Una delicata storia di affetti quella raccontata da Guillaume Nicloux con La Petite, pellicola che affronta temi sensibili come la maternità surrogata in una coppia omosessuale e i conseguenti dilemmi morali. Ma il film di Nicloux è anche un'occasione per permette al talento del veterano Fabrice Luchini di spiegarsi in una pellicola dai toni sommessi.
In La Petite, distribuito da Movies Inspired e Circuito Cinema, Luchini interpreta Joseph, padre di un giovane omosessuale perito in un incidente aereo col compagno. Dopo la tragedia, l'uomo si mette in moto per rintracciare la madre surrogata della nipote, che vive in Belgio, paese che vieta la pratica del denaro. Solo contro tutti, Joseph dovrà lottare contro la figlia scettica, contro la famiglia del compagno del figlio che non vuole saperne del bambino in arrivo e soprattutto contro la stessa madre surrogata, fiera e testarda fiamminga, che vuole dare in adozione la piccola.
Un dramma in punta di piedi
La crescita passa attraverso il contatto con gli altri e quello di Joseph è un viaggio di formazione (seppur tardiva) vero e proprio nonché un road movie atipico che si consuma tra Francia e Belgio. Nei panni di ultrasessantenne rassegnato e taciturno, che vive nella campagna di Bordeaux e passa il tempo restaurando oggetti di valore, Fabrice Luchini attinge a un registro interpretativo ricco di nuance.
La petite si apre con l'anziano costretto a elaborare suo malgrado il lutto del figlio con cui quasi non parlava più dopo la morte della moglie. Il film di Guillaume Nicloux scava nella psiche di Joseph e degli altri personaggi adottando toni pacati e riflessivi. Banditi drammi urlati e scene madri, tutti i personaggi del film si caratterizzano per una compostezza inedita, perfino Rita (Mara Taquin), madre surrogata scavezzacollo che punta a sbarazzarsi al più presto della figlia in arrivo per ripartire con la sua vita. Il regista lavora di cesello adottando un approccio naturalistico che sfocia in personaggi assolutamente realistici, i cui sentimenti vengono scandagliati da una regia attenta e puntuale, spesso quasi invisibile.
L'umanesimo di Guillaume Nicloux
Un groviglio di temi dolorosi attraversa La Petite senza mai sfociare nel dramma vero e proprio. A tratti la tensione serpeggia, ma è sempre tenuta a bada dall'eccesso di educazione o dalla riservatezza dei personaggi. A fronte della passiva accettazione da parte di Joseph delle scelte del figlio si contrappone il comportamento passivo-aggressivo della famiglia del compagno del giovane, coppia benestante e religiosa che non ha mai accettato fino in fondo l'omosessualità del figlio e deplora la pratica dell'utero in affitto. Ma quando Joseph intravede nella nascita della nipote un'opportunità per ridar senso alla sua esistenza, decide di mettere a repentaglio affetti e denaro per ricongiungersi con quella che riconosce come sua ultima discendenza.
Accompagnato dalla colonna sonora di Ludovico Einaudi, La Petite si apre con un lutto per poi assumere progressivamente toni quasi fiabeschi. Tutto merito del personaggio di Fabrice Luchini e della sua incessante fiducia nell'essere umano e nella. Finché c'è vita c'è speranza, e se la vita di suo figlio è stata stroncata prematuramente, una nuova nascita rappresenta per Joseph una speranza di redenzione dagli errori commessi in passato. "Potrebbe somigliarmi?" si chiede Luchini con fare sognante. La pacatezza dei toni e la centralità dei sentimenti sono il punto di forza di una pellicola che respinge ogni giudizio morale ("Ma ormai la bambina c'è" chiosa il pragmatico Joseph al perplesso consuocero) per esplorare le fragilità della natura umana e la sua capacità di risollevarsi in mezzo alle avversità.
Conclusioni
La Petite affronta temi attuali come omosessualità, utero in affitto ed elaborazione del lutto scavando con perizia nell'animo umano per mettere in scena sentimenti profondi e complessi con la massima naturalezza. Fabrice Luchini si conferma mattatore assoluto di una pellicola che è una sorta di road movie esistenziale in cui è chiamato a interpretare un uomo provato dal dolore che trova la forza di reagire nell'arrivo di una nuova vita.
Perché ci piace
- La capacità di sfumature della performance di un grande Fabrice Luchini.
- L'approccio privo di giudizio morale a temi delicati e discussi come la maternità surrogata.
- I toni pacati e riflessivi.
Cosa non va
- Un po' troppo abbozzata la personalità della madre surrogata, di cui sarebbe interpressante scoprire qualcosa in più.
- Alcuni dei temi toccati dal film non vengono approfonditi.