La passione di Popieluszko
Biopic su una delle figure più leggendarie della storia polacca, il sacerdote che si fece martire per guidare la sanguinosa rivolta di Solidarnosc, Popieluszko è una grande produzione cinematografica che riesce a unire la narrazione storica da documentario e il ritratto commovente che ripercorre la storia di un uomo. Da una parte la lotta, dall'altra l'amore, puro e semplice. Nel mezzo il desiderio di giustizia, libertà e solidarietà.
Il film abbraccia oltre trent'anni di storia, sospesa, tra religione e patriottismo: incontriamo il protagonista Jerzy Popieluszko per la prima volta negli anni '50, con l'ingenuità di un bambino tranquillo che fa parte di una famiglia molto religiosa, in cui la madre crede che la povertà e la guerra si risolveranno recitando il rosario. Nel 1967 Jerzy è in Cecoslovacchia e indossa la divisa, ma non partecipa alla guerra come gli altri: appartiene infatti al servizio speciale dei seminaristi e si distingue dai compagni per lo spirito ribelle e un cameratismo ecclesiastico esemplare. Lo ritroviamo più di 10 anni dopo a Varsavia, che appoggia alcuni lavoratori di fabbrica che hanno avviato uno sciopero per rincorrere i diritti civili. Il loro sciopero diventa però un vero e proprio movimento collettivo (quello di Solidarnosc) la cui forza e popolarità si estende a macchia d'olio finché non attira l'attenzione del governo, che non esita a reprimere le ribellioni dei suoi cittadini nel sangue e a emanare la terribile legge marziale. Popieluszko diventa per il suo popolo una guida non solo spirituale ma anche un leader politico, sebbene non nel senso wajdano, arrestato e sottoposto a un processo imparziale. Purtroppo pagherà il suo interventismo appassionato con la vita: il suo corpo verrà ritrovato senza vita il 10 ottobre 1984.
Popieluszko è un film di guerra, la guerra che fu combattuta dai giovani e dagli operai per le strada di Varsavia, pacificamente, e che il regime comunista sedò duramente con lo scontro armato. Una guerra che coinvolse il giovane prete Popieluszko il quale predicava solo la speranza per la libertà nelle sue messe di piazza, i primi fulcri della democrazia assetata di verità.Il regista sembra porre l'attenzione soprattutto sulla storia, al centro forse perfino in maniera più evidente del protagonista stesso, del quale comunque è calcata profondamente la psicologia. Le immagini che più catturano l'attenzione sono quelle affollate da più personaggi, quelle di azione, capaci di rendere marginali gli insistiti primi piani sulla vittima sacrificale: se a Rafal Wieczynski interessa mostrare il conflitto prima ancora che le persone che vi parteciparono, l'immagine del sacerdote emerge prepotentemente in superficie. Popieluszko appare una figura molto forte per i suoi seguaci, potente come un martire e ostinato come un cavaliere, eppure un essere umano eccessivamente flemmatico, complice anche il volto emaciato dell'attore Artur Balczynski. Il pathos che lo caratterizza gli attribuisce un valore mitologico che inevitabilmente lo avvicina al Cristo, eroe e uomo caritatevole e giusto, pugnalato alle spalle dal suo Pietro, "in ginocchio" sulla sua lunga via Crucis e flagellato dalle barbarie immorali e corporee mortali.
La durata non appesantisce il racconto perché necessaria a una narrazione degli eventi circolare e integrata da video e immagini di repertorio, che esibiscono più volte papa Wojtila, nel segno di una testimonianza e di un omaggio romantici e doverosi.
Malgrado l'enorme sforzo produttivo (settemila gli attori e le comparse ingaggiati, sette i mesi delle riprese, quattordici le città usate per le location), il film, che in patria ha riscosso enorme successo di pubblico, risulta pletorico e costretto nell'empasse di una qualità troppo vicina a quella televisiva, ma convince per l'equilibrio dei toni, che conciliano il dramma più struggente, in particolare nelle sequenze più insanguinate, con uno humour delicato.