Recensione Le invasioni barbariche (2003)

Arcand riprende i temi del suo Il declino dell´impero americano, riuscendo nella difficile impresa di far sorridere e riflettere allo stesso tempo.

La morte fra cinismo e sorriso

Far sorridere e riflettere allo stesso tempo non è un´impresa facile. Soprattutto quando si parla di malattia e di morte. Eppure il regista canadese francofono Denys Arcand è riuscito nell´impresa, viaggiando con la sua camera leggero e sferzante intorno a un malato terminale. Questo il vero nucleo di Le invasioni barbariche (premio a Cannes per la miglior sceneggiatura), un tema dal quale se ne aprono poi a catena tantissimi altri.

Rèmy è un cinquantenne divorziato, professore colto e libertino, che può dire di essersi pienamente goduto la vita: ora è all´ospedale di Montreal, dove gli viene diagnosticata una malattia che ben presto lo porterà alla morte. L'ex moglie Louise chiama subito il figlio Sébastien a Londra per convincerlo a tornare a casa. Lui esita, i rapporti con il genitore non sono buoni, ma poi parte per Montreal per aiutare la madre. Ben presto però si troverà a organizzare una grande rimpatriata con i vecchi amici e le ex amanti del padre al suo capezzale, e servendosi della propria ricchezza (ormai è un affermato uomo d´affari) corromperà un po´ tutti nell´ospedale per dare al padre tutte le comodità possibili, in modo da affrontare gli ultimi giorni nel migliore dei modi.

Arcand riprende i temi del suo Il declino dell´impero americano, film di diciassette anni fa con cui condannava la discesa agli inferi della società occidentale, richiama addirittura gli attori di quel film, e organizza attorno a Remy una lunga riflessione sulla vita e sulla morte, ma anche su tutta la nostra epoca (si parla perfino di Berlusconi). E riesce perfino a divertire, pur dovendo drammaticamente giocare tra la gioia di vivere e la consapevolezza dei limiti della condizione umana.

Ma quali sono i barbari annunciati dal regista e dal protagonista del film? C´è un esplicito riferimento all´11 settembre, ma in realtà le invasioni hanno un aspetto multiplo e diversi piani di lettura: i barbari sono coloro che minano la civiltà occidentale, oppure è la stessa decadente civiltà occidentale dominata dall´unica cultura del business trionfante? Oppure ancora l´invasione è quella della malattia che devasta il corpo umano?
Rèmi ha assaporato in pieno i piaceri della vita, ne è fiero e difende i suoi ideali, ma progressivamente i contatti con la famiglia, gli amici e le amanti gli fanno sorgere inevitabili dubbi e rimpianti. Ma riuscirà ad andarsene non rinnegando praticamente nulla, con grande onore. E´ una "banda" davvero variegata quella che allieta i suoi ultimi giorni, dove non manca nemmeno la tossicomane che cercherà con l´eroina di alleviare i suoi tormenti. E´ ancora questa la caratteristica di Arcand: temi epocali affrontati con leggerezza soave e allo stesso tempo con sferzante durezza. La somministrazione di droghe contro il dolore e l´eutanasia sono argomenti difficili: si può anche non esser d´accordo con il regista, ma gli va riconosciuta eleganza e dignità nell´esporre cinicamente e in maniera estremamente lucida quelle che in fondo sono le sue tesi.

Pur toccando toni vagamente utopici (trovare al proprio capezzale l´ex moglie e tutte le proprie amanti che vanno d´amore e d´accordo non è una cosa semplicissima, e sa tanto di morte ideale) Le invasioni barbariche, oltre a far sorridere, riesce alla fine a toccare le corde del cuore e a commuovere davvero. Perchè si può anche cercare di tenere un rigoroso e intelligente distacco di fronte all´ultimo trapasso, ma sopra gioie e dolori, fatti e misfatti, imprese e segreti, l´amarezza più grande che la morte porta con sè è la consapevolezza di lasciare tutte le persone che si amano.

Movieplayer.it

4.0/5