In occasione della Giornata della Memoria (27 gennaio) quest'anno la Lucky Red ha deciso di puntare su Il viaggio di Fanny, ovvero il film francese vincitore del Giffoni Film Festival. Quello che hanno scelto i giovani giurati è un film tratto da una storia vera collocata nella Francia del 1943, nei giorni della violenta occupazione tedesca. Fanny (Léonie Souchaud) è una ragazzina di tredici anni che, insieme alle sue due sorelline Erika e Georgette, in seguito all'arresto del padre, viene consegnata dalla madre all'OSE, una nota casa di accoglienza per bambini ebrei situata in una zona neutrale del Paese.
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Ma neanche la scuola si rivela un luogo sufficientemente sicuro e quando i nazisti arrivano in Italia dopo la caduta di Mussolini, i membri dell'istituto tentano disperatamente di organizzare la partenza dei bambini per la Svizzera. Fanny e le sue sorelle sono tra gli undici minorenni che si mettono in viaggio ma che ben presto si ritroveranno soli. Benché privi di una totale comprensione del reale pericolo che corrono, per puro spirito di sopravvivenza tenteranno l'impossibile pur di raggiungere il confine svizzero e salvarsi dalla morte.
Tra noia e candore
Lola Doillon si presenta al pubblico italiano al suo terzo film, complesso ma delicato. Come accaduto in altri film dedicati all'Olocausto, da La vita è bella a Il bambino con il pigiama a righe, anche la regista francese sceglie di adottare il punto di vista dei più piccoli. Questa impostazione si rivela un'arma a doppio taglio: da un lato apprezziamo l'eleganza formale della regia e il pudore di una mise-en-scène piuttosto retrò; dall'altro risentiamo della lentezza di un ritmo piuttosto blando e di una caratterizzazione più specifica dei personaggi che, se facciamo eccezione per la determinata Madame Forman (interpreta da Cécile De France), faticano a risultare riconoscibili, prima ancora che empatici. L'esasperata ricerca di un linguaggio poetico finisce per inficiare la naturalezza dello storytelling, mai avvincente e quasi totalmente privo di climax, cui fa eccezione soltanto un'emozionante scena finale. La stessa Fanny, cui viene attribuito il ruolo della leader, è una protagonista atipica, spesso silenziosa e a tratti amorfa. Nonostante sia piccola e sostanzialmente indifesa risulta straordinariamente difficili sentirla vicina, affezionarsi alla sua vicenda e condividere il peso della sua enorme responsabilità.
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AAA Emozioni cercasi
"Se hai paura fingi il contrario per il bene degli altri", la istruisce Madam Forman. Peccato che intuire le sue emozioni diventi l'attività più avvincente in cui lo spettatore può riuscire ad impegnarsi guardando questo film. Ma il vero mistero è cosa ci abbiano trovato di tanto pregevole i giurati del Giffoni che hanno deciso di premiarlo. La Doillon ha ragione: che si sia ebrei o meno ogni cineasta che ha una storia da raccontare inerente all'Olocausto ha il diritto e il dovere di farlo. Film come Il figlio di Saul ci dimostrano che è possibile stupire e commuovere persino raccontando uno degli eventi storici più rivisitati dai cineasti di tutto il mondo come l'Olocausto. Viene da chiedersi se è del tutto necessario cimentarsi in tale impresa quando a mancare sono idee originali e sentimenti caldi e coinvolgenti, come purtroppo in questo caso.
Movieplayer.it
2.0/5