Who knows, is this the start of something wonderful and new?/ Or one more dream that I cannot make true?
Qualunque classifica dei momenti più clamorosi nella storia degli Oscar non potrebbe che includere, al primo posto, il 'drammatico' epilogo della notte del 26 febbraio 2017. Episodi come il miracoloso ex aequo fra Katharine Hepburn e Barbra Streisand, il rifiuto per interposta persona di Marlon Brando o la vittoria di Crash a scapito di Brokeback Mountain impallidiscono di fronte al totale caos generato dagli ultimi otto, fatidici minuti della cerimonia dell'ottantanovesima edizione degli Academy Award. Per chi, tra il 2017 e oggi, abbia trascorso la propria esistenza in un solitario eremo tibetano e non abbia idea di ciò di cui stiamo parlando, proveremo a ripercorrere le dinamiche di quell'incredibile serata; ma al di là dell'immensa eco mediatica della vicenda, l'aspetto più interessante a nostro avviso è il seguente: com'è stato possibile che il più grande favorito dai tempi di Titanic si sia visto strappar via - quasi letteralmente! - il premio principale?
L'antefatto: il fenomeno La La Land
Facciamo un passo indietro. Prima ancora della famigerata notte degli Oscar 2017, vale la pena ricordare l'entusiasmo collettivo e pressoché unanime suscitato, a partire dall'autunno precedente, da La La Land. La grande attesa per la nuova prova da regista di Damien Chazelle dopo l'apprezzatissimo Whiplash e per il ritorno dell'accoppiata formata da Ryan Gosling ed Emma Stone, questa volta alle prese con un musical, era stata più che ripagata fin dalla presentazione del film al Festival di Venezia: La La Land si era dimostrato da subito in grado di far riappassionare un'enorme sezione di pubblico, inclusi giovani e giovanissimi, a un genere cinematografico troppo spesso dato per morto, riscuotendo al contempo gli elogi sperticati di critici e cinefili. L'opera di Chazelle avrebbe registrato più di cinquanta milioni di spettatori nelle sale internazionali, iniziando nel frattempo un'autentica marcia trionfale nella "stagione dei premi" del 2016/2017.
L'8 gennaio, con sette Golden Globe su sette nomination, La La Land stabilisce un record assoluto nella storia dei premi della Hollywood Foreign Press Association. Un mese prima erano arrivati otto Critics' Choice Award, mentre il 12 febbraio il musical di Chazelle conquista cinque BAFTA Award su undici nomination: qualcosa in meno del previsto, ma il trofeo come miglior film non sembra essere in discussione. A consolidare il plebiscito per La La Land sono le vittorie del Producers Guild Award e del Directors Guild Award, ma soprattutto, il 24 gennaio, l'annuncio delle candidature agli Oscar: con ben quattordici nomination, La La Land raggiunge il primato registrato nel 1951 dal mitico Eva contro Eva e nel 1998 dall'inarrestabile Titanic. Superfluo aggiungere che tanto Eva contro Eva quanto Titanic si erano aggiudicati entrambi l'Oscar come miglior film, insieme a un cospicuo numero di altre statuette. E nel 2017, fra gli altri otto candidati come miglior film, nessun titolo aveva raccolto più di otto nomination.
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"We lost, by the way": l'equivoco delle buste
Con queste premesse, l'unico quesito relativo a La La Land e gli Oscar era relativo all'ipotesi di eguagliare o superare un altro record, quello di premi vinti (undici), nelle tredici categorie nelle quali era in lizza (considerando la doppietta di nomination per la miglior canzone). Tale ipotesi tuttavia si dissolve quando, in diverse categorie, La La Land viene superato da altri concorrenti: La battaglia di Hacksaw Ridge, per esempio, si impone per il montaggio e il sonoro, mentre all'essenziale eleganza dei costumi di Mary Zophres vengono preferiti quelli in chiave fantasy di Animali fantastici e dove trovarli. Ma quando la cerimonia si avvia alla conclusione, La La Land ha già incamerato sei premi Oscar: miglior regia, attrice, colonna sonora, canzone, fotografia e scenografia. L'assegnazione dell'ultimo trofeo, affidata a due icone del calibro di Warren Beatty e Faye Dunaway (è il cinquantenario di Gangster Story), appare una pura formalità.
Da qui in poi, il resto è storia: l'imbarazzata e, al momento, incomprensibile incertezza di Warren Beatty dopo aver aperto la busta; l'errore di Faye Dunaway, che pensa di trarre d'impaccio il collega ma non si accorge di avere in mano la busta del premio alla miglior attrice; l'esultanza del team di La La Land, con tanto di discorsi di ringraziamento dei produttori Jordan Horowitz e Marc Platt; la confusione che all'improvviso inizia a serpeggiare sul palco, con il terzo produttore che chiosa "Comunque abbiamo perso", seguito dalla dichiarazione al microfono di Jordan Horowitz: "C'è stato un errore: Moonlight, avete vinto voi come miglior film". Nello stupore generale, l'equivoco dello scambio delle buste viene (più o meno) chiarito e a salire sul palco è la squadra di Moonlight, eletto dall'Academy come il miglior film del 2016, con una terza statuetta che, contro ogni previsione, va ad aggiungersi ai premi per il miglior attore supporter (Mahershala Ali) e la miglior sceneggiatura adattata.
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Moonlight e quell'Oscar 'miracoloso'
Chiedersi perché il "pasticciaccio brutto" degli Oscar abbia attirato una tale attenzione, anche fra chi non si interessa più di tanto al binomio cinema e premi, sarebbe pleonastico: la risposta più immediata risiede nel fascino intrinseco di assistere all'implosione di un meccanismo ritenuto perfetto ma che invece, a dispetto della sua precisione geometrica, collassa rovinosamente di fronte ai nostri occhi. E nel mondo dello spettacolo americano, gli Oscar costituiscono l'emblema di questa precisione geometrica: un evento studiato in ogni singolo dettaglio, con tempi calcolati al secondo e sorrisi più o meno spontanei a favore delle telecamere. Ma ad aver reso ancor più assurdo tale incidente sono state pure le circostanze specifiche: la vittoria di La La Land come miglior film pareva la più scontata da quasi vent'anni (dai tempi di Titanic, per l'esattezza) e, pur senza contare questa gaffe madornale, il premio a Moonlight rimarrebbe comunque il colpo di scena più inaspettato negli annali dell'Academy.
Come ha fatto un piccolo film indipendente, realizzato con un budget di poco più di un milione di dollari da un autore, Barry Jenkins, ancora sconosciuto, senza interpreti troppo noti e abbastanza lontano dai canoni del classico titolo da Oscar, a prevalere su un musical campione d'incassi e volto a celebrare la magia di Hollywood? A prescindere dai giudizi estetici e dal gradimento soggettivo, Moonlight si presentava indubbiamente come una pellicola dall'appeal più 'ristretto': è stato, del resto, il primo vincitore dell'Oscar come miglior film con un cast composto interamente da afroamericani e in cui il tema dell'omosessualità ha un ruolo centrale nella trama. L'opera di Barry Jenkins è infatti il racconto di formazione in tre capitoli di Chiron, nato e cresciuto nei sobborghi di Miami, in un ambiente contrassegnato dal degrado e dalla violenza. Non si tratta però del canonico film edificante, in cui un eroe tormentato affronta le avversità fino a guadagnarsi il proprio posto al sole: un filone in cui rientra una buona metà dei titoli insigniti dell'Oscar principale.
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Miglior film del 2016: una questione ancora aperta?
Si è sentito spesso bollare il premio a Moonlight come una vittoria 'convenzionale', proprio in virtù della sua natura di film drammatico, o come una scelta 'politica' di Hollywood a pochi mesi da un altro colpo di scena quale l'elezione alla Casa Bianca di un Presidente dai malcelati atteggiamenti razzisti. Eppure significherebbe banalizzare il discorso o, peggio ancora, disconoscere la ricezione critica e il valore culturale di Moonlight, specialmente in America. Riguardo il primo punto (Moonlight sarebbe stato preferito a La La Land sull'onda dell'elemento omosessuale), basti rilevare che, undici anni prima, il lodatissimo Brokeback Mountain si era visto superare agli Oscar da un film assai meno meritevole. La seconda questione è però quella di maggior interesse: se La La Land si colloca su un piano universale (e, per certi versi, anche atemporale), Moonlight focalizza lo sguardo su una determinata realtà degli Stati Uniti che per decenni, con rarissime eccezioni, è rimasta ignorata dall'industria cinematografica.
Come ha fatto dunque Moonlight a raccogliere maggiori consensi di La La Land? Probabilmente anche perché è stato in grado di portare la suddetta realtà a un pubblico molto più ampio e trasversale del previsto, pur adoperando un linguaggio atipico se confrontato con i codici del cinema americano; e, tornando alle categorie di cui sopra, perché è riuscito a mettere in luce l'universalità dell'esperienza e del percorso del suo protagonista, pur senza tradire l'ottica della "coscienza nera". Al di là del 'gioco' dei premi e delle tifoserie, La La Land e Moonlight sono entrambi film straordinari, talvolta inseriti nel novero dei capolavori. E se i premi assegnati all'uno e all'altro possono essere presi come un indicatore (ma solo uno dei tanti) delle loro rispettive qualità, essi più che altro ci testimoniano l'enorme impatto esercitato da due opere così diverse: Moonlight ci ha mostrato la durezza del quotidiano attraverso il filtro del sentimento e della poesia, mentre La La Land ha incantato legioni di "sciocchi sognatori" con il suo romanticismo ammantato di malinconia e di rimpianto. E in fondo, quale miglior allegoria del rimpianto di un Oscar mancato per un soffio?