Piove nella Londra vittoriana, le carrozze trasportano i più abbienti e i passanti si muovono tra le strade frettolosamente. All'interno di una lussuosa sala del numero 10 di Downing Street un uomo beve il suo tè, mentre il gabinetto di Sua Maestà e il Primo Ministro gli spiegano di una missione in Congo. L'uomo è John Clayton III (Alexander Skarsgård), quinto Conte di Greystoke e membro della Camera dei Lord, ma non è lì per questo: è lì perché un tempo era Tarzan, e in quella giungla del Congo ci ha passato infanzia e adolescenza.
La Leggenda di Tarzan inizia lì dove il mito finisce e ci mostra John Clayton all'interno di un ambiente molto lontano dalla giungla in cui siamo abituati ad immaginarlo: la sua vita ora è nel castello dei Greystoke insieme a Jane (Margot Robbie) ed è fatta di eleganti vestiti e pregiatissime carrozze. Ci vorrà un viaggio di ritorno nel Congo, insieme all'amico George Washington Williams (Samuel L. Jackson), per ritrovare la sua vera natura e il suo posto nel mondo.
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David Yates torna dietro la macchina da presa dopo aver diretto gli ultimi quattro capitoli della saga di Harry Potter, di cui si porta dietro ancora le atmosfere: il suo tocco è infatti riconoscibile soprattutto in alcuni momenti, uno tra tutti la morte dei genitori di Tarzan e l'inserimento del piccolo tra gli animali della giungla. Nonostante questo, grazie anche alla sceneggiatura di Adam Cozad e Craig Brewer, Yates riesce a confezionare una pellicola d'intrattenimento matura e articolata, che mescola elementi del mito originale di Edgar Rice Burroughs con la storia della conquista del Congo da parte di Re Leopoldo, riuscendo a regalare allo spettatore una interessante mescolanza tra storia e fantasia senza mai dimenticare la vera morale della storia di Tarzan.
Il gioco che si inverte
Da bambino a uomo, da uomo ad animale e da animale di nuovo a uomo: la storia di Tarzan contiene in sé moltissime sfaccettature che parlano ad ogni generazione sussurrando fratellanza, accettazione del diverso, sopravvivenza ma soprattutto amore. Questi elementi non vengono dimenticati da Yates, che al contrario li rielabora creando una struttura contraria in cui l'uomo, John Clayton, ha abbandonato la sua parte animale da circa un decennio e arriva ora a temerne un ricongiungimento. Scoprirà al contrario che ogni parte di sé può convivere con l'altra e che la sua vera chiave di volta non è né in Inghilterra né in Congo, ma è costantemente accanto a lui nella figura di Jane.
Ci troviamo quindi di fronte ad un Tarzan modernizzato pur senza mai perdere la sua conformazione più classica, in una favola contemporanea che rispetta l'originale racconto di Burroughs elevando tuttavia alcuni elementi, che si fanno più attuali e moderni nonostante il setting rimanga quello dell'Inghilterra ottocentesca. L'atmosfera, nella giungla così come nelle parti civilizzate del Congo e Londra, restituisce magnificenza in tutte le panoramiche, che armonizzano regia ed effetti visivi senza mai rendere fastidioso il 3D: la natura e gli animali diventano quindi parte integrante dei rapporti interpersonali e permettono allo spettatore di empatizzare con essi rendendo il film un unicum ben riuscito.
Io Tarzan, tu Jane
Se il contorno e le intenzioni sembrano convincere, i personaggi tuttavia sembrano confermare ciò che le immagini in anteprima avevano già anticipato: l'intera struttura appare moderatamente favolistica e si avvale di archetipi fin troppo scontati che in più di un momento finiscono per diventare dei veri e propri cliché. Cade in questa trappola soprattutto il personaggio di Jane, costantemente impegnata a sfatare il mito della "damigella in difficoltà" nonostante si dimostri sia una damigella e sia in evidente difficoltà. Alcune azioni risultano quindi evidentemente forzate, fuori luogo, e stridono con il contesto creato per il personaggio a cui viene affidato un ruolo profondamente classico. Lo stesso accade a Christoph Waltz, nella parte - ancora una volta - del cattivo senza scrupoli che ormai Hollywood sembra avergli cucito addosso: l'attore premio Oscar offre di nuovo quella che ha sempre più l'aria di essere la caricatura di se stesso, in un continuo ricercare le stesse gestualità e le stesse espressioni che resero celebre il suo Hans Landa di Bastardi senza gloria, ormai stantio. L'espressività di Alexander Skarsgård non aiuta Tarzan, sebbene sia parzialmente giustificata da un personaggio fisicamente ed emotivamente legato, e quindi più accettabile. Nel complesso la parte attoriale è la più debole e si inserisce in maniera disarmonica in una sceneggiatura convincente e in un visivo spettacolare.
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Movieplayer.it
3.0/5