La leggenda del Green, la recensione: Mark Rylance in un bizzarro biopic sportivo

La recensione di La leggenda del Green, film biografico sulla figura di Maurice Flitcroft, giocatore di golf dilettante che ha preso parte, con risultati improbabili, a tornei professionistici. Stasera su Sky.

La leggenda del Green, la recensione: Mark Rylance in un bizzarro biopic sportivo

Una vita come tante, una splendida famiglia e tanti sogni irrealizzati. Maurice Flitcroft è nel pieno dei suoi quarant'anni e continua a guadagnarsi da vivere come operaio, fino a quando una sera non ha un'illuminazione: galeotto è uno zapping in televisione, con la sua attenzione che viene attirata dal canale che sta trasmettendo un incontro di golf.

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La leggenda del Green: una scena del film

Come vi raccontiamo nella recensione di La leggenda del Green, Maurice resta infatti folgorato da quanto accadente su schermo e comprende quale sia la sua grande passione, che fino a quel momento aveva sempre ignorato. Ma diventare un giocatore di golf da un giorno all'altro non è certo impresa semplice, soprattutto per lui che proviene dalla classe lavoratrice e non ha né le disponibilità economiche né l'aplomb necessario per entrare a far parte dei vari club in giro per l'Inghilterra, riservati all'élite, e tutte le sue domande vengono declinate più o meno gentilmente. È allora che il protagonista ha un'idea folle, ovvero quella di iscriversi ai turni di qualificazione per gli Open, spacciandosi per un professionista e senza alcuna esperienza di tornei alle spalle. Una decisione che lo renderà sì famoso, ma non nella maniera che sperava...

La pratica porta alla perfezione

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La leggenda del Green: una scena del film

C'è un qualcosa di assurdo e iconoclasta nella battaglia intrapresa dal vero Maurice Flitcroft, diventato a suo modo un simbolo nonché modello di ispirazione per centinaia di "golfisti della domenica", alcuni dei quali però hanno ottenuto poi anche soddisfazioni a livello professionistico. Una figura controversa, piacevolmente ingenua e possedente un mix tra coraggio e incoscienza, anche al netto di una certa propensione alla menzogna: per raggiungere i propri scopi infatti il Nostro non ha esitato a spacciarsi per qualcun altro o ad assumere identità fittizie. La curiosità dei giornali e delle televisioni, pronti a cavalcare il successo mediatico di questa sorta di "fenomeno da baraccone" che si mette letteralmente alla mercé di tutto e tutti nella speranza di coltivare quel sogno ritardatario, arrivato dopo una vita di sacrifici per il bene della sua famiglia.

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Un personaggio senza mezze misure

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La leggenda del Green: una scena del film

La leggenda del Green segue la scia di produzioni quali Cool Runnings - Quattro sottozero (1993) o Eddie the Eagle - Il coraggio della follia (2016), dove i protagonisti lottavano contro ogni avversità e a dispetto delle loro scarse capacità, al fine di buttare il cuore oltre l'ostacolo, superare quel muro invisibile e dimostrare al mondo intero di valere qualcosa, che anche i peggiori possono ottenere il loro momento di gloria. Questa storia dai toni surreali, già adatta nelle sue dinamiche base per diventare un film, trova una trasposizione piacevolmente classica, che guarda ad un modo di fare cinema quasi antico e démodé, con qualche sprazzo visionario qua e là nei sogni/visioni di Maurice, vittima di un'ossessione sempre più oltranzista e senza mezze misure.

Poco sport e tanto cuore

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La leggenda del Green: una scena del film

L'agonismo diventa così una sorta di involontaria farsa, giacché tutti gli eventi ai quali il protagonista partecipa, avendone o meno diritto, si risolvono ovviamente in un nulla di fatto, tanto da fargli anche ottenere l'indesiderato record di punteggio più alto nella storia di un open (come sanno gli appassionati, nel golf fare più punti non è una cosa positiva). Non è un caso che anche lo stesso titolo originale, The Phantom of the Open, scimmiotti proprio nel suo gioco di parole il noto romanzo/musical de Il fantasma dell'opera. L'operazione è a tratti sbilenca e qualche caduta di ritmo fa capolino qua e là, ma viene salvata provvidenzialmente in corner proprio nei momenti più incerti dalla mimetica performance di Mark Rylance, che imposta qui il suo personaggio su toni dolci-amari e movenze fuori dal tempo, che sembrano quasi uscire dagli albori del muto. Come se un moderno Charlie Chaplin/Buster Keaton calcasse i campi da golf degli anni Settanta e Ottanta, a confermare l'assoluta peculiarità di un film imperfetto ma decoroso.

Conclusioni

Simbolo di ostinazione ma anche di speranza, giacché laddove non arriva il talento a volte basta tanto impegno e un poco di ingegno per superare l'ostacolo e realizzare l'obiettivo prefissato. La leggenda del Green racconta la vera e paradossale storia di Maurice Flitcroft, aspirante giocatore di golf senza alcuna esperienza che con furbizia e con l'inganno è riuscito a partecipare a tornei professionistici, attirandosi l'ilarità ma anche la curiosità e l'affetto del grande pubblico. Un personaggio sui generis che rivive in un'operazione biografica onesta, a tratti parzialmente spenta ma illuminata qua e là da tocchi visionari e sormontata dalla magistrale performance di Mark Rylance, trasformista per l'ennesima volta in carriera in un ruolo meno semplice di quanto appaia.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.4/5

Perché ci piace

  • Mark Rylance è un magnifico protagonista.
  • La regia ha un tocco piacevolmente classico nella gestione di situazioni e personaggi.
  • La storia vera alla base sembra scritta per il cinema.

Cosa non va

  • A tratti la narrazione risulta parzialmente compassata.
  • Manca l'epica agonistica, lasciata volutamente in secondo piano.