Abbiamo provato la realtà virtuale: ecco perché non ucciderà il cinema

Negli ultimi mesi, con i primi visori entrati in commercio, il dibattito sulla realtà virtuale sta divenendo sempre più ampio. Cerchiamo allora di capire insieme quali sono oggi i limiti e le potenzialità di questa tecnologia e qual è il suo rapporto con il cinema.

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A fine febbraio, in un incontro per il lancio dei nuovi smartphone della Samsung presso il Mobile World Congress di Barcellona, Mark Zuckerberg si è sbilanciato affermando che la realtà virtuale ha tutte le carte in regola per modificare radicalmente il nostro rapporto con gli altri e con il mondo che ci circonda. Per il fondatore di Facebook, il medium ha la concreta possibilità di divenire in futuro una sorta di piattaforma social immersiva in grado di portare ognuno di noi a condividere le esperienze esattamente come le ha vissute. Utilizzando un paragone cinematografico, in futuro secondo Zuckerberg potremmo fare quanto si vedeva nel cult fantascientifico Strange Days: proprio come il protagonista Lenny Nero interpretato da Ralph Fiennes, potrebbe essere possibile vivere in prima persona e con un elevato grado di realismo esperienze altrui "registrate".

Se nel film di Kathryn Bigelow il tutto avveniva attraverso lo SQUID, una sorta di piastra collegata a un registratore che mandava segnali direttamente alla corteccia celebrale, nella realtà avremo un visore connesso a un cellulare, un computer, un televisore o un qualsiasi altro dispositivo riproduttivo. Lo scorso mese abbiamo provato la realtà virtuale. Prima di darvi le nostre impressioni e di ragionare sul rapporto che questa tecnologia intrattiene con il cinema, però, cerchiamo di comprendere meglio con cosa abbiamo a che fare.

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La realtà virtuale alla conquista del mercato

Gli investimenti che i colossi dell'industria dell'informatica e dell'intrattenimento stanno effettuando nel campo della realtà virtuale sono davvero notevoli. Lo stesso Zuckerberg due anni fa ha rivelato per ben due miliardi di dollari la società Oculus di Palmer Luckey, il ventitreenne che ha sviluppato la tecnologia su cui si basano i due dispositivi attualmente più noti tra quelli già presenti sul mercato: l'Oculus Rift e il Samsung Gear VR. Molto apprezzato da chi ha avuto modo di provarlo in anteprima è stato anche l'HTC Vive, che a differenza dei due visori appena citati, grazie all'utilizzo di telecamere in grado di tracciare i movimenti del nostro corpo, dà all'utente persino la possibilità di muoversi all'interno del mondo virtuale rappresentato. Di visori ne sono in sviluppo molti altri e ad ottobre, ad esempio, avverrà anche l'atteso lancio del Playstation VR, che permetterà di giocare in modalità realtà virtuale con la celebre console della Sony.

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Il fatto che le più grandi aziende tecnologiche del mondo stiano puntando così forte sulla realtà virtuale (pur più orientate verso lo sviluppo della realtà aumentata, anche Google e Microsoft non stanno a guardare), potrebbe legittimamente far pensare che difficilmente si tratti di una moda passeggera. D'altronde a inizio anno la Goldman Sachs, una delle più importanti banche d'investimento del pianeta, ha stimato che nel 2025 il mercato della realtà virtuale e della realtà aumentata varrà intorno agli ottanta miliardi di dollari, raggiungendo così all'incirca quelle che oggi sono le dimensioni del mercato dei PC desktop.

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Le differenze tra realtà virtuale e realtà aumentata

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Per quanto sia impossibile esprimersi con certezza, considerata l'estrema velocità con cui oggi progredisce il sapere tecnologico, la direzione nella quale sembra ci si stia dirigendo è quella di uno sviluppo della realtà virtuale - che isola completamente l'utente dal mondo che lo circonda - nell'ambito dell'intrattenimento e della realtà aumentata - che integra il reale con il virtuale - in un contesto legato alle attività lavorative o di ricerca (medicina, architettura, urbanistica, educazione, turismo e quant'altro). Le due tecnologie sono però simili e le influenze reciproche sono e saranno certamente molte.

Per capire immediatamente la differenza tra realtà virtuale e aumentata, possiamo ricorrere a un altro esempio cinematografico: se, come detto in precedenza, la realtà virtuale con il visore ricorda l'esperienza dello SQUID di Strange Days, la realtà aumentata è ricollegabile al punto di vista del robot Arnold Schwarzenegger in Terminator di James Cameron, caratterizzato da un flusso di informazioni che si sovrappone alla visione di quanto accade nella realtà. Oppure, tra i vari possibili esempi più vicini nel tempo, si pensi anche solo al punto di vista di Iron Man/Robert Downey Jr. quando indossa la sua armatura. In fondo, si tratta dello stesso concetto alla base dei Google Glass, ritirati lo scorso anno dal mercato in attesa di possibili futuri sviluppi, o del visore HoloLens della Microsoft, il cui lancio dovrebbe avvenire entro fine anno.

Il rapporto tra cinema e realtà virtuale

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A proposito di cinema, il suo rapporto con la realtà virtuale non è legato esclusivamente alle note capacità della settima arte di anticipare gli sviluppi tecnologici, mostrandoli decenni prima della loro effettiva realizzazione. L'industria cinematografica infatti si è di recente dimostrata molto interessata alla realtà virtuale e sta tentando di capire come muoversi per sfruttare al meglio le sue possibilità espressive. Dopo che il Sundance Film Festival a gennaio e il Tribeca Film Festival ad aprile avevano dedicato delle sezioni alle produzioni in realtà virtuale, lo scorso mese il prestigioso Festival di Cannes, nel contesto dell'annuale manifestazione NEXT, ha offerto agli operatori del mercato cinematografico otto giorni di conferenze, proiezioni, installazioni e incontri sul tema della realtà virtuale.

Definizione e scarsa fluidità: i limiti della realtà virtuale...

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Avendo visionato a Cannes, tramite l'ultima versione del Samsung Gear VR, una ventina di prodotti tra cortometraggi documentari, di animazione e di finzione (considerati dall'organizzazione tra i migliori in circolazione in tutto il mondo), la nostra idea è che siamo ancora lontani dal poter valorizzare appieno le potenzialità della realtà virtuale. In primis c'è un problema di definizione: le immagini non sono in HD né sufficientemente nitide, tanto che si notano persino con una certa evidenza i pixel che le compongono. Il fatto che le due lenti del visore ingrandiscano molto le immagini da riprodurre, così come la necessaria suddivisione dello schermo in due immagini circolari più piccole per l'effetto stereoscopico, di certo non aiuta. I sensori che servono a rivelare i movimenti della nostra testa funzionano invece molto bene e ci permettono così di muovere con fluidità lo sguardo a 360 gradi all'interno dell'immagine. Nei casi di movimenti di macchina in avanti a una certa velocità, però, spesso se ci spostiamo con lo sguardo a destra o a sinistra noteremo un fastidioso effetto di scarsa fluidità delle immagini. Abbiamo riscontrato in più occasioni questo problema e, non a caso, la maggior parte dei prodotti cannensi facevano ricorso a riprese a macchina fissa.

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Oltre a questi non trascurabili limiti tecnici, per ora va registrata anche la mancanza di contenuti narrativi particolarmente coinvolgenti o intriganti. I brevi documentari ambientati in luoghi del mondo lontani o esotici, così come le prime sperimentazioni nel campo della narrazione di finzione che abbiamo avuto modo di vedere, non sono stati granché convincenti e si sono in sostanza rivelati dei curiosi giochetti che dopo uno po', esaurito l'effetto novità, portano inevitabilmente a una perdita di interesse. Da questo punto di vista, si può comprendere il parere di James Cameron che due anni fa bollò la realtà virtuale come "francamente noiosa".

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... e le sue grandi potenzialità: se LeBron James sbaglia un canestro, vuoi andare a rimbalzo

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In alcuni momenti, però, mentre si assiste ai prodotti in realtà virtuale può capitare di avere delle piccole epifanie, rivelatrici delle notevoli possibilità di questo medium, potenzialmente capace di immergere completamente lo spettatore in un altro mondo. Come si sa, le epifanie si verificano all'improvviso e in maniera inaspettata. A noi è capitata un'esperienza del genere guardando un video apparentemente banale di poco più di dodici minuti (LeBron James: Striving For Greatness), in cui si segue la quotidianità di LeBron James durante la pre-season NBA. Dopo essere stati seduti in macchina affianco a James e aver visto qualche sessione di stretching con dichiarazioni del giocatore e del suo personal trainer, a un certo punto durante un allenamento il campione si trova davanti allo spettatore e prova un tiro abbastanza semplice da dentro l'area.

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Immersi nello spazio virtuale a 360 gradi di una palestra, con alle spalle il canestro, la curiosità ci spinge a girarci per conoscere l'esito del tiro. Ed è proprio in questo momento che succede qualcosa di sorprendente, quasi magico: la palla si stampa sul ferro, sta per cadere verso terra e il nostro istinto, anche se solo per un attimo, è quello di allungare la mano per prendere la palla. Nonostante gli evidenti limiti di cui abbiamo parlato nel precedente paragrafo e che rendono più difficoltosa una piena immedesimazione da parte chi guarda, dunque, la capacità immersiva della realtà virtuale già oggi si rivela a tratti potente.

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Sul piano del coinvolgimento emotivo, da quel che abbiamo potuto vedere ad esempio in due cortometraggi cannensi dedicati al mondo del circo e delle acrobazie (Inside the Box of Kurios e O) e, più di recente, in un cortometraggio horror (Catatonic), funziona molto bene lo stratagemma visivo di presentare uno o più personaggi che si avvicinano allo sguardo dello spettatore, magari guardandolo dritto negli occhi. Nel momento in cui riusciremo ad avere immagini in alta definizione e una buona fluidità anche nel caso di movimenti veloci della macchina da presa (presumibilmente non ci sarà da aspettare molto), la realtà virtuale potrà allora esprimersi in tutta la sua forza immersiva.

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Due linguaggi differenti

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Negli scorsi mesi ad Amsterdam e Berlino sono stati aperti i primi due "cinema" per la realtà virtuale. In sostanza, dei locali chiusi dove invece di poltrone orientate verso un grande schermo ci sono sedie girevoli su cui sedersi prima di indossare un visore. Già da qualche tempo alcuni ingenui entusiasti della Virtual Reality, con una buona dose di esagerazione, stanno preannunciando la scomparsa del cinema in favore della realtà virtuale. Queste persone però non considerano il fatto che la realtà virtuale è un linguaggio assai diverso rispetto a quello cinematografico. La possibilità offerta allo spettatore di essere padrone del proprio sguardo all'interno di un'immagine virtuale a 360 gradi va infatti con evidenza contro la natura del cinema, trasformando completamente il peculiare rapporto tra film e spettatore. Nella realtà virtuale è impossibile per un regista fare quello che ha sempre fatto con il cinema: proporre un solo punto vista (o al limite, in casi molto rari, più punti di vista tramite lo split screen) attraverso la scelta dell'inquadratura.

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Se uno spettatore può decidere di guardare dove vuole, è impossibile creare le condizioni per una tradizionale narrazione cinematografica, diretta espressione della volontà del regista oltre che dello sceneggiatore. Per tornare all'esempio del corto su LeBron James, se non ci fossimo girati per seguire la traiettoria del tiro del giocatore non ci saremmo mai accorti del suo errore. Il filmato però sarebbe andato avanti lo stesso. È esattamente questo il motivo principale per cui durante il Festival di Cannes, alla domanda su cosa pensasse della realtà virtuale, un grande regista come Steven Spielberg non si è dichiarato favorevole a un suo sviluppo in campo cinematografico. La netta sensazione è che nell'ambito dell'intrattenimento audiovisivo, grazie all'introduzione di joypad funzionali a far muovere il giocatore all'interno di un dato mondo virtuale, la Virtual Reality potrà nell'immediato dare il meglio di sé nel contesto videoludico. Il linguaggio dei videogiochi infatti, per quanto in continua evoluzione e in alcuni casi sempre più "cinematografico", può per sua natura integrarsi molto più facilmente con quello della realtà virtuale.

Niente da fare, il cinema non è destinato a morire

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Ad ogni modo, i diversi registi in giro per il mondo che si stanno iniziando a cimentare con la realtà virtuale sono consapevoli di misurarsi con un linguaggio differente da quello più strettamente filmico e si stanno adoperando per trovare nuove strategie narrative e di messa in scena che siano in grado di sfruttare appieno le possibilità del nuovo medium. Sarà certamente interessante vedere cosa accadrà. Di sicuro, possiamo dire che la realtà virtuale non sostituirà il cinema. Con ogni probabilità, nel prossimo futuro, essa si svilupperà in maniera parallela, con risultati che valuteremo con il passare del tempo e l'avanzare della tecnologia. Data per spacciata fin dalla nascita dagli stessi fratelli Lumière, la settima arte continuerà ancora per molto tempo a proporci storie alle quali poterci appassionare e con le quali emozionarci, in cui il regista avrà il potere di orientare e limitare il nostro sguardo per incidere a proprio piacimento sullo sviluppo della narrazione.