"C'è differenza tra inchiesta e diffamazione perché la diffamazione usa un solo elemento e lo costruisce contro la persona che decide di diffamare. Lo scopo del meccanismo è poter dimostrare siamo tutti uguali e invece dobbiamo sottolineare le differenze".
Roberto Saviano descrive con semplicità il meccanismo alla base della macchina del fango, la quale si attiva ogni volta che vengono portate alla luce le malefatte compiute dai poteri forti. Per screditare l'accusatore, si scava nel suo passato, si sfrutta ogni passo falso, ogni minima debolezza per minarne la credibilità e se non esiste niente si costruiscono ad hoc prove false per distruggere la sua reputazione e fare terra bruciata intorno a lui. Lo scopo è deviare l'attenzione dalla propria colpa dimostrando che tutti sono corruttibili e corrotti, nessuno escluso. Una forma di difesa atroce che ha mietuto vittime illustri, in Italia come all'estero, e che ha lo scopo di disincentivare anche i più coraggiosi dallo sfidare i potenti.
La Dark Alliance
La macchina del fango è al centro de La regola del gioco, thriller diretto dal newyorkese Michael Cuesta ispirato a una storia vera. Jeremy Renner interpreta il giornalista del San José Mercury News Gary Webb. Mentre indaga sugli espropri dei beni degli spacciatori di droga in attesa di sentenza effettuati dal governo americano, Webb si imbatte in una storia troppo grande per lui e per il quotidiano per cui lavora, ma decide comunque di andare a fondo. In poco tempo, il reporter investigativo scopre come la CIA, negli anni '80, abbia contribuito a favorire l'invasione di crack che in epoca reaganiana si è riversato nelle periferie americane, in particolare nella famigerata South Central Los Angeles e negli altri ghetti, per raccogliere denaro necessario a rifornire di armi i Contras, l'esercito controrivoluzionario che combatteva il governo sandinista in Nicaragua.
Dopo la pubblicazione del reportage Dark Alliance, che scatena un polverone svelando agli occhi dell'opinione pubblica le responsabilità della CIA, la vita di Gary Webb si trasforma in un inferno. Le sue fonti negano di averlo incontrato, la CIA cancella le prove da lui raccolte facendo terra bruciata intorno alla sua indagine, gli altri quotidiani, gelosi dello scoop, lo attaccano insinuando la sua disonestà e poteri oscuri fanno pressione su di lui, minacciandolo per convincerlo a ritrattare e minando la sua serenità familiare. Ironia della sorte, mentre si scatena il caos che risucchierà il reporter in una spirale senza fondo, la Bay Area Society of Professional Journalists lo nominerà Giornalista dell'Anno.
Tutti gli uomini del Presidente
Jeremy Renner si tuffa a capofitto in un ruolo sfaccettato, profondamente umano. L'attore mette da parte i toni sbruffoni e scanzonati da blockbuster per concentrarsi sul dramma di un uomo dal carattere complesso e ci dona la sua miglior interpretazione dai tempi di The Hurt Locker. La sua performance sostiene una pellicola rigorosa, ma priva di picchi che sceglie di affrontare il biopic a sfondo politico/sociale con precisione didascalica. Michael Cuesta, forte di una lunga esperienza come regista televisivo, mette a frutto le tecniche apprese sul set della popolare serie Homeland disseminando il film di indizi che contribuiscono ad accrescere la tensione. Bastano poche semplici inquadrature, ombre che si muovono nel buio, una frase pronunciata a mezza bocca da un emissario della CIA ("Non vorremmo che accadesse niente alla sua famiglia, Mr. Webb") a gettare il seme della paranoia.
La presenza di una dark lady con le sensuali fattezze di Paz Vega contribuisce a rafforzare quell'atmosfera noir che, con l'aumentare della tensione, si fa più palpabile nella seconda parte del film. Oltre alle ottime perfomance di Rosemarie DeWitt nei panni della moglie di Webb, e di Mary-Louise Parker in quelli della editor, si segnalano gli incisivi camei di Michael Sheen, Andy Garcia e di un Ray Liotta in grande spolvero.
Look documentaristico per un film 'politico'
Ciò che manca a La regola del gioco è la catarsi. Il film si chiude su una nota minore e lascia che a colmare i vuoti nella narrazione ci pensino i cartelli posti a chiusura. Michael Cuesta ha ben presenti modelli 'alti', dal classico Tutti gli uomini del presidente all'incisivo Good Night, and Good Luck, ma schiva l'enfasi rifuggendo lo stile patinato clooniano a favore di un look visivo informale e di una massiccia presenza di immagini di repertorio che, unite a una fotografia dai toni tenui, quasi sbiaditi, e all'uso della macchina a mano, danno al film un sapore documentaristico. Questo approccio minimal limita le ambizioni della pellicola, che però svolge con diligenza la sua funzione diffondendo forte e chiaro il messaggio che contiene: la verità prima di tutto, anche quando è in ballo il sacrificio personale.
Movieplayer.it
3.0/5