La scelta, quando il regista c’è e si sente troppo

Michele Placido interpreta L'innesto, atto unico di Pirandello, scegliendo uno stile barocco che soffoca la spontaneità dell'emozione.

Parlare di un film a volte richiede una distinzione tra forma e sostanza, nel caso in cui i due elementi non si equivalgono tanto da completarsi per dare vita ad un'opera unica e ben definita. In parole povere, può succedere che, ad una tematica interessante e degna di attenzione non corrisponda una realizzazione artistica altrettanto valida. E questo è proprio il caso de La scelta, ultimo film firmato da Michele Placido e interpretato dalla coppia Ambra Angiolini/Raoul Bova che, pur chiamando in causa l'atto unico L'innesto e il genio letterario di Luigi Pirandello, non riesce nell'intento di restituire attraverso il racconto cinematografico la medesima forza delle parola scritta.

La scelta: Ambra Angiolini è Laura in una scena del film
La scelta: Ambra Angiolini è Laura in una scena del film

A dire il vero, non è la prima volta che Placido si misura con lo scrittore di Agrigento con risultati incerti. Basti ricordare l'esperimento di Ovunque sei, ispirato ai racconti L'uomo dal fiore in bocca e All'uscita, che, nonostante il famoso nudo di Stefano Accorsi e Violante Placido, proprio non è riuscito a conquistare il favore della critica. Il problema, allora come oggi nel rapporto tra Pirandello e Placido, è l'enfasi poco controllata e uno stile fin troppo manierista del regista che non si adatta a quello più essenziale dello scrittore, capace di rendere comprensibile anche la riflessione più complessa e imprevedibile.

La forza de L'innesto, ossia la sostanza

La scelta: Ambra Angiolini in un primo piano tratto dal film
La scelta: Ambra Angiolini in un primo piano tratto dal film

Quando nel 1919 l'atto unico venne rappresentato al Teatro Manzoni di Milano suscitò un certo scandalo. Questo perché il testo non solo aveva il coraggio di portare sulle assi del palcoscenico lo stupro, ma aveva anche quello di presentare una protagonista femminile capace di accettare una maternità prodotta da una violenza, andando contro la pubblica morale del tempo. Oggi, a più di un secolo di distanza, le cose non sono cambiate poi molto. Anzi, il testo di Pirandello non risente del passare del tempo e vive ancora di una potenza detonante che lo rende necessario e adatto ad una interpretazione moderna. Il fatto è che, nonostante le nostre ambizioni di evoluzione e apertura mentale, la condizione della donna non è poi cambiata molto e, una decisione personale che va contro il giudizio comune, assume ancora la forza di un atto eroico.

Da questo punto di vista, dunque, L'innesto offre al cinema una possibilità infinita di occasioni su cui riflettere dalla profondità di un amore, al rispetto personale fino anche alla elaborazione di un dramma fisico ed emotivo. Tutti questi elementi uniti riescono a rappresentare allo stesso tempo il privato e il sociale, la condizione intima di una coppia, quanto la visione e il giudizio pubblico della società. Fino a dimostrare l'attenzione delicata e attenta che l'autore ha nei confronti della sua eroina, cui affida il compito di affrontare la violenza, renderla in qualche modo vivibile fino a dare a questa un senso profondo. Almeno per se stessa. Perché per Pirandello la condizione naturale di donna non prevedeva necessariamente quella di vittima. E non c'è messaggio più moderno di questo.

La debolezza de La scelta, ossia la forma

La scelta: Ambra Angiolini in vena di tenerezze con Raoul Bova in una scena del film
La scelta: Ambra Angiolini in vena di tenerezze con Raoul Bova in una scena del film

A questo punto, dato a Pirandello ciò che è di Pirandello, ossia la sostanza, è la rappresentazione scelta da Placido che lascia quanto meno perplessi. Così, pur scegliendo di non imporre allo spettatore un film di dialoghi e, tantomeno, la ricostruzione della violenza, del tutto inutile ai fini narrativi, si lascia decisamente prendere la mano dal punto di vista tecnico. Il che vuol dire applicare una regia che si vede e si sente in ogni singolo istante del film. E non certo per essenzialità. Anzi, attraverso un uso costante e, spesso trasbordante, di dissolvenze alternate, immagini rallentate e un numero considerevole di close up dettagliati fino all'ultima lacrima, Placido appesantisce una vicenda che ha tutto il potenziale di brillare nel più totale e completo minimalismo. La sua mano si proietta, come un'ombra lunga anche sull'interpretazione dei due protagonisti, sempre affannata e combattuta. I due mettono in scena tutti i cliché del dramma, dall'incomunicabilità privata alla lite in strada, fino alla decisione ultima e risolutiva presa sotto l'ennesimo temporale di memoria mucciniana. A questo si aggiunge un tappeto musicale che, se non abbandona mai la mente e la vita di Laura, insegnante di musica, non fa altro che investire lo spettatore suggerendo e spesso imponendo l'emozione più adatta al momento. Ed è proprio questa assenza di libertà, oltre ad una mappa emotiva tracciata con ritmo cadenzato fino all'ultimo effetto, il limite maggiore di un film che poteva e doveva essere necessario.

Movieplayer.it

2.0/5