È una montagna russa emotiva che prende e lancia lo spettatore in una spirale d'ansia senza apparente fine, l'epilogo de La ragazza di neve. È una corsa al fotofinish senza bandiera a scacchi, che travolge il proprio pubblico placcandone il rush finale a pochi centimetri dal traguardo, per poi lasciarli appesi, in un eterno senso di sospensione a poca distanza dalla linea d'arrivo.
Come tenteremo di chiarire in questa spiegazione del finale de La ragazza di neve, l'apprezzata serie tv spagnola targata Netflix allontana il punto finale del proprio epilogo, portando a termine un capitolo, per iniziarne un altro. Se da una parte il ritrovamento della piccola Amaya è infatti un cerchio che può dirsi concluso con successo, dall'altro un secondo finale prende corpo nella forma di un nuovo inizio. Un finale sospeso, concepito in vista di un'eventuale seconda stagione che sa di palingenesi: una messa in pausa che sa di rinascita, nel corpo di una telefonata abitata di vendetta, rimorso, paura. E così altre indagini prenderanno il sopravvento, altre macchine verranno accese, e altre storie redatte, analizzate, scoperte.
Anime perdute in spinte egoistiche
C'è un senso di egoismo ad abbigliare La ragazza di neve e in particolare il suo ultimo episodio. Un narcisismo che porta chi non può avere figli a rapire quelli di altri, e di vendicare gli abusi subiti tra gli spazi dei propri articoli e delle ricerche di scomparse altrui. Questo desiderio di anteporre il proprio io dinnanzi a tutti gli altri, porterà lo spettro della morte a sopraggiungere, aiutando le indagini e concludendo una ricerca protratta per dieci anni. La scelta di accettare il sonno eterno, tentando di portare con sé le persone amate, segnerà un punto finale all'intreccio principale, con il ritrovamento di Amaya e la conclusione delle indagini. Si tratta di un punto di svolta che oltre all'agognato lieto fine, porterà anche fama e gratitudine a chi, come Miren Rojo (Milena Smit) on l'ha mai lasciata andare, continuando a spendere fiumi di inchiostro e lasciti di benzina, per ricercare indizi e nuovi appigli a cui aggrapparsi.
Eppure, come il finale de La ragazza di neve sottolinea nella sua analisi più approfondita, anche ogni azione compiuta dalla giovane protagonista nasconde un fattore principalmente egoistico. Dando una risposta al dolore della famiglia Martin, la reporter tenta di esorcizzare catarticamente i propri dolori. Ma il passato è una mano che tornerà a bussare alla nostra porta se non verrà recisa, staccata, bruciata. È un colpo assordante che si reitererà in eterno, fino a quando non scenderemo a patti con quello che siamo stati, tra sogni e incubi, sorrisi e urla disperate.
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Il passato è un colpo alla porta del presente
E il passato busserà alla porta di Miren a pochi minuti dalla fine, quando tutto sembrava risolto, detto, concluso. Eppure, quella sottotrrama lasciata in balia degli eventi, di un abuso ripreso e condiviso su un sito internet pirata, dato il suo mancato epilogo, e la mancanza della protagonista di affrontare a pieno muso quel mostro adolescenziale, torna a far sentire il proprio alito di timore e paura. Un sentore racchiuso nello spazio di un'istantanea e di una scritta: "Vuoi giocare". Una domanda retorica, quella, dai rimandi fanciulleschi, scritta su una busta postale, che darà spazio ad altri incontri, e che dentro di sè racchiude tutta quella insicurezza e quella paura di scendere a patti con la sé del proprio passato che non si è mai voluta affrontare direttamente, ma negli spazi di una scomparsa fisica di un'altra vittima innocente. Una vendetta compiuta dalla giornalista soprattutto nei confronti di un distretto di polizia che ancora una volta si dimostra inetto, lasciando che sia una figura del tutto estranea dal punto d vista professionale, a concludere le indagini e così illusoriamente trovare un anestetico ai propri dolori.
Già, perché se per anni il proprio caso non ha trovato un nome da imputare, una figura da incriminare, attraverso la risoluzione della scomparsa di Amaya, la giovane giornalista sente in un qualche modo di aver portato un po' di giustizia anche dentro di sé. Ma - ed è questo il punto focale del finale de La ragazza di neve - Miren non è Amaya. La notorietà per aver salvato dalle grinfie di una madre fittizia sospinta da puri e buoni sentimenti, getterà un fascio di luce sulla protagonista, attirando nuovamente su di lei l'interesse malizioso, ambiguo di aguzzini rimasti nell'ombra e ora pronti a far risentire quell'alito caldo, doloroso, sul suo collo. Coraggiosa in superficie, ma fragile al suo interno, Miren non ha mai avuto la forza di affrontare di petto questi fantasmi pronti a incarnarsi in nuovi occhi, in nuove mani, in nuovi corpi sudati; li ha sfiorati, feriti, ma mai eliminati. E risolvere il caso di Amaya era per la ragazza solo un attacco indiretto a quel mondo; ma, come ci dimostra questo primo epilogo, finché non ci sarà uno scontro frontale tra lei e i suoi aguzzini, tutto rimane soltanto che un antipasto raffreddatosi, un'anticipazione di altri e più pregnanti dolori, e dilanianti traumi.
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Istantanea di un passato futuro
Che quella minaccia sotto forma di istantanea fotografica rimandi e rigetti la protagonista nella rete dei siti pedo-pornografici non solo è reso esplicito dal soggetto di quella foto: una ragazza imbavagliata e legata, immortalata su nastro fotografico probabilmente senza il suo consenso. Ma lo stesso utilizzo, e susseguente invio, di quell'elemento così piccolo dal punto di vista dimensionale, ma così impattante da quello emotivo, è un indizio lapalissiano circa l'immersione di questa ragazza in un oceano tempestoso di minacce e tensione, ansia e fratture interne. La polaroid è infatti l'associazione diretta a quel ricatto avanzato da James Foster ai danni di Miren per conoscere l'identità di coloro che hanno tolto alla ragazza la serenità, in cambio di flash improvvisi di sostanza dolorosa. E allora, se tutte le pedine che tenevano in piedi questo gioco degli orrori sotto forma di schermo e codici, accessi e materiale di dubbia etica morale, sembravano cadute, la ricezione di quella istantanea allude ad altri sguardi, altri menti diaboliche che rigetteranno Miren nel cuore di una nuova indagine, con altre mani attorno al collo pronte a toglierle il respiro.
E non possiamo pertanto che avanzare l'ipotesi che dietro a quella busta ci siano proprio quei corpi che hanno schiacciato Miren verso la sabbia umida della sera, togliendole il sonno, e la felicità. Un abuso del passato estesosi anche nel corpo e nella sostanza di incubi continui del presente, e ora pronto a ritornare nelle vesti di una possibile seconda stagione. Un nuovo capitolo molto più incentrato sugli spettri interiori della ragazza, che la porterà probabilmente al raffronto diretto con la sé del passato, così da esorcizzare quel trauma e poi rinascere in nuove vesti e con colori nuovi, perché più accesi e più brillanti di quelli di una polaroid sbiadita.