Ci ostiniamo così ardentemente a vestire una maschera, che spesso ci dimentichiamo del nostro volto. E così il nostro aspetto si scioglie alla luce di un passato che agisce causticamente su di noi; i suoi eventi si fanno mani di un burattinaio invisibile che ci modella, ci cambia, rivelando una versione alternativa e lontana di noi stessi. Una versione sempre più ingombrante e schiacciante, che finisce per farci dimenticare il nostro vero io, i nostri gusti, tappandoci la bocca e obliterando la mente.
Come sottolineeremo in questa recensione de La ragazza più fortunata del mondo, un alone di sarcasmo e di volontà ribaltante le attese dello spettatore, prende e avvolge il film di Mike Barker, ora disponibile su Netflix. Quello che appare come un semplice film di inganno, di personalità ingegnose e ambiziose, si spoglia di ogni orpello ingannatore per rivelarsi nella veste di opera denunciatoria. La sua protagonista, interpretata da una sadica, e allo stesso tempo profondamente fragile Mila Kunis, si fa massima rappresentante di un sottobosco da tenere nascosto, silenzioso, all'ombra della società: è un microcosmo abitato da esseri traditi, abusati, e - soprattutto - inascoltati o ignorati. Sono vittime alla seconda, colpevoli solo di appartenere a una minoranza e per questo meno credibili. E poco importa se il dolore cresce, si aggrappa a ogni respiro, e il ricordo si ripresenta per associazioni mentali: se hai un ragazzo che ti ama, una carriera in ascesa e un'amica che ti supporta, sei e resterai "la ragazza più fortunata del mondo".
LA RAGAZZA PIÙ FORTUNATA DEL MONDO: LA TRAMA
Tiffany "Ani" FaNelli (Mila Kunis), sembra avere tutto dalla vita. È giovane, ha una carriera in ascesa, una casa lussuosa a New York, un matrimonio da organizzare, un fidanzato perfetto (Finn Wittrock), e una lingua tagliente che le spalanca le porte della società a suon di articoli e sarcasmo. Tutto sembra svolgersi per il verso giusto per Ani, almeno fino a quando non irrompe nella sua vita il regista di un documentario che la invita a raccontare la sua versione dello scioccante episodio vissuto da adolescente presso la prestigiosa Bradley School, Ani è costretta a rivivere una cupa verità che minaccia di distruggere la vita che si è meticolosamente costruita.
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ALL'OMBRA DEL RICORDO SFORTUNATO
C'è qualcosa di instabile e irrequieto che si fa largo in maniera sempre più subdola, sempre più silente, nell'animo di Tiffany "Ani" Fanelli. Un'instabilità emotiva che la ragazza non riesce più a gestire, e perfettamente restituita in termini filmici dalla regia di Mike Barker (regista, non a caso, di The Handmaid's Tale). Non basta più la voce interiore della protagonista a rendere tangibile il suo lato più ombroso, oscuro; non bastano più le allucinazioni, adesso è la macchina da presa di Baker a farsi portavoce di un'interiorità che sgomita per fuoriuscire e vedere la luce dopo anni di buio. Distribuita su un formato in 16:9 che rende tutto allungato, ampio e facilmente leggibile, la ripresa in macchina a mano di Barker si muove costantemente, priva di rigidità, facendosi perfetto contrappunto di un'anima sballottolata, agitata, proprio come la lente che tenta di coglierla e restituirla al grande pubblico.
Quello di Tiffany è un terreno che le sta crollando sotto i piedi. Le fibre che compongono la sua maschera si stanno sfilacciando, rivelando a poco a poco la sua vera essenza, e con essa il suo vero passato. Dopo anni passati a mostrarsi per chi non era, a rinchiudendosi in una palla di vetro e illusioni, Tiffany finisce per auto-convincersi di non essere più quella ragazza un po' in carne, sopravvissuta a una sparatoria scolastica, ma una penna giornalistica di acuta intelligenza, pronta a sposare il proprio principe azzurro. Ma il passato non è una terra straniera, bensì un controllore pronto a chiedere il biglietto, e piano piano quella luce fittizia, artificiosa, di un successo illusorio che la acceca e ammanta nella società delle apparenze, verrà ingoiato dallo stesso buio che ricopre i flashback dei giorni andati, spaccando con i propri artigli quella palla di vetro, e lasciarla così inerme, a raccogliere i cocci della propria esistenza.
IL VIAGGIO DEL RICORDO
È un viaggio temporale compiuto sul binario del ricordo, La ragazza più fortunata del mondo. I traumi mai superati si fanno treni impazziti che viaggiano avanti e indietro lungo un percorso mentale che si presenta in orario, e mai in ritardo, nell'anima del personaggio di Tiffany. Illusa di aver sopito la violenza subita con la materialità di una vita di lusso, la donna non ha fatto altro che permettere al trauma di ancorarsi nelle profondità più recondite del suo subconscio, sviluppandosi ed evolvendosi a dismisura. Un cancro invisibile, mnemonico, le cui metastasi hanno intaccato Ani nell'anima e nel corpo, fino a renderle insostenibile la recita, e incoerente la performance. Chi invece regala un'interpretazione convincente e solida è Mila Kunis. L'attrice abbraccia ogni sfumatura di Tiffany, carpisce la portata del suo passato, restituendo la dicotomia di un'esistenza sempre giocata tra l'essere e il dover apparire.
Con poche, centellinate, espressioni, grazie a lei lo spettatore riesce a comprendere lo stato d'animo che tormenta la donna; la sua mimica facciale, sviluppata in sottrazione carica ogni sorrisetto, o alzata di sopracciglia, di mille e più non detti altrimenti impossibili da comunicare verbalmente. Anche nei momenti di maggior angoscia ed esplosione, la Kunis non scade mai nel caricaturale, risultando naturale e perfettamente in parte. Un gioco al realismo che non sarebbe stato possibile se dietro non vi fosse un'altra, altrettanto ottimale, performance, come quella della giovane Chiara Aurerai nei panni dell'adolescente Ani. La ragazza riesce a restituire tutto il maelstrom emotivo che colpisce il suo personaggio: le sue lacrime sono fiumi di dolori da seccare immediatamente. Il suo sguardo perennemente verso il basso, sarà capovolto da quello alto, superbo, della sua versione adulta, ennesima tessera imprescindibile al gioco della scalata sociale messo a segno da Tiffany nel corso degli anni. Una rivalsa attuata a scapito della vendetta giovanile per una violenza che nessun anello, o articolo di giornale sul New York Times, potrà mai eliminare.
ESSERE, O NON ESSERE?
Quello che Ani ha deciso di costruirsi è un teatro degli equivoci, una performance realizzata sullo scarto tra verità e mistero, realtà sfasata e ricordi annebbiati, restituita agli spettatori sotto forma di una voce interiore che lascia confluire la vera natura di una protagonista ormai prigioniera della sua stessa maschera. È un sussurro, un pensiero colto soltanto dalle orecchie di un pubblico che si fa testimone dei lasciti di una mente che rigetta sulle visioni di un pavimento allagato, o di mani insanguinate, la portata traumatica dei momenti vissuti in gioventù. Quella qui narrata non è soltanto una storia di rivendicazione femminile. Dietro la figura di una donna dal passato ambiguo, oscuro, presentata come possibile carnefice, si nasconde un monito da lanciare a gran voce. Perché dietro la storia fittizia, romanzata, di Tiffany "Ani" Fanelli, se ne nascondono altre migliaia, tutte maledettamente reali.
Per tutto il film il regista ci mostra una versione alterata di Ani, modellata sul calco costruitole addosso dalla società: quello di una donna che ha tutto nella vita, antipatica e altezzosa, con un segreto impossibile da rivelare, tale da additarla come complice al gioco del massacro mediatico. Ne consegue un messaggio forte, dilaniante, che vuole una donna violentata come doppiamente vittima: gli sguardi ti scrutano, ti esaminano attentamente alla ricerca di un frammento di menzogna, o di un elemento che possa giustificare il gesto. E allora resti zitta, tieni tutto dentro, lasci che l'abuso ti mangi, la sua ombra ti inglobi, e che la rabbia si riversi solo su te stessa, colorando il mondo attorno a te, vestiti compresi. Sono perlopiù scuri, infatti, gli abiti indossati da Tiffany: scuri come gli tsunami emotivi che la coglieranno impreparata, spingendola al largo della propria memoria, nel baratro dei suoi traumi. Incapace ormai di gestire le sue due esistenze, Tiffany è impossibilitata a condividere la stessa inquadratura con coloro che considerava i punti saldi della sua nuova, agognata vita, come il suo ragazzo, o la sua direttrice editoriale. Un testa a testa continuo, tra quello che la protagonista era ed è, tra quello che vuole e compie, tra se stessa e la versione che di lei vogliono gli altri, sostenuto dalla riproposizione continua di superfici riflettenti su cui riversare il proprio ego malandato, e i ricordi celati nel tempo.
Una donna promettente ed Elle: Mulligan e Huppert, vendicatrici allo specchio
Da anti-eroina, Tiffany si eleva a paladina delle donne inascoltate, vittime imbavagliate con il nastro invisibile della paura. Quella qui compiuta non è una vendetta fisica, come quella realizzata in Una donna promettente. È una rivendicazione personale, un'accettazione del proprio passato attraverso cui costruire un nuovo presente e un futuro coerente alla propria caratura interiore. È una vendetta compiuta lasciando che le parole trovino la via di uscita e i fantasmi del dolore vengano finalmente esorcizzati. Senza tacciare, o distruggere, i sogni di rivalsa e di crescita professionale, quello di Tiffany è un ribaltamento interiore, del proprio ruolo da eseguire sul palco della vita, finché il riflesso sullo specchio non combacerà con il mondo a lei interno: una restituzione d'immagine perfetta, quella che mostra una donna felice; quella che mostra la ragazza più fortunata del mondo.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione de La ragazza più fortunata del mondo sottolineando come il film con protagonista Mila Kunis si annoveri perfettamente nel miglior sottogenere del revenge movie con intelligenza e dolore. Puntando sulla carica dolorosa dei ricordi passati, il film disponibile su Netflix si fa portavoce di esistenze inascoltate e megafono di racconti ignorati.
Perché ci piace
- La performance di Mila Kunis
- Il ribaltamento della sua protagonista, da anti-eroina a paladina dei diritti femminili
- I giochi temporali
Cosa non va
- Si poteva osare ancora di più con il contrasto fotografico
- Il rapporto tra Ani e il fidanzato, poco d'impatto nel finale