Oltre l'incredibile successo al botteghino (ventidue milioni di euro, ma erano altri tempi) e oltre l'incredibile assetto produttivo (realizzato anche grazie al successo di Chiedimi se sono felice), La leggenda di Al, John e Jack, arrivato in streaming su Netflix, potrebbe essere il miglior film di Aldo, Giovanni e Giacomo. E no, non perché sia quello più divertente. Diretto dal Trio, insieme al bravo Massimo Venier (che li avrebbe poi diretti in Tu la conosci Claudia?, per poi "ritrovarli" dieci anni dopo con Odio l'estate), La leggenda di Al, John e Jack è un'opera - cinematograficamente parlando - molto, molto potente. Un'opera totalmente avulsa dal panorama italiano, anche per l'epoca in cui uscì. Era il dicembre 2002, e come ogni Natale di inizio millennio l'appuntamento era con la comicità stagna e confortevole dei cinepanettoni (quello era l'anno di Natale sul Nilo).
E non si poteva scappare: l'industria italiana era quella (a ragion veduta il botteghino faceva faville) e non c'era modo di cambiare gli ingredienti, né il linguaggio. Tuttavia, i quasi trenta milioni di euro incassati con Chiedimi se sono felice nel 2000, spinsero il produttore Paolo Guerra, insieme a Medusa, a puntare davvero in alto, a realizzare quel cinema artigianale capace di omaggiare Sergio Leone e Alfred Hitchcock, eppure restando fedele alla linea artistica di Aldo, Giovanni e Giacomo. Una sfida tutt'altro che semplice, anche perché il feedback del pubblico non fu unanime: la comicità era più celebrale, più citazionista, più elegante del solito. Per certi versi, non erano i siparietti il cuore della pellicola, bensì era la sceneggiatura a reggere il film. Ne venne fuori, con sorpresa generale, una gangster comedy ambiziosa, esplosiva, sorretta da un soggetto marmoreo e da un umorismo raffinato, in linea con il contesto e con la vocazione del Trio.
Montaggio, colonna sonora, scenografia: un film ambizioso e artigianale
Insomma, qualcosa di molto originale. Fin dalla scena iniziale: un drive-in, La donna che visse due volte di Hitchcock (che farà da pretesto per la storia) e la colonna sonora di Andrea Guerra, che cita Morricone, tra classicità e sonorità jazz. In mezzo, l'immediata prova comica di Aldo, Giovanni e Giacomo, tra smorfie, occhiate e sbuffi: sono tre improbabili gangster, a bordo di un'improbabile Edsel Pacer del '58 (oggi ricercatissime, ma allora furono un flop per la Ford), che devono intercettare l'omicidio di un uomo per mano del boss Sam Genovese (Aldo Maccione, strepitoso). Qualcosa va storto, Al prende la scossa e... perde la memoria. Da lì, il primo colpo di cinema: Massimo Venier riprende dall'alto la New York City del 1959, mentre Dion attacca con la splendida The Wanderer (anche se il brano è del 1961). Uno strepitoso incipit capace di accendere la storia, un montaggio efficace (Claudio Cormio) che detterà poi il ritmo del film, tra citazioni, risate, battute e colpi di scena.
Un montaggio capace di esaltare poi l'eccezionale messa in scena: la scenografia di Gian Maria Cau, Eleonora Ponzoni e Dina Varano ha ricreato in modo preciso l'architettura di Manhattan e Brooklyn alla fine degli anni Cinquanta, così come la fotografia di Arnaldo Cantinari, che è riuscita dar vita ad un'estetica che si rifà, appunto, al cinema di Sergio Leone e Martin Scorsese. Un'esagerazione? No: l'arrivo su Netflix ci permette finalmente di rivendicare la caratura de La leggenda di Al, John e Jack, allontanandolo dall'insieme dei film più sottovalutati del nostro cinema. Un film debitore alla storia della Settima Arte, e profondamente legato al linguaggio artigianale. Per non parlare poi dei comprimari (da Giovanni Esposito a Ivano Marescotti, fino ad Antonio Catania e Giovanni Cacioppo), dei costumi, delle location (le esterne del film sono state girate davvero a New York, per volere di Giacomo e di Massimo Venier, segnando così una delle produzioni più dispendiose dell'epoca) e, soprattutto, della soundtrack.
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La leggenda di Al, John e Jack e la luce della parodia
Il montaggio, infatti, è strettamente legato al lavoro di consulenza musicale che, tra una scena e l'altra, alterna hit ad effetto: Nat King Cole con Almost Like Being in Love, Louis Prima con Sing Sing Sing, Billie Holiday con All of Me. Addirittura, c'è Marilyn Monroe che canta When I Fall In Love. Poche produzioni italiane possono vantare una soundtrack del genere, e pochi film italiani - tutt'ora - hanno spinto così tanto sulla tecnica e sulla qualità. Perché, La leggenda di Al, John e Jack, che prende in prestito le figure dei bislacchi sicari visti all'inizio di Tre uomini e una gamba, è l'apice narrativo di Aldo, Giovanni & Giacomo, risultando sempre tutt'ora un oggetto quasi alieno, visti gli spunti comedy che non si distaccano quasi mai dai territori conosciuti.
Non c'è dubbio che quello di Massimo Venier, forse al pari di Così è la vita, sia stato il tentativo di smuovere le fondamenta dell'industria italiana, avendo l'ardore di ripercorre gli stessi scorci di C'era una volta in America, rivedendoli sotto la luce della parodia. Un'intuizione eccezionale (e poco compresa, come spesso accade), culminata in un finale in bianco e nero che vale l'intero film: Aldo versione Toro Scatenato, che affronta il pugile Hurrican Hogan (liberamente ispirato a Rubin Carter, quel boxeur soprannominato proprio Hurricane, che a sua volta a ispirato Bob Dylan per l'omonima canzone), intanto sotto parte Lloyd Price che canta Stagger Lee. Ah, dimenticavamo: ma voi sapete qual è la capitale della Birmania?