Solo in questa stagione televisiva americana hanno esordito sulle reti d'Oltreoceano almeno due nuovi political drama, Madam Secretary e State of Affairs, genere che negli ultimi anni ha regalato agli spettatori il romanzato dietro le quinte di quel che accade all'interno della, solo in apparenza, candida facciata della Casa Bianca. La già spettacolare politica americana è stata resa oggetto, e soggetto, principale di molte realtà seriali che, a suon di metafora e di eccessi nel perfetto stile drama, hanno spogliato con la fantasia il potere e regalato al pubblico plausibili storie e verosimili scandali di corte.
Tutti gli uomini del Presidente
Non si può parlare di serie tv e politica senza citare lo show che per primo ha umanizzato, nel bene e nel male, le persone e le decisioni che vengono prese in quel di Washington e, in particolare, nell'ala Ovest della Casa Bianca nel luogo che a tutti gli effetti è il centro nevralgico dell'intero mondo: lo Studio Ovale. Ha esordito nel 1999, ed è andato avanti per sette stagioni, West Wing, serie tv creata e scritta, per le prime quattro stagioni, da Aaron Sorkin (sceneggiatore premio Oscar per The Social Network) che racconta le quotidiane problematiche che deve affrontare il Presidente Josiah "Jed" Bartlet (Martin Sheen) percorrendo, anno dopo anno di programmazione, l'amministrazione quello che all'inizio dello show è un presidente insediato da un anno fino ad arrivare, sette anni dopo, al giuramento del suo successore.
La grandezza di West Wing, oltre che dalle ottime interpretazioni e dalle affascinanti storie corollario, è stata data dalla frequente presenza di questioni di attualità tra le quattro mura dello Studio Ovale: gli argomenti delle analisi politiche all'interno della serie sono stati realmente discussi durante l'amministrazione Bush e poi rielaborati in forma liberale dagli sceneggiatori dello show. Nonostante l'impronta fortemente democratica di The West Wing lo show ha comunque, per tutta la sua durata, avuto un pubblico appartenente ad entrambe le fazioni politiche americane. A dimostrare che la qualità di un prodotto televisivo non ha bandiera.
Figli dell'11 settembre
L'11 settembre 2001 è una data che non si dimentica. Il terremoto politico ed emotivo che ha scosso il pianeta in seguito all'attacco terroristico alle Twin Towers ha avuto come epicentro l'America e di conseguenza l'interiorizzazione dell'accaduto non ha di certo lasciato fuori il mondo della serialità. Show televisivi che non hanno mai abbracciato la politica e l'attualità, come Friends e Sex and the City, hanno comunque voluto a modo loro esprimere il proprio cordoglio mentre altre serie il cui argomento è sempre stato legato ad avvenimenti reali e contemporanei, The West Wing in primis, hanno aggiunto alla programmazione puntate ad hoc al di fuori della continuity.
L'11 settembre ha cambiato inesorabilmente la linea politica dell'America e, di conseguenza, i political drama non hanno potuto fare a meno di basare le loro sceneggiature, in alcuni casi, anche sulle conseguenze della guerra in Afghanistan ancora oggi in essere. Il 6 novembre del 2001 andò in onda per la prima volta sulla rete televisiva americana Fox, 24, uno show tv in cui il protagonista era Jack Bauer (Kiefer Sutherland) agente federale del fittizia agenzia governativa anti-terrorimo CTU di Los Angeles. La serie in ogni stagione racconta una giornata dell'agente, dai metodi poco ortodossi e spesso discutibili, alle prese di volta in volta con una minaccia terroristica. L'uso non nuovo ma comunque avvincente dello split screen, la formula del tempo reale scandito con un timer (ogni puntata aveva la durata di 45 minuti più 15 di intervalli pubblicitari il cui totale di 60 minuti che agli occhi dello spettatore erano equivalenti a un'ora della giornata/stagione di Bauer) e le tematiche che in seguito all'11 settembre erano diventate drammaticamente attuali, ha portato la fiction ad avere un notevole successo.
Dalla stessa penna che ha dato vita alle avventure di Bauer in 24 per quattro anni - quella di Howard Gordon - esattamente un decennio dopo l'attentato alle Torri Gemelle, nell'ottobre del 2011, arriva sulla rete via cavo Showtime Homeland, serie tv tra le più apprezzate degli ultimi tempi e prima realtà seriale che si aggancia alla guerra in Medio Oriente e alle sue conseguenze. Homeland ha come incipit la storia di un soldato americano che, tornato in patria dopo 8 anni di prigionia e viene acclamato come un eroe; un'agente della CIA, interpretato da Claire Danes, ha però l'atroce sospetto che questo patriota sia stato convertito dai suoi rapitori di Al-Quaeda per effettuare lui stesso un attacco terroristico.
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Il successo degli intrighi di potere
Può una serie tv insegnare la politica? Secondo il nostro Premier Matteo Renzi sì ma l'autore della trilogia letteraria che ha ispirato House of Cards, Michael Dobbs, la cui storia è stata trasposta prima in Inghilterra sulla BBC e poi in America per Netflix, servizio di streaming on demand, ha affermato che le sue storie "non sono un manuale di istruzioni". Al di là dell'uso personale delle dritte che, prima i libri e poi la versione televisiva, House of Cards dà ai suoi spettatori d'élite, lo show è un vero e proprio viaggio guidato, il cui Virgilio della situazione è uno strepitoso Kevin Spacey, nella vita di un politico senza scrupoli, Frank Underwood, il quale, dopo aver guidato la vincente campagna elettorale del Presidente Garret Walker, non viene scelto come Segretario di Stato nonostante le promesse e per questo cerca in ogni modo vendetta puntando con forza ai vertici politici di Washighton.
Tratto dai libri scritti da Dobbs, ex membro del partito conservatore britannico, House of Cards, forte di 9 Primetime Emmy Awards per la prima stagione, è la più sincera e mefistofelica realtà seriale su base politica, la prima che ha avuto il coraggio di raccontare senza filtri le machiavelliche imprese di un uomo tradito e assetato di vendetta e potere.
Girl Power!
Mentre nella realtà sembra non ancora possibile poter vedere al comando degli Stati Uniti d'America un Presidente donna, la fiction televisiva d'Oltreoceano ha fatto un salto in avanti nel tempo e con Una donna alla Casa Bianca (Commander in Chief) il futuro plausibile è diventato realtà. Composta da una sola stagione andata in onda a cavallo tra il 2005 e il 2006 sulla Abc, Commander in Chief ha visto cimentarsi nel ruolo della Presidentessa Mackenzie una convincente Geena Davis che, eletta come Vicepresidente dal popolo americano, in seguito all'aneurisma cerebrale e alla conseguente morte del Presidente Bridges, non senza suscitare polemiche, viene chiamata a ricoprire il ruolo politico più importante del mondo e a combattere non solo con gli onori e gli oneri che la mansione porta ma anche con la forte diffidenza di chi non crede che una donna possa essere all'altezza di un incarico di tale spessore.
Che la politica è anche donna lo ha dimostrato, e continua a farlo da quattro anni a questa parte, Shonda Rhimes con il suo Scandal dove la protagonista, Olivia Pope (Kerry Washington), ex direttore delle comunicazioni della Casa Bianca, dedica la sua vita a proteggere la cerchia che conta dei dirigenti degli Stati Uniti dagli scandali e dai segreti che potrebbero mettere a repentaglio il buon nome degli Stati Uniti. Amante del Presidente e donna dalle grandi entrature politiche, Olivia, il cui personaggio è stato ispirato all'aiutante del Presidente George W. Bush Judy Smith, si avvale di una serie di aiutanti che sono chiamati da lei stessa gladiatori e che insieme alla donna formano la società di gestione di crisi Pope and Associates.
Al di là della parte drama che spesso sfocia in intrighi sentimentali più vicini a quelli di una soap opera che di una serie televisiva di valore, il grande coraggio di Scandal sta nell'aver inserito nella narrazione il fantomatico B-613, ovvero un'agenzia governativa segreta che ripulisce, attraverso tortura e spesse volte l'omicidio, chiunque in qualsiasi modo mini la sopravvivenza della democrazia americana. Sulla falsa riga di Scandal nelle ultime stagioni sono state molte le serie televisive che hanno voluto incentrare la storia attorno a donne di forte carisma e con un ruolo fondamentale all'interno della politica statunitense.
Ultime in ordine di tempo Madam Secretary, in cui una materna Téa Leoni è Elizabeth McCord, Segretario di Stato americano, e State of Affairs dove il ritorno alla TV di Katherine Heigl vede l'attrice nei panni di un'analista della CIA, braccio destro della Presidentessa degli Stati Uniti.
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La politica come situation comedy
Nell'attesa che il sogno di uguaglianza si avveri e che il Presidente degli Stati Uniti abbia fattezze femminili non solo nella finzione televisiva, la serialità la butta sul ridere e dà a Julia Louis-Dreyfus la mansione di Vice in un'irriverente serie, Veep, ideata dal comico e regista britannico Armando Iannucci per la HBO. Quasi tutta ambientata nell'ufficio della vicepresidenza, più che una sit com Veep è un vero e proprio show satirico e arrabbiato, per nulla sentimentale e totalmente sboccato che ha il grande pregio di non prendersela con un solo partito, repubblicano o democratico, ma di mettere in ridicolo con una comicità esplosiva il sistema politico nel suo insieme. Tra le serie che hanno preso in giro o quantomeno ridimensionato quel che accade all'interno della Casa Bianca, va annoverata sicuramente la sfortunata 1600 Penn. Durato il tempo di una sola sola stagione, la scorsa, lo show NBC ha raccontato le disavventure della famiglia Gilchrist, il cui capofamiglia è il Presidente degli Stati Uniti, tra le stramberie del figlio maggiore Skip e l'ansia da prestazione della First Lady.
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Il Re è nudo
Intrighi, scandali, dilemmi morali e divertenti prese in giro: il political drama americano ha la grande capacità di insinuarsi nelle stanze dove si decide il destino del mondo e di giocare a suo piacimento con le storie ambientante al suo interno o al suo fianco molto spesso polemizzando sui metodi o sulle decisioni. In America il Re, il potere, è nudo. Anche se solo per finzione.