E' stata presentata nella sezione Cannes Classics una versione restaurata del capolavoro del 1958, diretto da Taiji Yabushita, La leggenda del serpente bianco. Ma cosa ha di speciale questo film d'animazione? In effetti diversi aspetti vanno ben oltre il pregio che l'età gli attribuisce. Oltre a narrare una popolarissima leggenda cinese risalente alla dinastia Song, può vantarsi di essere il primo lungometraggio animato a colori prodotto in Giappone, è un piccolo gioiellino del passato che merita di essere visto (o rivisto) ad ogni costo e risulta quasi fondamentale se si vuole comprendere l'animazione nipponica, il suo spirito più profondo e la sua evoluzione. Fu prodotto dalla Toei Doga e distribuito in Giappone dalla Toei Animation, anche autrice di questo restauro, che ha portato su schermo molti degli anime che hanno segnato irrimediabilmente la nostra infanzia e continuano ad accompagnarci anche ora, come Sally la maga (per chi la ricorda), L'uomo tigre, Jeeg Robot d'acciao, Candy Candy, Capitan Harlock, I cavalieri dello zodiaco, Sailor moon, solo per citarne alcuni, fino al più recente One piece. Questo colosso dell'animazione ha così guardato alle origini e riportato alla luce uno dei suoi lungometraggi storici presentandolo a Cannes per celebrarne l'importanza. In questa recensione de La leggenda del serpente bianco parleremo sia del film in quanto tale, che di quello che ha rappresentato per l'animazione del Sol Levante e come, attingendo a una leggenda orientale molto popolare, si è differenziato dalle produzioni occidentali dell'epoca per immagini e tipo di narrazione. Infatti, se inizialmente nasceva come risposta ai colossi dell'animazione occidentale, se ne discosta profondamente per stile e tecnica.
Una trama che ha radici antiche
La trama de La Leggenda del serpente bianco affonda le sue radici nelle leggende popolari e narra la storia di Xu Xian, un ragazzino che compra al mercato un serpente bianco, attratto dal suo aspetto e trattandolo come un compagno di giochi, ma gli adulti lo costringono a liberarsene, così lui prende a malincuore la decisione di abbandonarlo in un campo. Anni dopo, a causa della caduta di un fulmine durante una furiosa tempesta, il serpente si trasforma in una bellissima donna, che non avendo dimenticato l'affetto e la gentilezza del ragazzo, decide di cercarlo. Lo trova lì, dove ha sempre vissuto, sulle rive del lago dell'ovest in compagnia dei suoi animali da compagnia Panda e Mimi (un panda gigante e un panda minore). Pur ignorando la vera identità della giovane ragazza, Xu Xian se ne innamora, vedendo i suoi teneri sentimenti ricambiati, ma qualcosa si mette tra di loro. Il bonzo Fa Hai ha scoperto che la giovane non è umana e detestando gli yōkai (creature mitologiche della narrazione giapponese) perché ritenuti maligni e ingannatori, per il bene del ragazzo deciderà di dare la caccia alla giovane per ucciderla e impedirgli di fare del male agli esseri umani.
La leggenda cinese
La leggenda del serpente bianco romanza e adatta la leggenda cinese per renderla più fluida e idonea ad un film di animazione, la reinterpreta mantenendone intatta l'atmosfera ma cambiandone in parte il messaggio. Nella leggenda popolare, di cui sono state scritte innumerevoli versioni nel corso degli anni, i serpenti sono due: il serpente bianco e il serpente verde. Le due creature sono abitanti del monte sacro Eimei, ma quando un giorno decidono di scendere sulla terra il serpente bianco si innamora perdutamente dell'umano Xu Xian e lo sposa, ma a svelare l'inganno del serpente sarà il monaco, che qui assume un ruolo positivo in quanto libera il giovane ragazzo dall'inganno della moglie non umana. I ruoli, quindi rimangono gli stessi: Il serpente bianco inganna l'umano, vero, ma nel lungometraggio giapponese non è la menzogna la tematica principale, ma l'amore. Il cambio di prospettiva apre a nuove riflessioni rendendo così la storia maggiormente aperta alle interpretazione e riflessioni dello spettatore.
La delicatezza per raccontare l'odio
La leggenda del serpente bianco è, infatti, un tripudio di buoni sentimenti, per nulla stucchevole, anzi a tratti il racconto è diretto e di sicuro incredibilmente attuale. Basta guardare un po' più a fondo, oltre la delicata coltre fatta di immagini aggraziate e buffi animali senzienti, per coglierne il messaggio profondo: il Bonzo Fa Hai rappresenta le incertezze e le debolezze umane, ci viene presentato come un personaggio potente e saggio, ma anche lui non riesce ad andare oltre le apparenze e il suo odio per gli yōkai.
Il suo astio per i loro inganni non gli permette di percepire i sentimenti dei due innamorati che rinuncerebbero persino alla loro stessa vita pur di non perdere l'altro, per non vivere in un mondo dove quel sentimento non può esprimersi. La sua cieca convinzione metterà in pericolo sia lui che chi professava di voler proteggere, perché dove odio genera odio nessuno è al sicuro e a soffrirne sono entrambe le parti. Una speranza, però, ci vien data: nonostante questa fiera di debolezze e fragilità umane l'amore non viene spazzato via, ma cresce e trova la via per palesarsi anche nell'impossibile.
Conclusioni
Per sintetizzare la nostra recensione de La leggenda del serpente bianco possiamo dire che questo piccolo gioiellino dell’animazione nipponica, restaurato e presentato nella sezione Cannes Classics, risulta essere fondamentale per comprendere l’evoluzione dell’animazione giapponese. Discostandosi per punto di vista dalla leggenda originaria offre spunti di riflessione interessanti nonché una morale estremamente diversa che impreziosisce e caratterizza un film figlio dei suoi tempi che nonostante questo risulta essere per contenuti estremamente attuale.
Perché ci piace
- La delicatezza e la potenza delle animazioni.
- Le variazioni della storia originale che aprono a nuovi punti di vista e riflessioni.
- Tematiche universali e attuali ancora oggi a 61 anni dall’uscita di questo film.
Cosa non va
- Potrebbe non piacere a chi ama la fluidità e dinamicità dell’animazione moderna.