"Ho scoperto che in Italia i giornalisti fanno domande molto più poetiche rispetto a quelli norvegesi. Proprio come strutturate la domanda. È bello!": ci ha salutato così Renate Reinsve, protagonista di La persona peggiore del mondo, film di Joachim Trier presentato in concorso al Festival di Cannes 2021, dove l'attrice è stata premiata come miglior protagonista.
In sala dal 18 novembre, distribuito da Teodora Film, La persona peggiore del mondo racconta la storia Julie, donna iscritta a Medicina che è troppo impegnata a vivere la vita per capire cosa vuole fare da grande. Passa quindi alla fotografia, alla scrittura, cambia feste e fidanzati. Fino al più importante, Aksel (Anders Danielsen Lie), fumettista più grande di lei con cui va a vivere.
Libera, contraddittoria, Julie è uno dei personaggi femminili più interessanti e coinvolgenti visti al cinema in questi ultimi anni. Non è un caso che a interpretarla sia Renate Reinsve: sorriso contagioso e occhi intelligenti, nuovo astro del cinema europeo. Se n'è già accorta la moda, che ora fa a gara per averla come testimonial (per ora ha vinto Louis Vuitton). La persona peggiore del mondo è un ottimo ritratto generazionale, fatto di disagio e incertezze, ma andrebbe visto anche solo per l'interpretazione dell'attrice. L'abbiamo incontrata a Roma, dove ha presentato il film al cinema Sacher di Nanni Moretti.
La persona peggiore del mondo e la libertà dell'arte
Partiamo da una frase nel film: in cui si dice che l'arte dovrebbe poter essere sgradevole. È d'accordo?
Penso sia importante che sia anche spiacevole. È uno spazio in cui puoi mostrare anche il brutto, i tabù e giocarci. Se non avessimo questo spazio ci farebbe male non parlarne e sopprimere queste cose. Bisogna poter discutere e parlare di tutto. Altrimenti penso che la società sarebbe molto polarizzata. Facebook, Instagram e YouTube sono camere di risonanza: le persone continuano a vedere sempre le stesse cose in base all'algoritmo. E allo stesso tempo ci dividiamo sempre di più. La scena alla radio è un esempio perfetto: due post femministe si scontrano con un fumettista che fa disegni forti. È giusto che si confrontino su quei temi.
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La persona peggiore del mondo: costruire Julie
A chi ti sei ispirata per interpretare Julie?
Mi sono ispirata a un ragazzo! Timothée Chalamet in Call me by your name. Riesce ad arrivare a emozioni profonde ma con leggerezza. Ha senso dell'umorismo ma riesce anche a padroneggiare benissimo le emozioni. Fin dalla sceneggiatura ho capito che Julie avrebbe esplorato stati d'animo molto differenti. Volevo che sembrasse naturale e facile: Timothée Chalamet ci riesce. Quindi ho guardato quel film un numero infinito di volte, per studiare il suo lavoro. Inoltre la sceneggiatura era così buona da essere una fonte continua di inspirazione. Ogni scena mi ha dato materiale emotivo. Racconta cosa vuol dire essere umani. Il punto di riferimento del regista è stato invece Io e Annie: anche Julie è una donna incasinata, sbadata, buffa.
Possiamo dire che è una donna libera nel suo caos?
Sì, lo sono anche io. Penso sia difficile capire i tempi in cui vivi mentre ci vivi, ma credo che Joachim si sia fatto le giuste domande. Ha scritto la sceneggiatura ponendo domande e senza dare risposte, ma aggiungendone altre. Insieme abbiamo parlato di molti temi: Julie è piena di contraddizioni, prova molte emozioni diverse nello stesso momento, in modo caotico. Non sa che scelte fare nella vita, quindi è distante da se stessa, ma allo stesso tempo è ben ancorata nel momento presente. Che è una grande contraddizione.
Hai detto che capire i tempi in cui viviamo è difficile. Che idea ti sei fatta?
È un'epoca complessa: siamo esposti a una quantità incredibile di informazioni 24 ore su 24. Ci chiediamo in continuazione cosa sia vero. Quando ero piccola io a scuola avevamo i libri di storia ed erano incontestabili: quella era la verità. I tempi sono cambiati, ora abbiamo internet, i libri vengono aggiornati continuamente. Le nuove generazioni si chiedono continuamente quale sia la verità, perché grazie ai social sono esposti a moltissimi stimoli. I social media però sono anche un mercato, ora bisogna fare di se stessi un brand, vendersi. Ma si chiamano ancora "social": è una cosa che confonde. Non tutti hanno questo privilegio, ma oggi si può cambiare più facilmente professione e carriera, studi, partner. Tutto questo rende più difficile capire chi siamo, cosa vogliamo fare nella vita. Per questo le persone spesso si sentono molto inquiete. È un problema da privilegiati avere difficoltà di fronte a tutte queste possibilità, ma penso che bisognerebbe comunque parlarne.
Il titolo italiano del film è "La persona peggiore del mondo": secondo te lo è davvero?
Lei si sente così: non è contenta di chi è, di quello che ha fatto ad altre persone, quando ha lasciato i suoi compagni. Penso che tutti a un certo punto della nostra vita ci siamo sentiti la persona peggiore del mondo.
La persona peggiore del mondo e il sesso
È molto interessante che in questo film si parli di sesso e maternità in modo così esplicito. Perché secondo te, nel 2021, parlare di questi temi con naturalezza al cinema è ancora sconvolgente?
È molto importante parlarne. Penso che molte ragazze si vergognino della propria sessualità, invece dovrebbe essere fonte di libertà e divertimento. Il personaggio di Julie è a suo agio con la propria sessualità, è libera. Era una cosa fondamentale per il regista e per me: in quel contesto non vive drammi, è molto libera. Certamente nella vita reale è più complicato, ma penso sia molto bello vedere un personaggio che non prova vergogna per tutto ciò che riguarda il sesso.
Renate Reinsveen: è nata una stella
Nel film Julie dice ad Alex che per lui essere forte significa elaborare teorie. Per te cosa significa essere forte?
È stato bello farsi provocare dalla sceneggiatura. Mi è stato subito chiaro che quello forte fosse Aksel. Lui riesce a esprimere tutto ciò che prova a parole, a classificarlo. Julie invece sta cercando di capire in che cosa crede. È vulnerabile, non conosce le risposte. Sente che qualcosa la mette a disagio ma non sa dire cosa sia. Credo però che lei si trovi in una posizione interessante: se cerchi di ignorare la tua debolezza, illudendoti di essere forte, non riesci a capire davvero chi sei nella vita.
Com'è cambiata la tua vita dopo la vittoria a Cannes?
Per tutta la vita ho indossato vestiti usati e adesso dopo Cannes mi regalano gli abiti! Ho conosciuto Nicolas Ghesquière, direttore creativo di Louis Vuitton, abbiamo parlato della nuova collezione, sarò una delle nuove testimonial. È un artista. Ora so che la moda è un'altra cosa che va in profondità: è come indossare arte. Amo collaborare con i brand. Certo, vorrei provare a mettere ancora abiti sostenibili. Un'altra cosa che è cambiata è la possibilità di incontrare produttori e direttori di casting. Ho potuto parlare con attrici a cui mi sono ispirata per tutta la vita. È surreale e folle.