Spazio all'Italia al Festival Internazionale del Film di Roma. Dopo l'apertura a stelle e strisce con il film di Giovanni Veronesi L'ultima ruota del carro, ad animare il Fuori Concorso è il poetico La luna su Torino di Davide Ferrario. Il film, che uscirà in sala a marzo con Academy Two, è stato girato nell'estate 2012, ma ha attraversato una lunghissima fase di montaggio in cui ha preso forma la storia dell'amicizia tra tre coinquilini in cerca di una direzione. Ugo (Walter Leonardi) è proprietario di un'enorme villa sulle colline piemontesi che subaffitta a Maria (Manuela Parodi) e Dario (Eugenio Franceschini). La ragazza lavora in un'agenzia di viaggi sognando un giorno di visitare i luoghi di cui parla con tanto entusiasmo mentre va in cerca del vero amore, mentre Dario, fuori corso a lettere, si divide tra lo sport, i rave e il lavoro allo zoo. Una storia intima ambientata in una Torino inedita e personalissima
Davide, oltre la cast presente qui con te a Roma c'è una protagonista del tuo film che non può essere qui. Stiamo parlando di Torino.
Davide Ferrario: Si, il titolo lo rivela, però è una Torino declinata in modo particolare. E' la città del 45° parallelo e chiunque abbia attraversato la Pianura Padana lo sa bene. E' un posto magico, a metà strada tra il Polo e l'Equatore. Mi affascina l'idea di stare su questa linea: Il pensiero di trovarsi a metà del mondo è una grande metafora della nostra esistenza.
Davide Ferrario: Da Dopo mezzanotte, primo film digitale italiano, sperimento sempre. Questo film è stato girato con la Canon 300 e con 2 soli kw di luce. Abbiamo anche usato dei droni che sono più duttili degli elicotteri. La luce che vedete è quasi tutta luce di scenografia. E' un film a impatto zero, grazie anche supporto del direttore della fotografia Dante Cecchin.
Vedendo il film si ha l'impressione che la ricerca dell'equilibro dei personaggi sia contenuta anche all'interno del registro stilistico.
Davide Ferrario: Io ho insegnato spesso sceneggiatura e ho sempre cercato di demolire il concetto di sceneggiatura tradizionale. Questo film non ha una sceneggiatura vera, è nato grazie al lavoro degli attori e al montaggio. La luna su Torino è stato girato in 4 settimane ed è stato montato in 8 mesi. Per me questo è fare cinema. Agli attori è stato chiesto di improvvisare sempre, anche perché ogni giorno cambiavo delle cose.
Eugenio Franceschini: Abbiamo improvvisato tanto, ma questo tipo di lavoro ha dato i suoi frutti. La parte scritta è stata superata dal lavoro sul set e alla fine abbiamo creato molto altro. Improvvisare ti permette di dare nuove sfumature al personaggio rispetto a quanto è scritto sulla carta.
Davide Ferrario: Non è detto che il mio modo di lavorare sia il migliore possibile. E' semplicemente un modo diverso.
Davide Ferrario: Il primo lavoro che ho scritto sul cinema era un film sul tema, Il quarantacinquesimo parallelo, degli anni '80. Poi nel '97 ho realizzato il documentario che saltava dalla Pianura Padana alla Mongolia, anch'essa sullo stesso parallelo. Questo elemento condiziona la mia vita e non escludo di tornare a parlarne in futuro.
Le altezze e le riprese vertiginose che vediamo servono a dare l'idea della dimensione sospesa in cui vivono i personaggi?
Davide Ferrario: L'estenza, in senso metafisico, è precaria. Noi camminiamo su un filo e siamo sempre a rischio caduta. La metafora dell'acrobata è quella che rende meglio questa condizione.
In La luna su Torino c'è tanta poesia e c'è tanta musica. Come hai amalgato questi elementi nella storia dei tuoi tre protagonisti?
Davide Ferrario: Volevo dare una leggerezza, far pensare al volo di una mongolfiera. Quando sei lassù vedi tutto il mondo. Il mio è un film mongolfiera. Per quanto riguarda le musiche ho collaborato con Fabio Barovero, con cui lavoro da Dopo mezzanotte. In più nella colonna sonora c'è una canzone di Dente. Ci siamo presi la massima liberà di utilizzare musiche di varie parti del mondo. Tutto quello che sentite nel film è generazione vera e umana.
Davide Ferrario: Ora Mario Martone sta girando un film su Leopardi. Sul tema ci abbiamo già lavorato insieme in passato per alcuni documentari. Per me è stata una riscoperta, perché Leopardi lo studi a scuola e poi te lo dimentichi e in più ne hai la visione di uno sfigato geniale. Invece Leopardi è un pensatore modernissimo. Il personaggio di Walter è Leopardi, vive nella sua villa isolata, lontano dalle donne. La solitudine leopardiana dall'alto della collina e i topi che compaiono spesso sono due punti di vista per guardare il mondo.
Nella messa in scena ritornano alcuni elelementi del tuo primo film: animali esotici, un paesaggio urbano rarefatto. Sono dei richiami voluti?
Davide Ferrario: Io spazio molto, non faccio sempre lo stesso tipo di film, ma sono convinto che se uno analizza la mia cinematografia trova una serie di fil rouge che legano le varie oopere. Purtroppo non devo essere io a dirlo, ma sicuramente ci sono degli elementi che tornano. Ma alla base di tutto per me c'è la voglia di cambiare, di conoscere cose nuove. Per me il cinema deve esserte liberatorio.