità epica del racconto. Lo stesso vale per un montaggio confusionario, che gestisce goffamente gli scontri di massa, e per i tre segmenti narrativi dei protagonisti, affossati da flashback ripetitivi, alla perenne ricerca del picco emotivo mai raggiunto. Passato e presente, approfondimento e azione, tutto cozza alla perfezione, in un'opera paradossale dove con le parole si celebra la pace, ma in cui emerge di continuo un gusto fine a se stesso per lo spettacolo bellico.
Infatti, anche quando cinesi e romani dichiarano un'insperata tregua, il divertimento sta tutto nel ricreare i duelli di una battaglia. Vorremmo fosse così anche per noi, ma dentro questo turbinio di lame e di sabbia, si salva soltanto un dignitoso e acrobatico Jackie Chan, mentre Cusack e Brody indossano l' armatura con l'indolenza delle peggiori prime leve. C'è stato un tempo in cui definire un film "un prodotto televisivo" aveva un significato spregiativo. Quel tempo, per fortuna, è passato, per poi ritornare qui, inevitabile come la guerra ai tempi dei grandi imperi.
Movieplayer.it
2.0/5