La banlieue: spazio emblematico della nostra modernità o, al contrario, un "non luogo" da trasformare nell'emblema dell'alienazione suburbana? Il modello di una città costruita a misura d'individuo o una prigione di cemento in cui ciascun appartamento è assimilabile a un più o meno confortevole loculo? Sviluppatesi a macchia d'olio in particolare a partire dagli anni Ottanta, le banlieue, vale a dire i sobborghi periferici sorti negli anelli attorno alle maggiori città francesi, sono diventati frequente terreno d'indagine del cinema degli ultimi trent'anni (a partire da Eric Rohmer, che sulla dicotomia fra banlieue e centro urbano ha costruito alcuni dei capitoli più interessanti delle sue Commedie e proverbi).
Ed è uno di questi "quartieri dormitorio", spesso del tutto grigi e anonimi, lo scenario del nuovo lungometraggio del regista e sceneggiatore Samuel Benchetrit, Asphalte, inserito fra le proiezioni speciali del Festival di Cannes 2015 e distribuito ora nelle sale italiane con il titolo Il condominio dei cuori infranti. Una commedia costruita su tre segmenti narrativi paralleli, ispirati a un libro autobiografico dello stesso Benchetrit, Les Chroniques de l'Asphalte.
Le cronache dell'asfalto
A scandire il tono dominante del film, ovvero un umorismo dalle sfumature quasi grottesche, è già il divertente prologo: una riunione di condominio in uno dei 'casermoni' grigi di una perfieria brulla e desolata nei pressi di Parigi, a cui partecipa anche lo stralunato Sterkowitz (Gustave Kervern). Oggetto del dibattito è la necessità di acquistare un nuovo ascensore per l'edificio, ma Sterkowitz, che abita al primo piano, non si dichiara disposto a condividere la propria quota di spese, suscitando l'ostilità degli altri inquilini. Ovviamente ci penserà una sorte beffarda a mettere nei guai il povero Sterkowitz, con un bislacco incidente domestico che gli costerà una temporanea inabilità motoria in coincidenza con il divieto di adoperare il nuovo ascensore. L'uomo, in compenso, scopre un'inedita tenerezza nell'infermiera che lo prende in cura (Valeria Bruni Tedeschi), una donna di mezza età che stimolerà Sterkowitz ad esaltarne la quieta bellezza con la sua macchina fotografica.
Fra i condomini del palazzo c'è anche Charly (il diciassettenne Jules Benchetrit, figlio del regista e della compianta Marie Trintignant), adolescente inquieto trascurato dalla famiglia, la cui curiosità sarà stimolata da una nuova vicina di pianerottolo, Jeanne Meyer (Isabelle Huppert), in passato attrice di grande successo, la quale ambisce a tornare sul palcoscenico nel ruolo - la cortigiana Poppea - che aveva interpretato in gioventù, senza tenere conto dell'avanzare dell'età. La sfacciataggine del ragazzo nei confronti di Jeanne costituirà il motore di un'inaspettata "affinità elettiva" fra i due: Charly, che appartiene a un'epoca digitale e dai ritmi frenetici, resterà ammaliato dai vecchi film dell'attrice, conservati sui nastri delle videocassette (altro oggetto obliato da una modernità incalzante), e aiuterà Jeanne non soltanto a riconquistare sufficiente fiducia in se stessa e nelle proprie capacità recitative, ma anche e soprattutto a farle comprendere le specificità e il valore della sua preziosa maturità.
Se questi due segmenti narrativi si sviluppano nel segno di un intimismo costantemente sospeso a metà strada fra dramma e commedia, il terzo episodio della pellicola di Benchetrit si sposta invece verso i territori della fiaba. L'elemento a suo modo 'fantastico' è sintetizzato nella figura di John McKenzie (Michael Pitt), astronauta della NASA che, in seguito a un improbabile guasto della sua navicella spaziale, piomba nel suddetto palazzo e trova ospitalità nella casa di Aziza Hamida (Tassadit Mandi), una donna marocchina con un figlio, Madjid (Abdelmajid 'Mickey' Barja), detenuto in carcere e un carico di premure materne pronte a essere riversate su qualcuno che possa prendere il posto del figlio. E John, costretto per cause di forza maggiore a restare nascosto presso Madame Hamida fino a nuovo ordine, diventerà l'oggetto delle affettuose attenzioni di questa signora che non parla una sola parola d'inglese.
There's a starman waiting in the sky
Alla varietà di registro fra queste tre 'piccole' storie fa da contrappeso il comune denominatore del film: il contatto umano come unica risposta possibile a una solitudine che, in forme e maniere diverse (e con diversi gradi di consapevolezza), caratterizza l'esistenza di ciascuno dei personaggi. L'amore, o piuttosto la fugace prospettiva di un amore, come antidoto alla placida malinconia del vivere nell'episodio con Kervern e la Bruni Tedeschi (che tuttavia rimane forse il più debole del lotto); un incontro intergenerazionale, quello fra i personaggi della Huppert e del giovane Benchetrit, in cui le distanze - anagrafiche e culturali - vengono annullate dall'autenticità di un rapporto indefinibile, fino ad approdare a un momento di profonda autenticità attraverso la finzione artistica, catturato (non a caso) da una telecamera digitale (e la sequenza in cui Isabelle Huppert recita le battute di Agrippina è, manco a dirlo, l'apice dell'intero film); e infine la semplicità casalinga nei gesti della madre impersonata dalla Mandi, per la quale lo starman Michael Pitt diventa l''alieno' giunto dal cielo (letteralmente) per riempire un vuoto, fisico quanto affettivo.
Ed è lo sguardo curioso e stralunato di McKenzie, una sorta di UFO 'parcheggiato' in questo microcosmo apparentemente squallido e desolato, a introdurre una componente di fanciullesca meraviglia ne Il condominio dei cuori infranti, sottolineando ulteriormente l'umanesimo alla radice della pellicola di Benchetrit, la sua pacata celebrazione della "gente comune" in attesa che qualcuno bussi alla porta della propria casa. Ed è sempre l'astronauta con il volto efebico dell'attore americano, al termine del film, a realizzare, con la sua partenza, quell'epifania che spingerà tutti i protagonisti ad affacciarsi alle rispettive finestre. Consapevoli, forse, che esiste un mondo anche al di là delle pareti di quel gigante di cemento, e finalmente pronti a coglierne i frammenti di poesia e di bellezza.
Movieplayer.it
3.0/5