Nel corso dell'ultimo decennio, il regista e sceneggiatore Alberto Rodríguez si è imposto come uno dei nomi più apprezzati nel panorama del cinema spagnolo (benché i suoi film, per ora, non abbiano raccolto molta visibilità al di fuori dei confini nazionali). Dal dramma giovanile 7 vírgenes del 2005, passando per After per arrivare poi, nel 2009, al fortunato poliziesco Grupo 7, Rodríguez ha goduto di un consenso via via crescente, culminato nel 2014 con un nuovo cimento nei territori del thriller, La isla mínima.
Realizzato quasi in contemporanea con la prima, folgorante stagione del serial americano True Detective (ed è pertanto da escludere una diretta influenza fra i due prodotti), La isla mínima ha riscosso un grande successo di critica e di pubblico in Spagna, tanto da aggiudicarsi un totale di ben dieci premi Goya, inclusi i trofei per miglior film, miglior regia e miglior sceneggiatura, firmata a quattro mani da Rodríguez insieme al suo fedele collaboratore Rafael Cobos.
Le paludi della morte
Siamo nel 1980: cinque anni dopo la morte del generale Francisco Franco, l'uomo che per quattro decenni aveva tenuto la Spagna nella morsa di una feroce dittatura, e poco più di un anno dopo il referendum per l'adozione di una nuova Costituzione. In un paese alle prese con un faticoso processo di "ritorno alla libertà" ma ancora impregnato dei residui del vecchio regime, due detective della Squadra Omicidi della polizia di Madrid vengono inviati in una sperduta cittadina di campagna in Andalusia. Si tratta del giovane Pedro Suárez (Raúl Arévalo, di recente nel cast de Gli amanti passeggeri), freddo, metodico e di idee progressiste, e di Juan Robles (Javier Gutiérrez, ricompensato con il Goya come miglior attore), un uomo più istintivo e irruento. Costretti, fin dalla prima sera della loro 'trasferta', a condividere addirittura la stessa camera d'albergo, i due poliziotti hanno l'incarico di far luce sulla misteriosa scomparsa di due sorelle poco più che adolescenti, sparite nel corso di una festa cittadina.
I pochi indizi a disposizione, fra cui i negativi di alcune foto osé scattate dalle due ragazze, conducono Robles e Suárez a esplorare la "vita segreta" della coppia di sorelle, legate da un ambiguo rapporto al fascinoso Joaquín Varela (Jesús Castro); e nel frattempo, dalle adiacenti paludi di Guadalquivir iniziano ad emergere i primi, agghiaccianti frammenti di un'atroce verità. L'indagine dell'orrore e il confronto diretto con una brutale violenza appaiono da subito come i principali trait d'union tra il film di Alberto Rodríguez e la serie HBO di Nic Pizzolatto: La isla mínima non concede alcuna mitigazione alla crudezza della materia narrativa, ma procede secondo un secco realismo, ben lontano dalla spettacolarità di marca hollywoodiana. Robles e Suárez sono true detective nel vero senso della parola: due personaggi assolutamente privi di cliché o di tratti distintivi spinti all'estremo, e pertanto credibili proprio in virtù della loro sostanziale 'normalità'; così come la detection non procede attraverso colpi di scena o svolte improvvise, ma come un lavoro lento e metodico, mediante il quale lo sguardo degli spettatori si addentra all'interno di questa comunità circoscritta e omertosa.
Un poliziesco fra le ombre del passato
Il nucleo de La isla mínima, difatti, non risiede in un plot particolarmente originale o spiazzante, quanto nella capacità di adoperare le suggestioni offerte dall'ambientazione (con l'apporto della fotografia dai toni sbiaditi di Alex Catalán) e gli elementi di inquietudine insiti nella descrizione della cittadina e dei suoi abitanti per costruire un'atmosfera gravida di tensione: una tensione che rimanda inevitabilmente alla consapevolezza dei lati oscuri della natura umana. E in filigrana, dietro la storyline prettamente poliziesca, Rodríguez sembra voler rimandare anche a una riflessione sulla coscienza morale della Spagna post-franchista: il ritratto di un paese sospeso fra un doloroso passato e un futuro ancora in via di definizione. Mentre il finale amarissimo nella sala da ballo di un night club, in stridente contrasto con il ritmo disco di Yes Sir, I Can Boogie, punta il dito contro la vigliaccheria della rimozione delle vergogne e dei crimini del regime.
Un sottotesto di carattere storico che, tuttavia, non collide in maniera esplicita con il percorso poliziesco dei detective Robles e Suárez, rimanendo piuttosto una 'costola' della trama. Ed è forse in tale aspetto che si può rintracciare il limite primario di un'opera come La isla mínima, al di là dei suoi evidenti meriti dal punto di vista della messa in scena (si veda l'elettrizzante inseguimento finale): nella scelta di accontentarsi di costruire un valido noir senza però premere maggiormente il pedale sulla dimensione politica della vicenda, magari approfondendo le figure dei due protagonisti, dei quali al contrario rimangono in ombra i lati più 'privati'. Rodríguez, insomma, non sfrutta appieno questo potenziale, ma dimostra in compenso di saper realizzare un "cinema di genere" di alto livello, confermandosi fra i registi di punta dell'attuale scena europea nei settori del poliziesco e del thriller.
Movieplayer.it
3.0/5