In molti hanno alzato un sopracciglio quando hanno saputo che Michael Bay avrebbe diretto 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi, lungometraggio basato sull'omonimo libro e incentrato sugli eventi della notte dell'11 settembre 2012, quando la sede diplomatica degli USA a Benghazi, in Libia, fu presa d'assalto da militanti islamici.
Questo perché Bay, artefice di un cinema ipercinetico ed eccessivo fatto su misura per i frequentatori dei multiplex, da Bad Boys a Transformers passando per Armageddon e Pearl Harbor, di primo acchito non sembra la persona giusta per portare al cinema un capitolo tragico e controverso di storia americana, le cui ripercussioni si fanno ancora sentire sul piano politico nella copertura mediatica della campagna elettorale di Hillary Clinton (nel film, che si concentra solo sull'attacco in sé, le conseguenze politiche sono omesse al di fuori delle consuete didascalie nei titoli di coda).
America, fuck yeah!
Difatti è difficile, basandosi esclusivamente su quanto visto finora, anche in altri film basati su eventi reali (vedi il già menzionato Pearl Harbor, anche se la componente reale è limitata, e il più recente Pain & Gain - Muscoli e Denaro), immaginare un cineasta come Bay al timone di un progetto che, per la sua natura, richiederebbe un approccio più misurato rispetto alle tendenze bombastiche del regista, abituato ad una celebrazione molto "maschia" della virilità americana, in particolare tramite la presenza delle forze armate nei vari Transformers. E in tale contesto non sorprende neanche apprendere che i consulenti del film hanno espresso dei dubbi sulla compatibilità fra progetto e regista. Paradossalmente, a dare ragione a Bay è stato proprio il pubblico, che per ora non ha invaso le sale per vedere 13 Hours, forse proprio perché non è un film che ci si aspetterebbe dall'uomo che, per citare Roger Ebert, trasformò una delle grandi tragedie nazionali in "come i giapponesi attaccarono un triangolo amoroso americano."
La forza del coraggio
Coadiuvato dallo sceneggiatore Chuck Hogan (il romanziere dai cui scritti sono stati tratti The Town e The Strain), Bay accantona le sue abituali manie di grandezza (persino il "piccolo" Pain & Gain era un inno al parossismo), privilegiando un tocco più maturo per raccontare la notte che costò la vita a quattro cittadini americani, incluso l'ambasciatore Chris Stevens. Invece di cedere alla tentazione di esplosioni inquadrate in maniera quasi pornografica e frasi fatte sulla superiorità statunitense (per non parlare di battute dal dubbio gusto sui pochi personaggi femminili), 13 Hours mette in scena gli eventi con un amalgama di tensione quasi insostenibile e momenti di grande violenza, mostrati senza alcuna spettacolarizzazione di quella che fu una notte da incubo. La sobrietà di Bay dietro la macchina da presa si estende anche al cast, privo di grandi star (gli interpreti più famosi sono James Badge Dale e John Krasinski, il che la dice lunga sulle intenzioni dietro il progetto).
Si potrebbe quasi dire che, per una volta, Bay pecchi di modestia, poiché dopo un ottimo preambolo e la ricostruzione, emozionante ed adrenalinica, del conflitto stesso (seppure con qualche licenza poetica che ha fatto discutere in patria), viene un po' a mancare quella spinta emotiva finale, catartica, ingrediente essenziale di pellicole di questo genere. Non siamo quindi esattamente nei territori di The Hurt Locker o American Sniper, ma è un primo passo fondamentale nel poter constatare che c'è un regista più serio dietro la scorza di uno che, da buon pupillo di Don Simpson e Jerry Bruckheimer, vive di ipertrofia pura al servizio del grande pubblico. E quando quest'ultimo si sarà finalmente stancato dei robottoni che si massacrano per tre ore, non è certo un male sapere che Bay potrà ripiegare su lavori di tutt'altra fattura.
Movieplayer.it
4.0/5